Il Producer monregalese Matteo Bruno, alias Luna, ci ha raccontato in esclusiva la nascita di Te Quiero, prima collaborazione insieme a Enzo Dong, il rapper napoletano più incazzato del momento, fresco di esordio con l’album Dio Perdona Io No.

Se non fosse per la sua proverbiale gentilezza nota a chiunque abbia lavorato almeno una volta con lui, mi sembrerebbe di parlare con un’altra persona rispetto al nostro ultimo incontro. Il Luna che mi si pone di fronte ha l’aria di uno che ha appena tirato il fiato dopo mesi passati da puro stakanovista del lavoro, e non prova neanche a nasconderlo. Si può biasimare? Ai cocktail in spiaggia sotto l’ombrellone ha preferito lo studio di produzione da cui è nata Te Quiero, la sua prima importante collaborazione italiana con un artista del calibro di Enzo Dong. Fresco di debutto con l’uscita del suo album Dio Perdona Io No, si è affidato alla produzione di Luna per una delle 15 canzoni presenti nel disco. Il sound fonde sapientemente le sonorità trap contemporanee con metriche che strizzano l’occhio a un rap old school, non facendosi mancare ritornelli neomelodici di fattura locale, provando così ad accattivarsi un pubblico variegato nel suo insieme.

L’aspetto più interessante nel raccontare la conversazione con il producer nostrano è la prospettiva che si ha da dietro le quinte di tutto ciò che arriva(va) sugli scaffali dei negozi di musica, o per essere più contemporanei, nella sezione new releases di Spotify. Premendo il tasto play, la maggior parte degli ascoltatori non si pone chissà quali interrogativi su cosa c’è stato dietro ai quei tre minuti della traccia, su cosa può aver significato a livello fisico ed emotivo un lavoro del genere.

“Vedere il mio nome a fianco di producer quali Chris Nolan, Andry The Hitmaker, Daves The Kid e Junior K è un onore, ma soprattutto una sfida per me stesso” dice, senza nascondere nulla di quanto sarebbe lecito aspettarsi entrando in punta di piedi nell’harem del rap italiano. “Fare il produttore, a prescindere dal livello personale, vuol dire scendere a compromessi con gli altri e con te stesso. Non potrai mai tendere completamente da una parte, ci vuole equilibrio, oltre che una buona dose di fiducia reciproca. Ciò che per me è davvero importante è la consapevolezza di aver fatto un buon lavoro”. Si torna a quanto detto in precedenza riguardo ai consumatori: “Sai, con gli altri produttori del disco ci siamo scritti facendoci complimenti a vicenda, ma tolti gli addetti ai lavori, all’utente medio non interessa chi ha prodotto cosa. Ascolta la traccia, vede se gli piace o meno, ma il suo giudizio tendenzialmente si ferma all’artista”. È evidente che non si focalizza su quella fetta della torta, l’importante è entrare nel giro, farsi conoscere, produrre basi su cui artisti come Enzo possano cantarci in maniera efficiente; questo è il vero risultato. In Te Quiero è facile accorgersi di come siano presenti i virtuosismi maggiori da parte del rapper di Secondigliano. “Il disco è stato scritto da zero con Enzo che indicava le direzioni da prendere a noi produttori. La mia traccia doveva essere quella più cattiva dal punto di vista uditivo. Lui ci ha messo tutte le sue skills, con due minuti di punchline per creare una coerenza di forma e contenuto”.

La chiacchierata scorre fluente, e tra caffè, torta e aranciata, non posso fare a meno di chiedermi quanto l’atmosfera rilassata che pervade la casa facesse avvertire vibrazioni drasticamente differenti fino alla mezzanotte (ora della pubblicazione dell’album, ndr) del giorno prima, specie nella sua testa. “Sto ancora metabolizzando tutto. Tolti i famigliari, nessuno sapeva di Enzo fino alla settimana scorsa. Amici e collaboratori erano tutti all’oscuro; un po’ per scaramanzia e per credibilità personale, non mi andava di creare troppe aspettative per poi magari vedere sfumare tutto nella peggiore delle ipotesi”.

