Venti anni di Di martedì era il titolo del panel dedicato a Giovanni Floris. Storico conduttore di La Sette di programmi fortunati come Ballarò e Di Martedì. Tuttavia lo speech si è aperto già da subito con temi di attualità e con un impronta più generalista. Floris ci dice cosa ne pensa della situazione Afghana e di molti altri aspetti.
L’idea che un fatto storico potesse essere trattato come un fatto politico o un fatto di cronaca, l’idea, secondo me, sbagliata ontologicamente che la democrazia si potesse esportare, come conseguenza di quell’atroce atto terribile (torri gemelle 11 settembre 2001), non sbagliata in se, ma aveva bisogno di tempi legati alla storia e non alla cronaca. Se pensiamo all’idea di costruire una democrazia in un territorio, in una popolazione che non l’ha mai assaporata non possiamo pensare che vent’anni bastino. Non possiamo immaginare che i tempi dell’orologio corrispondano ai tempi della storia. Non possiamo immaginare di stancarci dopo vent’anni. Già è sbagliato, ma se te ne vai pure sbagli due volte. E l’idea che quello che stesse succedendo in quei giorni nel 2001 riguardasse la storia. Si mi ha colpito […] capire quando una cosa è più grande di me. Ci sono cose che riguardano, non il giornalista, ma l’umanità e in questi vent’anni ne ho viste sicuramente due.
Andrea Malaguti fa una domanda ancora più puntuale: Gli americani adesso se ne vanno, dopo venti anni […]. Uno si domanda quali responsabilità ha avuto l’Europa, quali noi, quali la NATO?
Quando l’occidente ha abbandonato l’Afghanistan la parola più twittata era la parola legata ad una iniziativa di trend, di moda. Nessuno si è preoccupato degli accordi di Doha, nessuno ha seguito la vicenda, perché semplicemente non ci interessa. Non è tanto il senso di colpa che scatta ora, non è nella nostra agenda e non è nella agenda della popolazione che pensa altro. Voi pensate a Bush che ha messo gli americani e Trump che li ha tirati fuori. Ma pensate anche ai passaggi intermedi in cui l’America professava le guerre si fanno ma senza mettere lo scarpone sul terreno. Era un modo di dire, guardate non ci impegniamo troppo. Ma se vuoi le cose ti devi impegnare. Se togli lo scarpone dal terreno ottieni nulla. Ed in questo rivedo tanti aspetti della politica interna, chi è che sceglie i leder, chi sceglie i temi che sono di attualità? Sono temi che ci hanno interessato a livello comunicativo di informazione. L’attentato alle Twin Towers ci ha interessato come fruitori di informazioni, non come esseri umani del mondo, e quindi dopo venti anni non ne possiamo più e ce ne andiamo
Andrea Malaguti vira verso il topic del Panel andando a domandare: Come nasce Ballarò?
Ballarò nasce da una idea di Paolo Ruffini che era il mio direttore del giornale radio che mi assunse. Poi andai a NY, lavorai, divenni corrispondente. […] Poi nacque questa trasmissione di transizione con la fine di Biagi e San Toro, un periodo in cui chiunque arrivasse era quanto meno sottostimato. E io ero il ragazzino. Ruffino vide l’opportunità: tu vai, inizia. E che fanno ne chiudono tre?
Tu ti sei sentito subito all’altezza?
Io non mi sentivo all’altezza, non di Biagi e San Toro, ma non mi sentivo all’altezza del Talk. Questo è stato un grande vantaggio, perché è un lavoro difficile per il quale non ero formato. Io vengo dalla redazione economica, dalla radio, dalle agenzie. Avevo tutto un altro tratto. Un tratto che taglia la discussione invece di alimentarla, avevo il lato economico che non era il tema, che allora era la morale. […] Noi iniziamo a fare i servizi, non sulle fidanzate di Berlusconi, ma sui frigoriferi vuoti. La cosa sembrava un giornalismo di Basso livello. Ma in realtà apriva il tema fondante dell’economia che ha dominato da Berlusconi al Covid. Avevamo capito che la verità si inseguiva nei dati di fatto più che nelle posizioni di principio.
Poltica e Censura? Hai dovuto rispondere a domande e ad aggressività?
