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In un mondo che oscilla pericolosamente fra il reale e il virtuale, che elargisce informazioni, immagini e contenuti con una facilità d’accesso senza precedenti, l’ossessione di apparire sta assumendo sempre più i tratti di una vera e propria patologia psichiatrica

Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC), come riporta l’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, è caratterizzato da un contenuto mentale perturbante, l’ossessione, che gli individui affetti da tale patologia tentano di neutralizzare attraverso movimenti volontari ma inconcludenti: le compulsioni. Si manifesta più spesso dall’adolescenza o in gioventù, e tende a durare parecchi anni. L’individuo in questione finisce per occupare gran parte delle proprie giornate a svolgere ripetitivamente una singola azione, volta a placare questo pensiero incoercibile e persistente, ma invano.

Il comportamento a cui mi sto riferendo non ricade in questa definizione, ma è sempre più diffuso e merita, a parer mio, un’attenta analisi. Negli ultimi anni la possibilità di addentrarci nei meandri più reconditi della vita di una persona, unita a quella di poter a nostra volta condividere ogni istante delle nostre giornate, ha portato all’esplosione dei social network. Per molti è quasi impensabile non scorrere con sguardo vorace i reel su Instagram o su TikTok, alla ricerca di qualche attimo di svago e di stacco dal monotono incedere della quotidianità. Abbiamo a disposizione una nuova fonte di divertimento e di relax, la cui fruibilità ha fatto soccombere gran parte delle altre. Il problema risiede nel come ci poniamo di fronte a tale attività.

Poter entrare nelle case dei personaggi famosi, accedere virtualmente ai loro spazi privati, sentire le loro conversazioni. Tutto questo può sfociare in pensieri ‘ossessivi’, e per soddisfarli risulta indispensabile guardare foto e video ‘compulsivamente’. E cosa rimane dopo aver colmato questo gap? La gelosia per i privilegi altrui, il desiderio di emulazione e la convinzione che la vita degli altri sia dannatamente più appagata e appagante. Emozioni che possono sopraffarci, con il rischio di sprofondare in una spirale di depressione e isolamento sociale. O indurci a ricalcare le orme di chi ammiriamo, acquistando gli stessi vestiti, visitando gli stessi posti e partecipando agli stessi eventi. Un’altra spirale che ci porta verso l’omologazione, ma soprattutto verso altre problematiche psicologiche e psichiatriche, fra le quali i disturbi del comportamento alimentare (DCA).

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L’ossessione di apparire, la compulsione di condividere

E anche chi ritiene di essere avulso da queste dinamiche è probabile che ne sia rimasto vittima, sebbene senza apparenti conseguenze

Chi non ha mai fotografato un piatto prima di iniziare a mangiare? Chi non ha ripreso un frammento dell’esibizione del proprio cantante preferito con l’intento di mostrarlo ai propri followers? Chi non ha speso tempo nel selezionare le foto di una vacanza alla spasmodica ricerca dello scatto migliore?

Così, con varie sfumature d’intensità, abbiamo iniziato a costruirci un’identità parallela, modellata con cura, rimuovendo il superfluo e preservando ciò che crediamo verrà più apprezzato, ciò che riteniamo sia più meritevole di essere diffuso e condiviso. Senza rendercene conto, siamo diventati i carnefici: proiettiamo sullo schermo un’esistenza che non corrisponde all’effettiva quotidianità. Siamo diventati quelli da emulare e quelli con una vita più appagata e appagante. Ed eccolo allora il circolo vizioso che porta gli anelli deboli della catena a soccombere: chi non si adegua non è abbastanza popolare o comunque si sente diverso, chi lo fa, d’altra parte, dimentica che i momenti negativi esistono, e a volte occupano gran parte del nostro tempo, finendo per non saperli affrontare o per esserne sovrastato.

Non esiste una risposta univoca al problema, né una soluzione certa. Non bisogna nemmeno accanirsi ciecamente contro il modello dei social network, poiché ha il potenziale, ancora non del tutto espresso, di veicolare informazioni e conoscenze come nessun altro mezzo ha mai fatto finora.

Bisogna partire dalle radici, dalle figure di riferimento nel periodo della crescita, dall’educazione all’uso consapevole di queste piattaforme. Ed è facile riempirsi la bocca di queste parole sottolineando l’importanza del tema e la necessità di prendere misure tempestive, meno immediato configurarle e metterle in atto. Da mero opinionista non potevo che sollevare la questione e condirla con qualche nozione appresa durante i miei studi. Ora la palla passa a chi ha davvero la possibilità di arginare il problema. ♦︎


Illustrazione di Marco Amerigo