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Eccoci di nuovo qui a Dogliani, per l’undicesima edizione del Festival della TV. Inutile dire che si respira un’aria diversa, che ci riporta in una realtà viva, conviviale, senza quel distanziamento sociale che ci ha tanto allontanati negli ultimi due anni. E chi meglio di Corrado Guzzanti poteva resuscitare un parterre di spettatori rimasto in letargo troppo a lungo

Intervistato da Pietro Galeotti (autore televisivo e giornalista), il re della comicità italiana racconta passato, presente e futuro di una carriera dura a morire.


Corrado, vorrei partire da un aspetto del tuo lavoro che mi ha sempre colpito, ossia la capacità dei tuoi lavori, per quanto “antichi”, di rimanere attuali ancora oggi.

In realtà non è una cosa che mi fa impazzire, sembra quasi che non si riesca mai ad andare avanti, rimanendo ancorati a temi già affrontati in passato, penso ad esempio all’aborto.

Parliamoci chiaro, negli ultimi anni le tue apparizioni in televisione si contano sulle dita di una mano. In tanti sui social compensano questa tua rarità commentando gli accadimenti attraverso una tua battuta o un tuo personaggio. Che effetto ti fa?

Per me è gratificante e inquietante allo stesso tempo! Credo sia normale, oggi sui social vengono riproposte tante personalità del passato, e fino agli anni duemila, insieme a Serena, sono stato molto produttivo lavorativamente.

Ecco, facciamo un passo indietro. Ho letto che da piccolo disegnavi fumetti e li mandavi alle case editrici che puntualmente ti rimbalzavano…

Mi incazzavo tantissimo!

In quei fumetti era già presente lo stile che tutti abbiamo poi apprezzato negli anni?

In realtà no, da adolescente volevo semplicemente scrivere delle storie, le prendevo molto seriamente. Tuttavia rileggendole mi veniva da ridere, così cominciai a scriverne le parodie. Da lì arrivarono i primi sketch, e mi ritrovai da un giorno all’altro a fare un mestiere non preventivato.

Il tuo esordio come attore invece arrivò dopo.

Sì, parliamo dell’89, insieme a Serena Dandini e al suo gruppo. Dissi a lei e alle autrici di implementare altri uomini all’interno del collettivo, e da lì nacque un’esperienza meravigliosa che andò avanti per anni.

Un contesto creativo come pochi altri…

Sì, anche perché all’epoca non si dava così tanta importanza allo share. Pensa che la prima edizione di “Avanzi” su Rai 3 è stata realizzata in uno studio scartato dei mondiali del 90.

Qual è stato il primo personaggio che hai portato nel programma?

Donatella Raffai di “Chi l’ha visto?”, ne interpretavo una versione indemoniata! Successivamente nacque il personaggio di Rokko Smitherson, all’epoca era la parodia di un regista horror, poi lo abbiamo reinventato come commentatore politico. Mi ricordo anche di aver interpretato un Vittorio Sgarbi intento a vendere quadri!

Fra i tuoi personaggi ne hai intercettati alcuni provenienti dal mondo della politica, penso a Umberto Bossi. Ti sono mai arrivate lamentele da parte loro?

Tanti in realtà ne sono sempre stati compiaciuti. Chi si arrabbiò molto fu Tremonti, lui è permalosissimo. Dal punto di vista comico, il politico deve già essere divertente di suo per riuscire a trarne una degna imitazione.

Questo mi porta a chiederti che cosa pensi riguardo alla campagna elettorale, la stai seguendo?

Credo che ormai siano diventati quasi tutti satiricamente autosufficienti! Oggi se fai un’imitazione di un politico gli fai guadagnare dei punti, di fatto l’aspetto della critica si è andato un po’ a perdere.

Nella comunicazione si rendono ridicoli più di quanto si possa farli apparire attraverso una parodia, e si sono resi conto che funziona, specie nel mondo dei social.

Uno dei miei difetti è che sono sempre un po’ in ritardo sulle cose, esiste un momento in cui bisogna stringere e buttarsi

Mi viene in mente un altro tuo grande personaggio, Gianfranco Funari. Lui porta dentro di sé quell’elemento di romanità che per te è molto importante. Credi sia un’aspetto limitante sul piano comico oppure lo rivendichi?

Sicuramente non lo rivendico, mi sembra esagerato. In televisione, come a teatro, ho portato spesso anche tanti meridionali… Ultimamente in una fiction imito addirittura un veneto!

Dove trovi gli spunti?

A volte basta aprire la finestra e mettersi in ascolto, sono dappertutto! Consiglio ai comici di andare nei centri commerciali, sono una fonte inesauribile di ispirazione.