Che dire? Nel bene e nel male c’è sempre una prima volta, anche se Matteo ci tiene a ribadire che la sfida maggiore è stata con se stesso e con la tenuta mentale che un lavoro così dilatato nel tempo può mettere a dura prova, ma preferisce prenderla sul ridere col senno di poi. “Certamente non è stato facile tenermelo per me anche dopo mesi che ci stavo lavorando, ma diciamocelo, ci sono cose ben peggiori nella vita, senza dubbio (ride). Non riuscivo a credere di poter collaborare con Enzo Dong, proprio per questo avevo la paura che da un giorno all’altro potesse saltare tutto”.

Mentre si accende la sigaretta, si fa improvvisamente più serio, come se ripensasse a tutto il percorso che l’ha portato fin qui: “Vedi, io so benissimo che il mio non è un pezzo radio friendly, ma ora come ora a me interessa essere ascoltato, a prescindere da quale possa essere il giudizio”.

Insomma, captatio benevolentiae a parte, che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli.

“Lo step fondamentale in ogni caso è prendere l’iniziativa, scrivere agli artisti, piccoli o grandi che siano, nonostante sembri impossibile che rispondano proprio a te in mezzo a migliaia di proposte, anzi la maggior parte delle volte nemmeno leggono le mail o chi per loro, ci sono già passato. A sto giro è andata bene”, mi risponde quando gli chiedo come è nata la collaborazione con uno degli artisti più in voga sulla scena, e le parole escono fuori con convinzione, quasi a voler dimostrare una teoria sulla carta irrealizzabile. “La collaborazione con Enzo è nata a giugno, e nel giro di qualche mese non nascondo che si è venuto a creare un rapporto di amicizia, oltre che lavorativo, pur non essendoci mai visti di persona. Lo incontrerò per la prima volta durante gli Instore. Il fatto di lavorare a distanza è probabilmente l’aspetto più complicato, la maggior parte delle volte ci si risponde a distanza di giorni, ma fa parte del gioco. Ci tengo a sottolineare che fino a cinque mesi fa non mi sarei mai aspettato nulla del genere, e ancora adesso faccio fatica a crederci”. Dopotutto parliamo di un artista che negli ultimi anni si è fatto conoscere a suon di hit quali Secondigliano Regna (scelta da Sky come colonna sonora di della serie TV Gomorra, ndr) e Higuain, non esattamente la più politically correct delle tracce, per usare un eufemismo. “Quando uscì Higuain, ricordo che mi trovavo proprio in questa stanza con alcuni miei amici, e il pensiero mi venne spontaneo: questo è matto da legare, mi fa impazzire” dice ridendo. “Fin da quando è uscito fuori l’ho sempre apprezzato e sostenuto come fan della prima ora, per i contenuti delle canzoni ma in particolare per il modo che ha Enzo di esporli, non ha peli sulla lingua e questo immagino sia dovuto anche a ciò che ha vissuto”.

E ad ascoltare l’album, non sembra aver cambiato una virgola del suo essere, se non per l’abbandono progressivo della parlata tipica napoletana, in favore di un Italiano contaminato da sfumature dialettali e internazionali che vanno ad arricchire il disco.

Pronti a fumarci l’ultima sigaretta, voglio ancora sapere da Luna cosa gli hanno lasciato a livello umano questi mesi di lavoro: “Sicuramente il pensiero di sentirsi all’altezza della situazione ha rappresentato una costante fin dal primo giorno. Avevo già del materiale pronto quando abbiamo iniziato a scriverci, ma non si sposava al meglio con l’impronta che Enzo voleva dare a Te Quiero, così ho dovuto ripartire da zero. Mi sono messo alla prova in un ambiente da serie A, con un vis à vis tra me e lui, capisci bene che le responsabilità e le aspettative erano enormi. È stata ed è tuttora la mia più grande occasione da quando ho mosso i primi passi come producer, e lavorando insieme siamo riusciti a trovare la chiave di volta”.

Dong sta per Dove Ognuno Nasce Giudicato, e come dargli torto? Ora starà a voi giudicare Dio Perdona Io No, un album che a scanso di equivoci si riserverà un posto in prima fila nell’attuale panorama discografico italiano (e non).

Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

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