Moth è un collettivo di cinque artisti con base a Torino. Sul tappeto musicale degli Anonima Sonora, lo scorso 3 novembre al Capolinea 8 ha portato in scena una storia di gangster

Il 3 novembre scorso, ho assistito a uno spettacolo del collettivo Moth e della band cinematica Anonima Sonora.Ero lì perché i Moth sono stati miei allievi di scrittura e ci lega un modo di esistere; ci aiutiamo, da punti distanti della vita e del percorso artistico, a riconoscere l’appartenenza a certi ideali (gli ideali, chi ce li ha, deve interrogarli di continuo attraverso gli altri, per evitare che diventino rifugi). 

Quello del 3 novembre al Capolinea 8, pub storico di Torino, era il loro primo evento dopo essersi costituiti. L’emozione che mi portava lì era accresciuta dal fatto che conoscevo pure un membro della band con cui performavano, Marco Cerrato, un sax di rara sensibilità con cui, proprio in quei giorni, lavoravo a un reading sulle mie poesie. Non potevo mancare.

Posteggiata la macchina nei pressi di via Maddalene, dove un tempo sorgeva la vecchia Manifattura Tabacchi, un complesso di edifici in mattoni rossicci (per lo meno questo è il colore con cui la mia discromatopsia mi restituisce quel quartiere), raggiungo il Capolinea 8 e, una volta dentro, respiro subito l’atmosfera di un locale nato nel 1975, in cui hanno suonato jazzisti del calibro di Chet Baker. Quartiere ed edificio mi hanno predisposto nel migliore dei modi al tipo di evento a cui sto per assistere: i Moth, infatti, leggeranno dei loro inediti su vicende inerenti la mala torinese, alternandosi ai pezzi suonati dal vivo dagli Anonima Sonora, tutti ispirati alle sonorità dei polizieschi italiani anni ‘70.

Ora c’è da dire una cosa: io ho un debole per le tribù. Danilo Dolci, uno dei pedagoghi più importanti che il nostro Paese ha avuto, l’unico maestro frequentato in vita che riconosco, aveva scritto un libro, Chi gioca solo, il  cui titolo alludeva al proverbio siciliano «Chi gioca solo non vince mai». Potrei tatuarmelo sul petto (se non assomigliasse a quello di un lupo), perché le cose che mi hanno regalato maggiore piacere e soddisfazione le ho sempre fatte con gli altri: il calcio, il sesso, un figlio, il mangiare, l’arte. Sì, il mangiare, perché anche il piatto più prelibato per me perde attrattiva se non posso condividerlo con qualcuno: d’altronde non ho mai imparato a cucinare perché mi piace troppo ‘dipendere’ dagli altri per mangiare bene, mi piace che dietro un’estasi culinaria ci sia qualcuno a cui essere grato per aver eccitato le mie papille gustative e tutta la fantasia che sanno scatenare.

E sì, l’arte! «Ma come», potrebbe obiettare qualcuno, «Addirittura l’arte, che è il gesto solipsistico per eccelenza?». Ma lo direbbe a ragion affatto veduta, perché anche quando l’artista sembra solo a creare, barricato nella sua stanza, illuminato dalla sola luce del portatile sulla faccia, in verità ha affianco a sé, alle sue spalle, ai suoi fianchi, accucciati tra le sue gambe, gli artisti che ha amato, che lo hanno formato, e quello che sta facendo, scrivendo, altro non è che mettersi in colloquio con loro (che per me, ad esempio, sono Dolci, appunto, e Foscolo e Verga e Kundera e Bolano e Rossellini e Coppola e Weir e i R.E.M. e Battiato e Nick Cave e Kirby e Pratt).

E poi ci sono i casi, e restano i miei preferiti, in cui gli altri con cui si crea non sono soltanto spiriti, ma persone in carne e ossa, con cui condividere, contagiarsi, accettare il disagio che libera, il conflitto che tempra, la condivisione che aumenta, l’intesa che eccita. L’arte, insomma, della tribù, quella che il 3 Novembre, al Capolinea 8, stanno facendo i Moth e gli Anonima Sonora.

moth locandina
Locandina ufficiale dell’evento Moth x Anonima Sonora.

Già, perché intanto lo spettacolo è iniziato, ed è curioso che questa sera si tratti di un’arte da tribù al quadrato (collettivo di scrittori più collettivo di musicisti), perché il mondo di cui stanno raccontando, quello della malavita, è anch’esso di fatto una tribù, ma una tribù al rovescio, l’unica di cui sembra capace l’occidente dominante: ho sempre pensato che la fascinazione che le storie di delinquenti esercitano su di noi abbia a che fare col fatto che in fondo il tipo di relazioni che regna in quell’ambiente è lo stesso al quale ci educa l’occidente dominante da quando siamo bambini: la megalomania del primeggiare (il preferito dai genitori, il primo della classe, il laureato con lode, il più ricco, il più bello, la Miss, il campione del mondo); l’onanismo del ‘chi fa da sé fa per tre’, dei ‘meglio soli che male accompagnati’.

Ufficialmente la nostra società condanna i delinquenti, ma poi, nei giorni, nelle case, nelle nostre vite comuni, l’inganno è erto a sistema (per scopare o per arricchirsi poco importa), il tradimento è il leit motiv che accompagna le nostre vite. Una civiltà fasullamente fondata su bugie e reticenze.

