My vote, my choice: la politicizzazione dell’aborto negli Stati Uniti
Pro-life, pro-choice, national abortion ban, my body/my choice, abortion is healthcare: tutte queste sono parole che, affacciandosi alla finestra politica che dà dall’altra parte dell’oceano, quella degli Stati Uniti, è impossibile non aver letto o sentito almeno una volta. Si tratta del vocabolario essenziale per capire e parlare dell’aborto, che, nelle elezioni presidenziali del 2024, è una delle questioni centrali insieme all’immigrazione, alla guerra in Ucraina e alla relazione con Israele e con la Cina.
I candidati Joe Biden e Donald Trump pianificano i loro comizi elettorali prestando particolare attenzione attorno a questo tema, che due anni fa ha (ri)aperto una voragine di divisioni ideologiche. A fine giugno del 2022 infatti, la Corte Suprema – l’organo politico che di occupa di monitorare la costituzionalità di una legge federale – ha abolito la storica sentenza del caso Roe v. Wade (1973), cioè quella che da cinquant’anni riconosceva nella pratica dell’aborto un diritto costituzionale, e si impegnava quindi a legalizzarlo e tutelarlo. Roe v. Wade non è successo per caso: è stato infatti il frutto del duro lavoro di protesta e rivendicazione femminile di uno dei centinaia di movimenti della controcultura degli anni ’60, concentrati sui diritti civili e sul rovesciamento dell’establishment che non si curava delle donne come di cittadine al pari degli uomini.
Di fatto, ciò che è successo con la decisione della Corte Suprema nel 2022 ha significato due cose contemporaneamente: la cancellazione di una legiferazione federale, cioè su tutti gli stati americani, e quindi anche una responsabilizzazione degli stati stessi che, uno a uno, hanno ora la facoltà di decidere autonomamente sull’argomento dell’aborto. Anche questo risvolto politico è il risultato tanto atteso del lavoro di qualcuno: quello della destra religiosa ultraconservatrice antiabortista, e della spina dorsale che sostiene oggi questo movimento, gli evangelici bianchi.
Si fa tradizionalmente risalire il risveglio di questo movimento, chiamato Religious Right o Christian Right, proprio intorno al 1973: una risposta morigerata e impellente al bisogno di frenare la legalizzazione dell’aborto. La verità storica, però, è che agli evangelici bianchi non era importato loro un granché di Roe v. Wade, al momento dell’ufficialità della sentenza: ritenevano la moralità dell’aborto una questione cattolica, oltre che una pratica tutto sommato tollerabile in giustificazione di situazioni come «la salute individuale, il benessere della famiglia e la responsabilità sociale.»
Tra i cattolici stessi, nonostante l’innegabile impegno antiabortista contro la legalizzazione nazionale, la comunità era innanzitutto preoccupata di una nuova legislazione che poneva limiti alla libertà riproduttiva delle famiglie, e quindi sentivano l’urgenza di proteggere gli americani da un governo che, secondo loro, negli anni Settanta stava cercando un controllo demografico in un’ottica di stabilità della dimensione della popolazione americana.
Se dunque né gli evangelici né i cattolici sembravano realmente interessati a entrare nell’orbita della politica, e anzi osservavano accigliati le decisioni del governo, qual è allora la genesi della coalizione religiosa, il movimento politico che oggi influenza con maggiore forza tutta la destra americana e che porta ?
Randall Balmer parla di un incidente politico e dell’astuzia di un uomo, Paul Weyrich. Weyrich è stato un attivista conservatore e leader della destra religiosa degli anni ’70, e la sua perspicacia è legata all’aver riconosciuto la necessità, per i movimenti religiosi, nell’affiliarsi ad una fazione politica già esistente del governo americano. Insomma, lo sforzo per la diffusione dei valori morali e il desiderio di una conservazione della tradizione sarebbero stati decisamente più effettivi, politicamente parlando, con l’entrata dei movimenti religiosi nel blocco elettorale della destra americana – il partito democratico non era neanche stato preso in considerazione, in quanto il partito delle minoranze impegnato storicamente nella lotta per i diritti civili. Con questo obiettivo nasce la Moral Majority, l’organizzazione politica che mobilitava la forza politica dei cristiani conservatori, fondata da Weyrich e Jerry Falweel Sr. nel 1979.
Le elezioni di metà mandato del 1978 poi, hanno rappresentato il vero momento di slancio dei movimenti religiosi nell’arena politica: gli antiabortisti si sono impegnati in un’organizzazione di volantinaggio intensivo nei parcheggi delle chiese durante quattro gare per il Senato del New Hampshire, Iowa e Minnesota, riuscendo nella mobilitazione di una più ampia sezione degli evangelici, una base elettorale che ha trovato nell’aborto il ‘motivo’ politico fondamentale per impegnarsi politicamente.
Oggi, erede di quella strategia per costruire quella base elettorale, l’argomento dell’aborto vive la sua più grande fase di politicizzazione: non passa giorno in cui le principali testate giornalistiche americane non raccontino, con sezioni dedicate – gli aggiornamenti sulla questione, come i singoli stati si stiano organizzando internamente e di come i due sfidanti a queste elezioni, Biden e Trump, possano sfruttare le evoluzioni per assicurarsi più voti alle elezioni presidenziali di novembre. Biden, un uomo cattolico di 78 anni che a lungo ha avuto una relazione ambigua con l’opinione personale sull’aborto – non menziona direttamente quasi mai la parola e preferisce invece optare per «Reproductive Freedom » – in campagna elettorale cerca di sotterrare Trump appellandosi alla narrazione di «Trump did this» . In questo video mostra la storia di una donna che non ha potuto accedere alla procedura medica salvavita dell’aborto in Texas, nel 2022, dopo un aborto spontaneo alla diciottesima settimana che le ha causato un’infezione. In Florida invece, uno stato storicamente repubblicano, a inizio aprile ha dato l’okay per un referendum nazionale per decidere sul futuro di una legge che vieterebbe l’aborto dopo la sesta settimana. I democratici hanno esultato: si tratta anche qui di una piccola vittoria utile alle strategia elettorali, poiché si apre uno spiraglio nella possibilità che, a novembre, lo stato non voti più per Trump.
C’è un punto importante da affrontare, a conclusione di questo racconto: la politicizzazione dell’aborto e il suo racconto, attraverso media che ne parlano, non raccontano veramente ciò che pensano gli americani. Parlando di aborto, gli americani sono abbastanza d’accordo fra loro, al di là delle apparenze: l’85% delle persone ritengono che debba essere legale (il 34% in ogni caso, il 51% entro certi limiti) . « No, la maggior parte dei repubblicani non vuole vietare tutti gli aborti a partire dal concepimento. E no, la maggior parte dei democratici non vuole consentirli fino alla nascita. » riporta Axios. Le profonde divisioni che sembrano trasparire sono in realtà amplificate dalle voci più estremiste dei social media, e dai politici provocatori che le guidano, come quella di Donald Trump.
Ce lo dimostrano anche i sondaggi di canali di informazione di controllo repubblicano – e quindi meno oggettivi – come Fox News: 7 americani su 10 sostengono la legalizzazione del Miferpristone, steroide sintetico utilizzato come farmaco per l’aborto chimico. ♦︎
Crediti immagine: Arte feministas en las calles de Nueva York – Orlando Reynoso Orozco