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L’Armenia si arrende all’Azerbaijan per il territorio conteso del Nagorno-Karabakh: la Repubblica dell’Artsakh di fatto non esiste più

Tutto inizia nel luglio di quest’anno, quando l’Azerbaijan decide di non rispettare la sentenza che lo obbligava a garantire il libero movimento nel Corridoio di Lachin: l’unica strada che collegava l’Armenia al territorio separatista dell’Artsakh. Lo scorso 19 settembre, dopo un graduale innalzamento della tensione, l’Azerbaijan ha intrapreso un’operazione militare nella regione contesa: il Nagorno-Karabakh adesso è azero.

Il Nagorno-Karabakh e il corridoio di Lachin

nagorno karabakh flag

Luglio 2023. Il Corridoio di Lachin è stato interrotto da un check-point militare azero. L’atto ha destato particolare attenzione nella comunità internazionale, soprattutto causa delle ripercussioni umanitarie. Gli USA l’hanno definita una «situazione umanitaria in rapido deterioramento», mentre l’ex procuratore internazionale Luis Moreno-Ocampo ha dichiarato che l’atto è stato «un tentativo di genocidio» nei confronti dei 120.000 armeni dell’Artsakh. L’Azerbaijan ha deciso di farsi valere, impostando una rapida operazione militare, giustificata come azione antiterrorismo, volta al ristabilimento del controllo azero sull’intera regione contesa.

19 Settembre 2023: l‘Azerbaijan attacca il Nagorno-Karabakh

Sono le undici di mattina in Europa quando l’Azerbaijan attacca nuovamente la Repubblica separatista dell’Artsakh. L’operazione inizia gradualmente con dei bombardamenti (effettuati con droni kamikaze israeliani Obiter e missili israeliani LORA) sulle postazione armene di Stepanakert. Le forze russe impegnate nell’operazione di peace keeping in zona non intervengono, si occupano esclusivamente di evacuare i civili armeni dalla regione. Il Ministero della Difesa dell’Azerbaijan ha dichiarato che l’operazione «ha l’obiettivo di far ritirare le forze armene dal territorio azero» e che «le forze di pace russe e il centro di monitoraggio sono stati informati delle nostre operazioni nell’area, le infrastrutture militari armene in Azerbaijan sono state distrutte». L’Armenia ha deciso però di non rispondere militarmente all’attacco azero, provocando di fatto la capitolazione delle forze separatiste nonché la fine dell’Artsakh come entità autonoma.

iran turchia nagorno karabakf bandiera flag

La regione del Nagorno-Karabakh è di nuovo al centro del grande gioco tra le potenze della zona: la Turchia di Erdogan sostiene l’Azerbaijan, la Federazione Russa ha intrapreso una missione di Peace Keeping (attivata in seguito agli accordi di pace del 2020) anche se non si è pronunciata, mentre l’Iran concentra sempre più attenzioni sull’area (oltre a sostenere, velatamente, le posizioni armene). Gli stati dell’area, almeno a parole, tendono a voler placare gli animi e minimizzare. I fatti, invece, dimostrano l’esatto opposto: Baku non può più attendere, il Nagorno-Karabakh deve ritornare sotto il controllo azero.

La Turchia, avendo in comune interessi storico-culturali ed economici con l’Azerbaijan, non ha intenzione di sospendere il suo sostegno ed è anzi pronta a intervenire anche militarmente in caso di ribellioni armene. L’Iran, pur avendo dichiarato di non voler muovere alcun attacco, sta schierando più risorse nella zona di confine con l’Azerbaijan. La Turchia, in risposta alle mosse di Teheran, ha dichiarato che interverrà all’istante semmai l’Iran dovesse prendere parte al conflitto.

I negoziati dopo la guerra lampo nel Nagorno-Karabakh

Il mancato intervento armeno nel conflitto ha permesso all’Azerbaijan di conquistare il territorio conteso in poco più di ventiquattro ore. I primi negoziati, svoltisi a Yervlakh, non hanno avuto il compito di valutare i termini dell’integrazione del Nagorno-Karabakh in Azerbaijan: la Repubblica dell’Artsakh è già sotto il completo controllo azero. I rappresentanti del governo autonomo del Nagorno-Karabakh hanno più che altro cercato di ottenere più garanzie per la popolazione di origine armena residente nella regione, che ha estrema paura di subire discriminazioni e violenze visto che sarà dominata e governata dall’Azerbaigian. I negoziati tuttavia si sono conclusi senza il raggiungimento di un accordo, in settimana ci saranno probabilmente nuovi incontri.

L’Armenia scarta la Russia e sceglie gli USA

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La Federazione Russa, pur avendo una missione di Peace Keeping nella regione contesa, non ha preso posizioni in merito ai comportamenti dell’Azerbaijan. Il premier armeno Pashinyanha, probabilmente logorato dall’ennesima dimostrazione del divide et impera applicato da Mosca, ha ammesso che «la nostra dipendenza dalla Russia per la sicurezza è stata un errore strategico». Ed è proprio in seguito a queste storiche parola che l’11 Settembre è iniziata la Eagle Partner 2023: la prima esercitazione militare congiunta Armenia-USA in territorio armeno. L’Armenia, da sempre tanto filo-russa da avere al suo interno numerose basi aeree russe, incomincia quindi a prendere le distanze da Mosca.

Yerevan inoltre si sta apprestando a lasciare definitivamente la CSTO, ovvero l’alleanza militare reciproca degli stati ex URSS. Questa mossa arriva in un momento di enorme frustrazione nei confronti dell’ormai (quasi) ex alleato Mosca. Il premier Pashinyan ha accusato la Federazione Russia di inerzia per non essere riuscita a proteggere l’Armenia dalla «continua aggressione da parte dell’Azerbaijan». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov non ha tardato a rispondere, esprimendo forte preoccupazione per l’allontanamento da Mosca e per il conseguente avvicinamento degli USA nella regione: «retorica pubblica al limite della maleducazione».

Yerevan sempre più vicina all’Aja

corte penale internazionale armenia

Ma le mosse armene per staccarsi definitivamente da Mosca non finiscono di certo qui: pochi giorni fa è stata annunciata la volontà di ratificare lo Statuto di Roma. Il trattato, firmato dall’Armenia nel lontano 1999 e mai ratificato, comporterebbe il riconoscimento della Corte Penale Internazionale e l’inserimento di Yerevan all’interno della sua giurisdizione.

Il fatto non è assolutamente di poco conto. Soprattutto considerando che la stessa CPI, all’inizio di quest’anno, ha emanato un mandato di cattura nei confronti del presidente russo Putin per i crimini di guerra commessi in Ucraina. Il ministero degli esteri della Federazione Russa, già allarmato dai comportamenti di commiato dell’ormai ex alleato, ha commentato:  «Mosca considera assolutamente inaccettabili i piani di Yerevan di aderire allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale alla luce dei recenti mandati illegali e giuridicamente nulli».