Il nuovo anno e la sfida della ripartenza tra angoscia e speranza

Sono le 23.55 di un 31 Dicembre fuori dal normale. Alfonso Signorini e Amadeus compaiono ad intermittenza sui televisori e la mente inizia a compiere un “year rewind” in tipico Youtube style trovando essenzialmente quattro emozioni altalenanti per 366 giorni insoliti: speranza, sollievo, paura e angoscia. Se in questi giorni non avete vissuto su un’isola deserta lontani da ogni tipo di connessione con il mondo esterno avrete sicuramente letto molti post sull’anno appena conclusosi e sicuramente le quattro emozioni sopra citate sono comparse nelle vostre homes social. Il nuovo anno le racchiude tutte ma forse le stiamo affrontando nel modo sbagliato: stiamo cercando di dimenticare la lezione del 2020 così come nell’ immediato Dopoguerra si è cercato, nella mente di coloro i quali avevano vissuto la tragedia della guerra e della Shoah, di rimuovere (legittimamente) il ricordo della grande difficoltà vissuta, come se essa fosse effettivamente scomparsa in uno schiocco di dita. I drammi di allora vivono ancora oggi, abbiamo solo costruito strumenti per prevenirli, il covid vive ancora, abbiamo solo un nuovo strumento per combatterlo. Davanti ai buoni propositi di inizio anno e ai giusti sentimenti di speranza e sollievo che albergano nel nostro animo dovremmo essere capaci di costruire a partire dalla memoria di quanto accaduto, e non dalle speranze di lasciarci tutto alle spalle: così come un bambino impara la giusta distanza dal fuoco scottandosi con esso, allo stesso modo siamo chiamati da coloro di cui siamo responsabili a capire che la bruciatura della malattia pandemica ci lancia una sfida di ricostruzione dall’angoscia di cui la speranza è un mezzo. Il mese scorso è stato Enea e il suo essere Pio (e quindi ligio al dovere verso la sua gente e ai fati) ad averci guidato nel prendere le armi dell’animo contro una pandemia delle menti e dei corpi, oggi invece sarà Rainer Maria Rilke a cantare l’angoscia del sentirsi schiacciati dagli eventi della vita.

Veduta di Praga

Rilke nasce a Praga il giorno 4 dicembre 1875, appartenente alla classe borghese cattolica Boema e trascorre un’infanzia e un’adolescenza piuttosto infelici. I genitori si separano nel 1884 quando lui ha solo nove anni; tra gli undici e i sedici anni viene obbligato dal padre a frequentare l’accademia militare. La sua mancata propensione per le armi innesca un rapporto conflittuale con il padre e abbandonato l’esercito si iscrive all’università della sua città; continua poi gli studi in Germania, prima a Monaco di Baviera poi a Berlino. Sarà comunque Praga a fornire l’ispirazione per le sue prime poesie. Nel corso della sua vita si imbatté nell’amicizia e amore di Lou Salomé, donna amata da Nietzche, con la quale inizia un carteggio che durerà tutta la vita. In una di queste lettere il giovane poeta narra il suo vivere l’angoscia in toni così vicini a noi da essere ispirazione per il domani. Egli racconta in seguito ad un evento sconvolgente accaduto ad inizio giornata:

[…] E come quel mattino ce ne sono stati tanti altri, e tante sere. Se solo fossi riuscito a fare delle angosce così come le avevo vissute dentro di me, se ne avessi tratto la capacità di formare delle cose, cose quiete e reali, da creare serenamente in libertà ed alle quali, una volta che esistono, rimane in silenzio che dà pace; se avessi potuto fare tutto questo non mi sarebbe accaduto nulla.

L’interrogarsi di Rainer sul poter ricostruire proprio a partire dal tremore che ci pervade quando siamo oppressi dagli eventi lo viviamo ogni giorno: cerchiamo di progettare un futuro incerto, programmando vacanze, spostamenti di lavoro o studio, visite ad amici o festini clandestini senza fare i conti con la nostra incapacità di creare cose “quiete e reali”. Costruiamo false libertà nel timore di una multa o di una malattia, senza aver imparato a ripartire dall’angoscia e dalle possibilità momentanee ad essa connesse e , mentre il paese si tramuta in un twister di zone a colori caldi, la nostra sete di normalità vince costantemente la razionale e faticosa voglia di ricostruire come si deve. Non ne siamo usciti migliori, questo è un dato accertato, ma siamo ancora in tempo per ripartire. Viviamo nella sete di soluzioni quando la maggioranza di noi non ha competenze mediche o economiche alcune per trovare vaccini o misure di welfare ma nonostante ciò ci lasciamo andare a lunghi dibattiti facebook su cose di cui non conosciamo nulla se non le pillole di virologi da talkshow. Il cittadino consapevole, il cittadino con senso civico, deve vivere le domande, non cercare soluzioni di cui nulla sa e nulla puo’. In un carteggio con un giovane poeta il nostro Rilke esclama proprio ciò che più ci manca in questo vivere storico:

“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore e…
cerca di amare le domande, che sono simili a
stanze chiuse a chiave e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che possono esserti date
poichè non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga,
di vivere fino al lontano
giorno in cui avrai la risposta”.

Quanto consapevolmente abbiamo vissuto le domande sulla nostra fragilità personale e societaria in questo momento così difficile di privazioni personali se il nostro pensiero fisso è quello di non farsi beccare dalle forze dell’ordine mentre tentiamo un ritorno a casa dopo le 22? Lungi dal fare moralismi, la questione rimane alle nostre coscienze personali sapendo che non vivendo le domande che il 2020 ci lascia in dono ci ritroveremo a dover affrontare di nuovo noi stessi in altre circostanze dando la medesima risposta dell’anno appena trascorso: fuga da sé e lamentele. Affrontatevi, affrontiamoci e il 2021 sarà un anno diverso.

Buon anno!

Samuele Migliore
Vicepresidente, teologo in erba, collaboro con l'Osservatore Romano e alcune testate diocesane locali. Dal 2023, dopo 5 anni da insegnante, sono educatore a Corviale, nella periferia di Roma, dove lavoro con minori a rischio devianza.

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