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La morte di Aleksej Navalny è ancora avvolta nel mistero, ma resta una scintilla di libertà.

Il 16 febbraio nella prigione più isolata (e gelata) di tutta la Russia (Harp), che si trova in Siberia, oltre il Circolo Polare Artico, Aleksej Navalny è morto.
Già nel 2020 era stato vittima di un tentativo di assassinio, avevano cercato di ucciderlo con un tè avvelenato. Venne trasportato in un ospedale della Germania, dove riuscì a recuperare la tragica situazione. Avrebbe potuto restare tranquillamente in Germania, ma è tornato con un grande coraggio nel suo paese sapendo di rischiare la morte. Navalny era tornato per far capire ai russi che non si deve aver paura anche se c’è qualcun altro con più potere.

Dopo la morte di Navalny, molte persone hanno deposto fiori ed esposto cartelli, ma subito la polizia li ha tolti e hanno arrestato chi si opponeva. Il governo aveva persino vietato ai famigliari di vedere il corpo di Navalny, mentre la moglie Yulia ha dichiarato di voler continuare la battaglia del marito. La speranza è che alla fine la morte del più noto oppositore di Putin possa aiutare i russi a ribellarsi alla dittatura. 

Sembra che il governo russo tema che le vere cause della morte di Navalny possano venire a galla: secondo alcuni giornalisti stranieri, sarebbe stato colpito con un pugno forte e improvviso al cuore: un metodo crudele che  usava in passato la polizia segreta di Mosca. 

Speriamo che un giorno,  anche in Russia, si possa parlare di vera democrazia.


Daniel Brignone, 2E IC Cuneo Oltrestura

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