Fa parte del pacchetto, non si può avere solo la botte piena, bisognava combattere di più. […] il primo voto che mise Grillo sul web fu: Floris, cameriere o giornalista? Io andai ad una intervista in cui c’era anche Bush a cena, eravamo al Watergate come inviati. Allora mi sfilai dal tavolo e mi misi di nascosto dalla parte con il mio microfono perché ero alla radio. Solo che non mi accorsi che ero alla fine di una sfilata di camerieri Messicani. Bush passa tutta la sfilata e viene da me e mi fa: “Voi Messicani siete L’orgoglio della America, tenete duro” e se ne va. La politica sempre si contrappone. Dal mio punto di vista e non essere tu a contrapporti al politico, cioè tu devi dare l’idea che lui sia in buona fede e che stia dicendo la verità. Perché se sei in buona fede ti vengono molte più domande.
Sempre che te le lascino fare, avete delle regole di ingaggio? Dei tentativi di imporre un certo numero di domande a o un certo interlocutore?
Io ho un grande vantaggio, in studio ci sono io. Ormai che senso ha eliminare un giornalista o l’altro. Se vieni al mio programma accetti tutto.
Linea Editoriale di La Sette?
Io non saprei dare una linea editoriale alla mia. È ovvio che ce l’ho perché sono in risultato di una formazione. La formazione non è la politica. Ho una formazione politica, ma il giornalista è una altra cosa. Io ho sempre pensato il giornalista può essere fazioso il giornalismo no perché è un metodo. Il metodo di Di Martedì è fare la domanda giusta al momento giusto.
Il pubblico segue Floris? Segue te?
Il grande vantaggio di la sette è che il pubblico non segue me, ma quello che dico. A La sette devi andare per un motivo.
Il Talk politico è capace di fotografare la situazione del paese?
Più informazione più pubblico. Il monopolio sulle trasmissioni è passato. Adesso ci sono tante voci. Come Otto e mezzo. E no non ci sono state forzature a chiudere perché se ci sono tante bocche di informazione al politico conviene averne il maggior numero aperto perché prima o poi una delle tante dirà quello che vuole perché ci sarà sempre l’altro. C’è sempre un conduttore che fa sempre la domanda da differenza dell’altro editore.
I social: elemento di disturbo, arricchimento? Non lo abbiamo ancora capito.
Secondo me i social sono un mondo parallelo che non sfiora il mondo dell’informazione. Di martedì è stato il programma più twittato in un determinato anno, i temi che scelgono non incidono.
No Green Pass? Molto forti a livello social?
Esiste una fascia di popolazione che è disturbata dall’idea che qualcosa possa andare bene. Noi ci confrontiamo sempre con NO Euro, No vax, No tutto quello che fi fa star meglio. Una fetta di popolazione che ha una rabbia anarchica verso tutto quello che è condiviso. Una parte di regole per la libertà non sono condivise.
Obbligo vaccinale?
Assolutamente d’accordo. Contro l’epatite B siamo tutti vaccinati, non vedo la differenza. E poi bisogna affidarsi. Non possiamo sapere tutto. Bisogna affidarsi alla competenza. Il problema è che le persone votano per dei politici che interpretano gli stati d’animo, cioè qualcuno che sappia empatizzare con i nostri problemi anziché risolverli: La popolazione sta male? Sto male anche io. Non uno che ti dice ti faccio stare bene. Se vogliamo qualcosa dobbiamo sacrificarci un pochino. Se vuoi la sanità la paghi. Se vuoi stare bene ti fai il vaccino. Tendiamo a saltare dei passaggi. Siamo andati dietro a dei personaggi che saltavano i sacrifici: l’imprenditore che faccio tutto io = Berlusconi, al comico geniale che salta i passaggi = Beppe Grillo, al giovane brillante = Renzi, all’uomo con il polso duro = Salvini. Adesso c’è l’idea che la donna giovane sappia risolvere i problemi = Meloni.
Fare una trasmissione senza pubblico?
Il pubblico è sempre stata una parte fondamentale di Ballarò. Il pubblico non lo fermi. All’epoca di Ballarò c’erano le file per entrare a contestare, cercavamo di compensare. Tu pensavi di fare squadre ma non ci riuscivi. Mentre nel primo Di Martedì, nel periodo del populismo ci sono stati applausi un po’ per tutto. La mancanza di pubblico in studio ha favorito un maggiore focus sui temi, ma è sempre stata parte in causa.
Perché Di Martedì?
Lo scelse Ruffini perché voleva che la settimana fosse iniziata e perché il giovedì era stato di San Toro. Quando siamo passati alla Sette (tutta Ballarò) abbiamo scelto il nome della Messa in Onda.