Skip to main content

Silvestro Alberto ci rivela alcune delle curiosità che stanno dietro i suoi piatti più riusciti

Il termine ristorazione indica l’insieme delle attività collegate alla preparazione ed alla somministrazione di cibi e bevande.
In questi ultimi anni il settore della ristorazione ha subito importanti cambiamenti, infatti lo sviluppo economico, l’evoluzione della società e delle abitudini alimentari hanno portato ad un ampliamento delle strutture di ristorazione al fine di soddisfare una clientela sempre più esigente che per svariati motivi (lavoro, svago, turismo) consuma sempre più spesso pasti fuori casa. Per questo, accanto a luoghi di ristorazione più tradizionali come osterie, ristoranti, pizzerie sono nate sul nostro territorio nuove strutture come fast-food, food-truck, self-service, poke, ristoranti cinesi, thailandesi, giapponesi.

L’obiettivo di questo articolo è quello di mettere in risalto quei luoghi di ristorazione che vogliono recuperare e valorizzare le tradizioni enogastronomiche del nostro territorio.
A tal proposito ho intervistato Silvestro Alberto, proprietario e chef del ristorante Locanda da Peiu, attività in vita ormai da tre generazioni.

D: Signor Alberto è corretto dire che il locale è in vita da tre generazioni?
R: Sì, è corretto, il ristorante infatti nasce nel 1939 gestito dai miei nonni paterni col nome di trattoria Celdit così chiamato perché negli stessi anni nasceva anche la cartiera Celdit.
Una gestione familiare portata avanti, in un secondo momento, da mio papà Pierangelo. Siamo negli anni 70, la trattoria Celdit diventa ristorante Locanda da Peiu, i miei genitori, papà in cucina e mamma in sala, fanno crescere il locale fino a quando, finita la scuola alberghiera, prendo posto in cucina accanto a mio papà che nel 2008 mi cede il testimone.
Siamo a tre generazioni, quasi quattro visto che mio figlio Tommaso sembra voler portare avanti la tradizione.

D: Perchè il locale si chiama così?
R: Il ristorante si chiama così perché Peiu è il soprannome con cui viene chiamato mio papà, quando sono subentrato io nella gestione ho deciso di mantenere questo nome e la tradizione.

D: Possiamo dichiarare che il suo ristorante conserva e valorizza la nostra tradizione enogastronomica?
R: Sicuramente sì, tutti i piatti sono legati alla tradizione del nostro territorio anche se alcuni sono stati rivisitati in chiave innovativa.

D: Pur conservando la tradizione, dove c’è innovazione nei suoi piatti e nel suo locale?
R: La tradizione è presente nella scelta della materia prima, l’innovazione la troviamo di più nelle tecniche di cottura, di conservazione e nella presentazione del piatto finale.
Un esempio è la dadolata di fassona che può essere definita un’evoluzione della classica battuta di fassona, la carne anziché essere tritata viene tagliata in cubetti serviti con salse come quella all’aglio e prezzemolo, che ricordano la tradizione.
Anche il locale nel corso degli anni ha avuto una serie di ristrutturazioni per renderlo più accogliente e al passo con i tempi.

D: A proposito di nuove tecniche di cottura, che comunque mantengono la tradizione, ci può fare un esempio?
R: Certamente, un esempio è la cottura a bassa temperatura della carne che ha il vantaggio di renderla più tenera. Per fare un esempio concreto parliamo di vitello tonnato, piatto della tradizione, una volta il pezzo di carne veniva bollito con il rischio di rendere la carne dura se troppo cotta, ora la cuociamo in forno a bassa temperatura garantendo il sapore della tradizione ma con la certezza di una cottura ideale.

D: Quali sono i piatti tipici del suo locale?
R: I piatti tipici del mio locale sono i classici piatti della cucina piemontese: la battuta di carne cruda, la bagna cauda, il vitello tonnato, i gnocchi al castelmagno, ravioli ripieni di fonduta, la selvaggina, i tartufi, le lumache, a seconda della stagione proponiamo piatti diversi.

D: Lei teme le nuove attività di ristorazione?
No, perchè secondo me tutto ciò che segue una moda è destinato a finire mentre la tradizione è una garanzia che rimane nel tempo.

R: Consiglia questo tipo di lavoro ai giovani?
Certamente lo consiglio perchè è un lavoro che dà grandi soddisfazioni anche se richiede molto sacrificio, tante sono le ore giornaliere di lavoro!
Ciò che mi permette di affrontare il sacrificio è la passione che fin dall’inizio mi ha spinto a seguire le orme dei miei genitori.

Dopo aver salutato lo chef quel che rimane della lunga chiacchierata è sicuramente la voglia di provare i suoi piatti!


Pietro Bruno, 2E IC Cuneo Oltrestura

Leave a Reply