Il Serpentone
Di Roma ho visto tante cose. Alcune celebri come il Colosseo, il Circo Massimo, il Cupolone, altre invece più nascoste come la Chiesa di S. Ignazio, oppure il goloso negozio dei pangoccioli artigianali di via Magazzini Generali. Ma ciò che più mi ha colpito sono le periferie. Una, in particolare, mi ha ammaliato. Nei suoi circa quarant’anni anni di vita, il Serpentone di Corviale è stato al centro di scandali, dibattiti, tentativi di riqualificazione e di demolizione. Per raggiungerlo dal centro si possono attraversare due vie con un nome tanto simpatico quanto grottesco per i luoghi che toccano: la prima è via della Casetta Mattei, un nome quasi da Melevisione, la seconda è via di Bravetta, una strada ottocentesca che attraversa il Forte militare costruito negli ultimi anni del XIX secolo. I vezzeggiativi delle vie non bastano però ad addolcire la crudezza di ciò che, con una brevissima curva, si rivela all’orizzonte.
Nove piani di altezza per 1 km di cemento armato perfettamente dritto – il cosiddetto Serpentone -, poi un altro edificio, più basso, posto orizzontalmente rispetto al primo e collegato tramite un ponte; poi ancora un terzo, posto trasversalmente ai primi due. A guardarlo bene, il complesso somiglia a una specie di grosso formicaio, e questo è uno dei casi in cui l’apparenza non inganna: sei lotti per circa seimila persone, milleduecento nuclei familiari stipati in un unico palazzo. Più di mille appartamenti ufficiali ai quali, col tempo, si sono aggiunti appartamenti abusivi costruiti al quarto piano, inizialmente destinato ai negozi e alle aree comuni. All’interno la situazione è degna di Dedalo e del suo labirinto: delle indicazioni risalenti alla sua costruzione, negli Anni ’80, per aiutare i condomini a orientarsi, non rimane più niente.
Arianna [nome di fantasia] ha promesso che mi guiderà all’interno e io, che di Teseo non ho nulla se non la fiducia, la seguo. Arianna ha 16 anni, lunghi capelli castani, un brillantino al naso fatto quando frequentava le scuole medie, stretta in un cappotto di finta pelliccia nera che, mi confida, ha ricevuto lo scorso Natale dopo aver «rotto le palle alla nonna» per quasi un mese. «Qui gli ascensori sono rotti da sempre, dobbiamo prendere le scale» dice ridendo, mentre ci avviamo all’ingresso del Lotto numero 1. Arianna e la sua famiglia abitano al quinto piano. «Tutte le case hanno le inferriate alle porte. Nessuno va in vacanza a cuor leggero, potresti trovare la casa occupata quando torni». I corridoi sono lunghi, le sbarre di ferro danno l’idea di un carcere, di quelli su modello scandinavo, solo più degradati, e la sensazione di prigionia è la stessa per chi viene da fuori. Per chi abita a Corviale da una vita è semplicemente quotidianità. Arianna non ha mai visto il Colosseo: «quello sta a Roma», mi dice; non fosse che, sulla carta, Gualtieri è sindaco anche di questa parte di città. Saliamo fino in cimo al palazzo. «Il mio paradiso è quassù» sussurra mentre raggiungiamo il sesto piano. Il serpentone di Corviale è l’ultimo edificio di questa periferia sud-est della città, dopo vi è solo campagna. Il paesaggio è mozzafiato, soprattutto durante il tramonto: campi coltivati, verde, persino qualche cavallo che pascola proprio sotto il palazzo. «Sei fortunato se hai l’appartamento da questo lato».
Il Calciosociale
Bellezza e bruttezza sembrano convivere con un equilibrio violento in questo angolo di mondo: da un lato una barriera di cemento armato, dall’altro tre campi da calcio riqualificati dalla società sportiva Calciosociale in 18 anni, con al centro una palestra in bioedilizia. Qui è Alessandro a farmi strada. Alessandro ha vent’anni, non ha finito le scuole e fa lavori saltuari per diversi negozi di Via Casetta Mattei. Ci tiene a specificare che tifa Lazio. «Sono cresciuto tra il Serpentone e questi campi da calcio», racconta con un forte accento romano, «qui ho imparato tantissime cose: valori, gioco di squadra, spirito di iniziativa che solo con l’esempio del quartiere non avrei mai imparato per davvero». Calciosociale è una realtà attiva nel quartiere da 18 anni, una scuola calcio diversa dalle altre che si propone di «cambiare le regole del calcio per ridiscutere le regole del mondo». Nel 2009, grazie all’impegno di volontari e istituzioni, è stato inaugurato il Campo dei Miracoli, il primo campo da calcio del Corviale. Nel 2012 il Parlamento Europeo ha poi chiamato il fondatore, Massimo Vallati, a raccontare la sua esperienza come esempio di realtà associativa da esportare in altre capitali europee. La società sportiva è costituita da una scuola calcio con squadre maschili e femminili e un torneo interno di Calciosociale aperto a tutti coloro che ne vogliono prendere parte. Il metodo del Calciosociale è innovativo quanto semplice, perché assomiglia al modo in cui, da bambini, molti italiani organizzavano le partitelle sotto casa. Regola numero uno: chiunque può partecipare, «anche il più pippa» mi conferma Alessandro, «perché qua ci deve essere posto per tutti. Maschi, femmine, giovani, vecchi, disabili, ex carcerati, guardie. Tutti giocano insieme». Regola numero due: le squadre devono essere equilibrate attraverso la media dei coefficienti tecnici. Non esiste una squadra nettamente più forte di un’altra, bisogna «farle equilibrate». Regola numero tre: non esiste l’arbitro, sono i capitani ad accordarsi sulle decisioni. «Ed è questa la parte difficile» racconta Francesco, 19 anni, e una passione per questo luogo tanto forte da averlo reso uno dei mister per più piccoli: «Perché quando la tensione sale è facile che la soluzione violenta sia anche la più veloce. Soprattutto qui» dice indicando il palazzone alle sue spalle. «Hai visto la lunga fila di auto bruciate lungo la strada, no?» Le ho viste; impossibile non notarle.
