Skip to main content

Alle porte dell’autunno torniamo con un nuovo appuntamento di #animazione115. Dopo un viaggio nell’Italia degli anni ’70 con Pulcinella, andiamo in Giappone: correva il 1988 e nelle sale nipponiche usciva Akira. Come alcuni già sapranno, gli anni ’80 del Paese del Sol Levante sono stati carichi di opere, seriali e non, ancora celebri (basti pensare a Dragon Ball, Capitan Harlock, Holly e Benji/Capitan Tsubasa) e sono nati studi che non cessano ancora di produrre film, molti dei quali annoverabili fra i grandi capolavori (nel 1985 nasceva Studio Ghibli). Divenuto un vero e proprio classico cinematografico, il capolavoro di Katsuhiro Otomo gode ancora di grande successo e le citazioni tratte dall’opera non si contano più.

Cicchetto di trama

La III Guerra Mondiale ha seminato morte e distruzione su tutto il pianeta. L’intera città di Tokyo, da cui questa guerra nucleare è partita, è stata distrutta. La città sorta dalle sue macerie, Neo Tokyo, è preda del caos. Bande di giovani motociclisti si sfidano quotidianamente per le sue strade e continuamente la polizia dispiega le proprie forze nel tentativo di fermare queste battaglie su due ruote.

Durante una di queste corse, Tetsuo, il più giovane membro della banda guidata da Kaneda, rischia di investire con la propria moto un bambino dalle fattezze di anziano. Il bambino, però, evita qualsiasi danno grazie a una invisibile barriera che sembra proteggerlo; per Tetsuo le cose vanno diversamente. Lo schianto contro il muro invisibile è inevitabile e lo lascia a terra gravemente ferito. Kaneda e i suoi fanno appena in tempo a sincerarsi delle gravi condizioni del loro amico che vengono arrestati dal sopraggiunto esercito, capeggiato dal colonnello Shikishima. Il bambino sconosciuto era in fuga e viene quindi ricondotto nel luogo da cui era scappato, mentre Tetsuo viene scortato in un ospedale militare.

In ospedale, dopo essere stato curato, il giovane è sottoposto a test continui che ne rivelano un incredibile potere mentale. Il dottore che lo ha in cura prima ne parla al colonnello, poi si reca in un sotterraneo. Lì si trova di fronte a un imponente macchinario con un oblò, sulla cui sommità campeggia una targa con su scritto il nome: Akira.

Tetsuo. Fotogramma di Akira © 1988 Katsuhiro Otomo/Akira Committee Company
Tetsuo. Fotogramma di Akira © 1988 Katsuhiro Otomo/Akira Committee Company

Chi o che cosa è Akira? Perché Tetsuo sembra essere così importante per l’esercito? Quel bambino con le fattezze di anziano cos’ha di tanto speciale? A tutte queste domande troverete risposta nell’organizzato caos di Akira.

Akira: un focus

Akira ha costruito un immaginario collettivo che regge ancora oggi e di cui la galassia cyberpunk è fortemente debitrice (la serie Netflix: Cyberpunk Edgerunners è una delle ultime sue eredi). Il film di Katsuhiro Otomo è una folle e caotica corsa che irretisce lo spettatore fin dalla prima iconica sequenza, per poi costringerlo a seguire una storia complessa, molto spesso confusa, ma che riesce comunque ad avere una certa coerenza dall’inizio alla fine, soprattutto nei rapporti fra alcuni personaggi.

Fotogramma di Akira © 1988 Katsuhiro Otomo/Akira Committee Company
Fotogramma di: Akira © 1988 Katsuhiro Otomo/Akira Committee Company

Akira è nuove sonorità, nuovi colori, classiche paure (la guerra nucleare) aggiornate in chiave cyberpunk. Otomo e la sua numerosissima squadra offrono un racconto dai ritmi fin da subito concitati. Il montaggio serrato di Takeshi Seyama e la regia di Otomo fanno capire, fin dal principio, che una cosa così non si era mai vista prima.

Personaggi abilmente caratterizzati vivono in un mondo in cui la corruzione e il tentativo di cambiare le cose si scontrano terribilmente. Il conflitto che ne seguirà è presente sin da subito nelle piccole scaramucce (che si estendono sulla ampia Neo Tokyo) fra motociclisti.
Akira è un film rabbioso, cupo, apocalittico per certi aspetti, un film dove il buono, il bene e il bello faticano a farsi vedere. Quando si mostrano è per un tempo irrisorio che non mitiga il caos che sta per abbattersi su Neo Tokyo e sullo spettatore. Con Akira è sempre una prima volta.

Diamo i numeri

Per poter realizzare questo mastodonte dell’animazione fu fondata una società, la Akira Committee, che comprendeva dieci delle più grandi società di produzione nipponiche (citiamo Kodansha, Toho e Bandai) e che permisero di sostenere gli imponenti costi di produzione attestatisi, alla fine, sul miliardo di yen. Alla Committee presero parte ben cinquanta studi di animazione per un totale di 1300 animatori. Dei cinquanta studi coinvolti, ben cinque si occuparono degli sfondi e un intero studio fu adibito soltanto alla computer-grafica (utilizzata per rappresentare i poteri dei tre piccoli ESP).

Akira vanta l’utilizzo di ben 327 colori, di cui cinquanta totalmente nuovi. Tante sfumature che, particolarmente per le tonalità più scure, possono essere notate solo al cinema. Così asseriva in un documentario Kimie Yamana, il responsabile dei colori del film. Per la realizzazione dell’opera si lavorò ventiquattro ore al giorno. Questo grazie a un accordo sindacale che, tramite una serrata turnazione delle maestranze, permise alla Commitee di dare alle sale il film di Otomo nei tempi previsti.


Nel prossimo appuntamento di #animazione115 torneremo negli States, con il primo film interamente realizzato in CGI.