Granelli di polvere fluttuano sospesi in una lama di luce che si infila tra le tende e si posa sulle centinaia di tomi che popolano la mia libreria. Con lo sguardo seguo il profilo di quei volumi, gli occhi scivolano sul dorso di ognuno di essi sfiorando i contorni di un ricordo nella mia mente, come il tocco di una mano sulla schiena nuda, quasi impercettibile ma sicuro, capace di risvegliare un fremito invisibile. Cerco ripetutamente tra i ripiani della libreria uno in particolare di quei tomi fino a quando: eccolo! Sfilo un pesante librone con la copertina blu, un po’ sbiadita sui bordi, e lo apro.

Seduta per terra a gambe incrociate respiro il profumo del tempo rimasto intrappolato tra quelle pagine che si separano adesso con uno scricchiolio, quasi a volersi stiracchiare dopo un sonno immobile durato anni. Ogni traccia d’inchiostro impressa su di esse esiste in una realtà a due dimensioni, uno spazio dove le leggi trascendono la fisica e sfidano l’immaginazione: qui, tra una riga e l’altra, dimorano tanti personaggi, qui, fiaba dopo fiaba, una storia si sussegue a un’altra. È ora che ognuna di quelle favole riprende forma nella mia mente, narrata da quella voce pacata e un po’ rauca di tanti anni fa, sempre la stessa: riesco a vedere me bambina seduta in poltrona, lo sguardo perso tra le delicate rughe sul volto di mia nonna intenta leggermi un racconto dopo l’altro in quei freddi pomeriggi di dicembre, quando i colori delle illustrazioni sulla carta spiccavano nella luce bianca riflessa dalla neve nel giardino.

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Pagine

Nei mesi meno rigidi era lei che ogni giorno, di ritorno da scuola, mi accompagnava in una lunga passeggiata sotto quel viale alberato che disegnava il nostro cammino fino a casa. Ai miei occhi quei tronchi bianchi apparivano tanto alti quanto immobili e silenziosi, come se volessero ascoltare anche loro i racconti di mia nonna. Un pomeriggio, stringendomi per mano, mi insegnò a chiamarli betulle. Quella loro statuaria imponenza era smorzata solo dal mutare delle stagioni: d’autunno le foglie ingiallite si lasciavano cadere stanche attorno a noi, lo scricchiolio di quelle schiacciate sotto i nostri passi faceva da allegro sottofondo alle Avventure di Pollicino, altre volte alla Bella Addormentata nel Bosco.

In primavera i primi germogli facevano timidamente capolino sui rami ancora grigi, e giorno dopo giorno un verde brillante e ancora umido di pioggia si allungava per tutto il viale. In quei pomeriggi, storia dopo storia, mi divertivo a camminare sul bordo dell’aiuola, un piede davanti all’altro, rischiando ogni volta di inciampare e cadere nell’erba fredda e bagnata, ma anche allora la mano di mia nonna non mi abbandonava mai.

Il sole è sceso verso l’orizzonte, trascinandosi dietro quel sottile fascio di luce che ora è scivolato in basso sulla mia gamba a illuminare il tatuaggio ancora un po’ arrossato che pizzica sulla pelle.  

Quella coincidenza mi apre un sorriso nostalgico sul volto.

L’inchiostro disegna i contorni morbidi e poco taglienti di una foglia di betulla. Sotto, una frase impressa per sempre dice: «Qui dove il tempo è immutato e i ricordi sono il presente». ♦︎


Illustrazione di Lara Milani

Gaia Valesano
Dicono di me che sono introversa e di poche parole, la verità è che solo con carta e penna il mio groviglio di pensieri sembra districarsi. Ciò che leggerete qui saranno quindi gli schizzi di un disegno più ampio, un tentativo costante di scovare nei racconti che scrivo la mia stessa storia e di plasmare, al contempo, le storie degli altri.

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