Oltre al danno anche la beffa?
La situazione di degrado respirabile a Corviale è tale da essere stata definita da TPI «una bomba sociale», situazione tanto più aggravata dalla costante noncuranza delle istituzioni. L’intero complesso è in mano ad ATER, Aziende territoriali per l’edilizia residenziale del Comune di Roma, un ente che gestisce le case popolari della capitale ma che non è mai riuscito a sanare fino in fondo i problemi strutturali e sociali nati ai tempi della costruzione dell’edificio. «C’è un motivo per cui l’architetto del serpentone si è suicidato», racconta cinicamente Ernesto, ultrasettantenne dalla lunga barba curata e una camicia a quadri che lo fa assomigliare a un Santa Claus capitolino con i tatuaggi. «Le tubature nei piani interrati perdono da anni, gli ascensori non funzionano e nei parcheggi ci sono auto bruciate». Mentre racconta, un condomino lancia dalla finestra un sacco della spazzatura che si incastra in un ballatoio: «Vedi? Vedi? Sai perché fanno così? Perché qua non funziona niente. Se la spazzatura non passa a raccoglierla nessuno che senso ha portarla al cassonetto?».
Eppure, un faro di speranza sembrava essersi acceso alcuni anni fa. Nel 2016 un progetto noto come Rigenerare Corviale dell’architetto Laura Ferreti sembrava potesse ridare linfa al Serpentone, ma, a distanza di sette anni, i lavori non sono ancora iniziati. Solo nel gennaio 2022 si è conclusa la conferenza dei servizi del progetto, dove si è parlato di un aumento degli ingressi al complesso da cinque a ventisette, di aree verdi, attraversamenti pedonali, banda larga, una grande piazza e servizi pubblici continui. In sostanza, 20 milioni di euro da spendere, che però sono fermi da anni. Ad aggravare la situazione ,il 7 marzo 2023 un incendio al quarto piano ha nuovamente acceso i riflettori sulle condizioni di vita nel complesso abitativo.
«Fa tutto schifo, ditelo!» mi urla una signora quando si accorge che continuo a fare domande agli abitanti della zona. Ma non è del tutto vero. «Ogni tanto qualcuno si ricorda di noi, l’anno scorso è venuto Mattarella», racconta Arianna dopo essere tornata da alcune commissioni per la nonna e avermi raggiunto nella sede di Calciosociale, «e qualche anno fa anche il Papa!».
Corvialismo
«Io da qua non me ne andrei mai», prosegue nella sua pelliccia nera la nostra guida, «siamo tutti orgogliosi di essere nati in periferia, soprattutto in questo palazzo». Quello di Corviale non è un caso isolato di orgoglio periferico: Cinisello Balsamo a Milano, Scampia a Napoli o lo Zen di Palermo sono quartieri utili a comprendere questo nuovo sentimento che, confida una mamma del quartiere «qualche anno fa era vissuto con vergogna». Le cause di questo moto di orgoglio è da ricercare nelle narrazioni dell’ultimo decennio: musica, serie TV, film (basti pensare a Scusate se esisto di Paola Cortellesi, proprio ambientato a Corviale), video su Youtube e racconti. Tutto sembra concorrere a un nuovo ruolo delle periferie. «C’è bisogno», racconta uno degli educatori di Calciosociale, «di dare voce agli abitanti di Corviale e alla loro umanità. Sappiamo che anche dalle periferie nasce del bello. Bisogna spezzare il ghetto e renderlo rifugio sicuro per l’espressività dei singoli. Questo è solo possibile con la collaborazione di tutti, istituzioni comprese».
Lascio Corviale al tramonto. Qui il sole sparisce presto dietro il grande muro di cemento armato alto sei piani. Una frase attira la mia attenzione. È scritta a grosse lettere sul cancello d’ingresso dei campi da calcio: «Vince solo chi custodisce». E forse il Serpentone ha ancora la forza di sperare. Insieme. ♦︎
©️ Fotografie di Calciosociale Italia