Petru Dobranski non è solamente un ottimo alpinista, un esperto escursionista delle alpi cuneesi e della Valle d’Aosta, un infaticabile esploratore. È, in particolare, un divulgatore della montagna più vera, un rappresentante dell’esplorazione come anelito umano. Un uomo che incarna l’ideale della scoperta e la comunione ancestrale esistente, in origine, fra uomo e natura. Fra umano, legno, pietra e quella solitudine, quale maestosa libertà, che pochi conoscono. E che si respira, autenticamente, solo in montagna. In quelle montagne non ancora interpolate, plasmate dalla mano dell’uomo. Quelle che restano autentiche, selvagge, virginee, illibate dalla mano umana. Montagne come le nostre Alpi Marittime e Cozie.

Cuneo. Le valli cuneesi. Alcune delle più belle (e delle più alte) montagne d’Europa. Ci perdonino quelle del Trentino, ormai elette ad unicum, a bellezza assoluta, fra i montanari della domenica, dai maestri del turismo, dall’industria della montagna. Non è così per tutti, fortunatamente. Tale gerarchia, infatti, non impera fra gli appassionati e fra gli escursionisti. Appassionati come è Petru Dobranski.

Molto ci siamo lamentati della nostra proverbiale, ormai storicizzata, scarsezza di infrastrutture ricettive, della nostra episodicità nel creare un bacino turistico nella nostra montagna. Quando siamo riusciti nell’intento, abbiamo pagato un caro prezzo. Un prezzo, oggi, presente e inemendabile a ricordarci quanto gravosa e pesante possa essere la mano dell’uomo, quando empia, sulla natura. Montagne deturpate, sfasciate, scavate nell’anima. Cime non più presenti a loro stesse, prive di autentica, e naturale, identità. Basti vedere ciò che è stato fatto in diverse località delle valli torinesi. Un fiume di cemento, palazzi e grattacieli, casermoni utilizzati per qualche settimana olimpionica, ora alla mercé del degrado. Montagne ferite da pistoni per il pubblico ludibrio. Montagne dove la natura è sopraffatta dal business, dai soldi del turismo di massa. Dove la montagna ha importanza solo per qualche mese all’anno, e solo se vi è neve. Natura valevole e utile solo per fare pagare un biglietto, quello della giornata bianca. Un mondo sfruttato e piegato, senza riconoscenza, solo per il divertimento, solo per l’interesse.

E allora dico grazie alla povertà turistica, alla relativa limitata fama delle nostre alte alpi, alla confinata influenza dell’uomo sulle nostre montagne. Dico grazie al fatto che le nostre montagne siano restate di nicchia, frequentate da alpinisti e non da masse brulicanti di turisti della domenica. Perché possiamo vivere ancora una montagna vera, libera, autentica come millenni fa, popolata da una fauna altrove scomparsa. Avremmo molto da imparare, noi, dai francesi. Dove turismo e montagna vivono nella semplicità e nel rispetto dell’autenticità montana, come fossimo rimasti a un secolo fa.

Fra i narratori di questa montagna voglio sottolineare Petru Dobranski, che abbiamo video-intervistato qualche settimana fa presso il Belvedere di Mondovì Piazza.

Petru è un alpinista, escursionista, scialpinista trapiantato qui da noi da una ventina d’anni. Un uomo che si è fatto da sé, contando solo sulla sua forza di volontà, sulla sua resilienza. Valori che ha posto, a piene mani, anche in montagna, dove ci trasporta, tramite i video che egli pubblica abitualmente sui suoi canali social, con sé e la solinga grandezza della montagna, in un mondo che, seppur sia così vicino alle nostre città, pare un’altra dimensione. Quella della natura e della severa bellezza delle nostre vallate.

Fra i tanti bravi alpinisti che conosco, o dai quali ho potuto apprendere le mie conoscenza montane, ho scelto Petru come massima espressione dell’andare in montagna. Non tanto per le sue spiccate qualità tecniche, ma perché egli è una chiave di lettura per comprendere cosa sia l’inebriante combinazione fra uomo e pietra, fra paura e libertà.

Là, arroccato fra guglie marmoree, fra pendii rossastri, in luoghi ostili, egli manifesta, in maniera ermeneutica, quasi simbologica, il rispetto, l’appartenenza e l’inscindibile coesione fra uomo e natura. Una comunione fatta dall’ammirazione della natura, ma anche dalla presa di coscienza dell’essere lontani dal nostro mondo, in una realtà impietosa e severa: perché la montagna nulla perdona, può essere matrigna, può cogliere alla sprovvista. Ma là, soli, a contatto con la natura indomita e indomabile, nello spirito della solitaria (come Petru pratica in montagna) non vi sono freni, non vi sono limiti. Solo noi, solo la montagna, solo le nostre capacità di interpretarla, di comprenderla e, così facendo, di conquistarla.

Buona visione.

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