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Con La rosa di Bagdad di Anton Gino Domeneghini diamo uno sguardo all’animazione italiana degli anni Quaranta.

Questo è il quinto appuntamento con #animazione115. Dopo uno scorcio sull’animazione non narrativa, torniamo a parlare di animazione narrativa grazie al primo lungometraggio animato italiano.
In questo appuntamento ci concentriamo sull’animazione del nostro Paese dando uno sguardo anche agli anni precedenti il decennio in questione.

La rosa di Bagdad. Un focus

Un cicchetto di trama

A Bagdad la principessa Zeila, figlia del califfo, è prossima al matrimonio e, per l’occasione, vengono invitati tutti i principi pretendenti dai territori confinanti. A palazzo, però, il visir Jafar trama per sposare la principessa e potere, così, conquistare il regno; per farlo è intenzionato a metterle un anello stregato al dito che la farebbe acconsentire alle nozze. Amin, il giovane maestro di musica di Zeila, scopre il complotto ma rivelarlo e fermare Jafar non sembra essere una cosa così semplice. Come riuscirà il giovane a salvare la principessa e il suo regno dal perfido Jafar?

La principessa Zeila. Fotogramma de: La rosa di Bagdad © 1949 Anton Gino Domeneghini/IMA Film
La principessa Zeila. Fotogramma de: La rosa di Bagdad © 1949 Anton Gino Domeneghini/IMA Film

Oltre la trama

Quando Anton Gino Domeneghin cominciò a realizzare il suo primo e unico lungometraggio – visto che poi si sarebbe dedicato esclusivamente alla pubblicità – aveva già visto, come molti italiani anni undici anni prima, Biancaneve e i sette nani e ne era rimasto fortemente e piacevolmente colpito.
La cosa risulta abbastanza evidente in molte situazioni de La rosa di Bagdad (particolarmente in quelle scene con protagonisti i tre ministri del sultano Tonko, Zirko e Zizibè) poiché, nonostante l’ambientazione sia orientaleggiante, le atmosfere lungo tutto il film sono fortemente debitrici del primo Classico Disney.

La regia di Domeneghin è semplice, non particolarmente memorabile ma riesce comunque a donare scene che rimangono impresse anche grazie al montaggio di Lucio de Caro. Personalmente apprezzati molti degli scenari e la colonna sonora di Riccardo Pick Mangiagalli: semplice ma coinvolgente.

Una produzione travagliata

Per realizzare il film ci vollero sette anni e ciò ci riporta indietro, nel pieno della Seconda guerra mondiale.
Nel 1942 i bombardamenti alleati su Milano non possono risparmiare la casa produttrice dell’opera, la IMA film e la produzione si spostò nelle, momentaneamente, più sicure zone della Franciacorta dove Domeneghini e il resto della produzione poterono terminare i disegni. Questi furono poi spediti a Stroud, Regno Unito, dove negli studi di Anson Dyer si poterono realizzare le riprese in Technicolor, Gli studi di Dyer, utilizzati anche da Walt Disney, erano gli unici in Europa a disporre della tecnologia del Technicolor.

Con questa nota alla produzione del film proviamo a fare il punto, visto che non l’abbiamo fatto nei mesi precedenti, sullo stato dell’animazione in Italia.

Lo stato dell’arte in Italia all’arrivo de: La rosa di Bagdad

Dopo il primo vagito in sordina con: Baby… e la “Lucrezia Borgia” di Carlo Amedeo Frascari nel 1920 bisognò attendere altri dieci anni perché l’animazione italiana tornasse a mostrarsi: nel 1935 Luigi Liberio Pensuti, dopo un inizio indipendente, divenne capo del dipartimento animazione dell’Istituto Luce e si divise fra lavori di taglio didattico (la parte preponderante) e propagandistico con titoli quali: Crociato ‘900 (1938 ca) e Il dottor Churkill (1942).

Altri animatori che realizzarono corti negli anni 30 sono stati i fratelli Carlo e Vittorio Cossio; i due oltre a realizzare i propri film collaborarono anche con Luigi Giobbe, pittore romano che aveva cominciato a cimentarsi da poco con l’animazione. Con i Cossio Giobbe realizzò: Pulcinella e i briganti e Pulcinella e il temporale.

Nel 1939 il siciliano Ugo Saitta realizzò: Teste di legno (o Pisicchio e Melisenda), primo tentativo di animazione con i pupazzi nel nostro paese.

Fotogramma de: I fratelli Dinamite © 1949 Nino Pagot/Pagot Film
Fotogramma de: I fratelli Dinamite © 1949 Nino Pagot/Pagot Film

Arriviamo così agli anni 40; Nino e Toni Pagot erano due prolifici animatori che diedero il via, grazie al film I fratelli Dinamite (Nino Pagot alla regia) a una diatriba con il film di cui abbiamo parlato oggi. A distanza di oltre settant’anni ci si interroga ancora su quale delle due opere sia effettivamente il primo lungometraggio animato italiano.

Nella seconda metà degli anni 40 si situano, gli inizi di Francesco Maurizio Guido detto Gibba (1924-2018). Dopo la vittoria agli Oscar di Sciuscià – come miglior film straniero nel 1946 – l’animatore ligure realizzò L’ultimo sciuscià, direttamente ispirato al film di De Sica con cui aveva in comune i toni drammatici.

Chiacchiere da bar

Con lo stato dell’arte in Italia termina questo focus su La rosa di Bagdad e l’animazione europea degli anni 40.
Il film di Domeneghini non è invecchiato benissimo ma, al contempo, permette di vedere che certi stilemi d’oltreoceano (quelli di casa Disney, per inciso) trovarono terreno fertile in Europa e, particolarmente, in Italia.

#animazione115 continua a giugno con gli anni 50: vi aspettiamo.