Su cosa stai lavorando al momento?

Sto scrivendo una serie comedy per una piattaforma streaming, un romanzo già postumo che non finirò mai, ma vorrei tanto tornare nei teatri.

Recentemente la vera sorpresa è stata la tua partecipazione a LOL: Chi ride è fuori su Prime Video, un contesto decisamente lontano dal Corrado Guzzanti che siamo abituati a conoscere. Come ti sei convinto a farlo?

Devo dire che gli autori sono stati dei corteggiatori alquanto tenaci, mi hanno tempestato di messaggi e telefonate per mesi. Un giorno, in un attimo di follia, mi sono deciso ad accettare e provare qualcosa di nuovo, ma credo abbiano anche influito i due anni di lockdown che abbiamo vissuto.

E com’è stato?

La ricordo più come un’esperienza sportiva, ma devo dire che mi sono divertito parecchio. Fortunatamente c’era anche la mia grande amica Virginia Raffaele, questo mi ha aiutato molto.

Bisogna poi considerare che le ore di registrazione totali sono tantissime, e a un certo punto io e Maccio Capatonda abbiamo scoperto che gli alcolici sul set non erano succhi di frutta… Da quel momento in poi lo show ha preso una piega differente!

Lol ti ha messo a confronto con una nuova generazione di comici. Quanto li conosci?

Poco. Tanti di loro vengono dai social, un mondo a me estraneo. Ma in generale non consumo tanta comicità, facendolo già di lavoro preferisco rilassarmi e pensare ad altro quando sono a casa. Se dovessi dirti cosa mi piace, penso ai comici inglesi e americani, ad esempio Ricky Gervais.

Da ragazzino invece cosa ti piaceva?

Beh, sicuramente in famiglia abbiamo consumato tutta la produzione artistica di Alberto Sordi, ma in generale sono sempre stato appassionato della commedia all’italiana, penso di aver visto tutti i film di Scola almeno dieci volte. Se dovessi fare nome fuori dall’Italia, direi senza dubbio Peter Sellers.

E rimanendo sul cinema, hai qualcosa in cantiere?

Sì, ci sono alcuni progetti su cui sto lavorando da un po’ di tempo.

A questo proposito vorrei ricordare Il Caso Scafroglia, uno dei tuoi programmi televisivi più folli in assoluto, dove hai mostrato di avere più cifre stilistiche.

Sì, è stato uno dei programmi più divertenti e difficili che abbia mai fatto. Interpretare più personaggi, tra cui me stesso, nello stesso sketch, richiede un lavoro minuzioso e tanta memoria.

Hai una classifica personale dei tuoi lavori?

Non saprei farla in realtà, forse metterei in cima Padre Pizarro, pur avendolo fatto poche volte in carriera. Alcuni dei miei lavori più belli sono pezzi unici e col tempo mi rendo conto che avrei potuto proporli maggiormente.

E di Vulvia cosa mi dici?

Ogni volta che ci penso mi fanno male i piedi! L’ispirazione mi è venuta guardando i documentari, di cui sono ancora molto appassionato, e ricordo che sentivo queste voci femminili che potrei definire suadenti e comiche allo stesso tempo. Fisicamente non sapevamo bene come renderla al meglio, fu una trovata geniale del nostro truccatore.

Ora possiamo dirlo, sta per ripartire Boris. Cosa puoi dirci?

Molto poco, non vorrei essere fulminato seduta stante! Spero che piaccia al pubblico, sarà una stagione diversa da quelle precedenti, dopotutto sono passati tanti anni, ed è ovvio che alcune dinamiche siano cambiate.

Questo progetto attirerà sicuramente nuovi complimenti nei tuoi confronti.

Onestamente? Mi fa sentire un po’ vecchio! Certo, mi fa molto piacere l’affetto che il pubblico mi ha sempre dimostrato.

Il mio pentimento è che alcune cose invecchiano. Hai un’idea, la rimandi, e col tempo perde di significato. Uno dei miei difetti è che sono sempre un po’ in ritardo sulle cose, esiste sempre un momento in cui bisogna stringere e buttarsi”.

Questa è una tua citazione, e come ultima domanda ti chiedo se ora è il momento di buttarsi?

Direi di sì. Molti progetti messi in cantiere e mai terminati sono diventati obsoleti. Oggi la satira consuma molto il presente. Ho sempre avuto bisogno di qualcuno che mi controllasse per portare a termine i lavori, tendo spesso a riscriverli mille volte, non sono mai soddisfatto.