E mentre musica e parole raccontano proprio di questo (di furti, tradimenti, inganni, di minacce e di vendette), a me emoziona che chi lo fa eserciti l’esatto opposto: perchè i Moth e gli Anonima Sonora sono lì sinceri, dal latino sincerus, ci dice la Treccani, «non mescolato, fatto di un solo elemento, di una sola sostanza» e quindi «schietto puro» ( dalla stessa radice di *sem-, *sim-, ‘uno, uno solo’ di semel e simplex) e a me emoziona vedere nella qualità del loro suono, delle loro parole, il lavoro fatto per raggiungere quell’unità, la fatica che c’è, sempre, dietro la semplicità conquistata di un’espressione artistica.

Mi emozionano gli Anonima Sonora che già nel nome che si sono scelti tradiscono ogni egotismo, aspirando a un anonimato culturale che è miracolo d’immergere il proprio io nell’altro, nel mondo, nel cosmo, sì, il cosmo in cui mi ritrovo io nel bel mezzo dei loro pezzi, dove mi portano il sax e le percussioni e la tastiera e il basso, voci diverse in un unico canto.

Mi emozionano i Moth, che a simbolo del loro gruppo hanno scelto la falena, animale notturno che si nasconde nel buio; ma non nel buio come i delinquenti di cui stanno narrando, piuttosto nel buio come i rivoluzionari che si dimostrano, tessendo insieme un racconto, valorizzandosi l’uno con l’altro, fregandosene di questo mondo, piccolo, in cui ci si sente grandi solo da soli. La falena, condannata dalla sua fototassi a cercare la luce, ma non quella che inganna la fiducia di cui parlano le loro storie (l’abbaglio della ricchezza materiale, che attrae e brucia valori e amori), bensì la luce della passione in cui è sano bruciare e confluire.

moth e anima sonora
Moth x Anonima Sonora

Insomma, sul palco è questo che va in scena: la lotta tra la malavita raccontata (ruotante attorno alla divisione dell’Io contro gli altri, contro l’amico, contro l’amante; dell’Io contro se stesso, contro la propria coscienza) e le due collettività artistiche che la stanno raccontando (ruotanti attorno alla fiducia, all’appartenenza).

E i Moth, consapevoli della posta in gioco, come hanno deciso di organizzare la loro narrazione a più voci? Giocando a Rashomon, che non è un gioco da tavola ma un film, un film in cui il genio che era Akira Kurosawa raccontava più volte la stessa storia ma da punti di vista differenti, costringendo lo spettatore a non potersi fidare più di nessuno.

Cominciano con la prima storia, scritta e letta da Helene Carlotta Lupatini, in cui è la boss di una famiglia malavitosa a raccontare, e racconta che a uccidere Fuliggine, l’assassino più famoso e temuto di Torino, è stata lei, perché voleva fregarle i soldi della rapina; ma quando arriva la seconda storia, scritta e letta da Alessandro Refrigeri, a raccontarla stavolta è l’addetto al riciclaggio della refurtiva, a cui la boss si era affidata, e racconta che è stato lui a uccidere Fuliggine. E alla terza storia, autrice e interprete Maria Laurenti, l’amante dell’addetto al riciclaggio, racconta che se Fuliggine è morto è perché l’ha ucciso lei. E lo stesso succede col brano di Umberto Ferrero, in cui il poliziotto incaricato di indagare sulla rapina sostiene che Fuliggine è stato lui a farlo fuori. Nell’ultimo racconto, a cura di Giacomo Pucci, a parlare è Fuliggine in persona: che non è morto, perché nessuno può uccidere Fuliggine.

Io e tutti i presenti, crediamo, di volta in volta, a ogni singolo personaggio per, alla fine, non poter più credere a nessuno, proprio come accadeva con Rashomon, proprio come accade, troppo spesso, in questa nostra vita.

Ma agli Anonima Sonora sì, abbiamo creduto; la loro musica è stata sincera.

Ai Moth pure, abbiamo creduto, come loro credono gli uni negli altri.

E, alla fine della serata, io mi sono anche sentito un po’ fiero.

Dei miei ragazzi.


Le illustrazioni sono del collettivo Moth.

Andrea Tomaselli
Nasce a Catania nel 1972. Lì si laurea in Lettere moderne con una tesi su Danilo Dolci. Nel 2001 si diploma in tecniche della narrazione al Master biennale della Scuola Holden. Vive a Torino dove lavora alla Scuola Holden come docente di scrittura, drammaturgia e regia, e negli istituti professionali come docente di Lettere. Ha pubblicato il racconto ‘La peste dell'anno uno’ (Feltrinelli, 2014), il libro di poesie ‘Versi erotici nel deserto’ (Eretica edizioni, 2023), il romanzo ‘Bodies, trilogia del poliamore’ (Eretica edizioni, in corso di pubblicazione). Regista dello spettacolo teatrale 'La Crepanza' dei Maniaci d'Amore. Ha curato regia e sceneggiatura dei lungometraggi ‘Zooschool’ (2015) e ‘Kyo’ (2019) (entrambi distribuiti su Amazon Prime Video). Al momento sta lavorando al suo terzo film, ‘Di pietra lavica’ (selezionato al Biennale College 2019 della Biennale di Venezia)

    You may also like

    Leave a reply

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    More in Arte