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A quasi cinquant’anni dalla nascita di uno dei brani più iconici e controversi dei Fleetwood Mac, Stevie Nicks, la strega indiscussa del soft rock, resta un punto fermo della musica, capace di fondere esoterismo, vulnerabilità e sensibilità poetica.

1976, Sausalito, California. Al 2200 di Marinship Way, all’interno dello studio di registrazione Record Plant, i Fleetwood Mac stanno lavorando all’album Rumors. Durante una delle interminabili e costosissime sessioni in cui verrà di lì a poco completata la registrazione dell’album di maggior successo del gruppo, qualcosa non va. C’è da aspettarselo, non sarebbe la prima volta che il proprietario dello studio assiste ai loro screzi; d’altronde, i membri della band in quel periodo sono soliti arrivare la sera, avviare feste in cui non mancano sesso e sostanze stupefacenti, e iniziare il recording solo a tarda notte, quando tutti sono abbastanza ‘stoned’ da poter attingere meglio al proprio estro creativo.

Ma quando, durante una di quelle sessions, delle urla terribili e ‘forsennate’, come dirà la stessa, squarciano il silenzio del parcheggio, la dipendenza da cocaina che la obbligherà a fare tappa forzata in un rehab circa un decennio dopo non c’entra: Stevie Nicks è lucidissima. E furiosa. Ed è inevitabile quando Mick Fleetwood, fondatore nonché batterista della band, le comunica che una delle sue ultime canzoni non potrà essere pubblicata nell’album in uscita. Si dà il caso, però, che quella canzone non sia come le altre, ma tocchi delle corde molto sensibili della storia personale della cantautrice.

Fino al ’76

Nicks, (ventotto anni, piglio collerico e grintoso, voce graffiante e un’iconica frangetta voluminosa) è entrata nella band da poco più di un anno, contribuendo alla realizzazione dell’album del 1975 che ha raggiunto la prima posizione della Billboard 200 cambiando le sorti dei Fleetwood Mac. Inoltre, la sua presenza ha da subito suscitato un acceso riscontro del pubblico: sono tutti ammaliati dalle sue performance ipnotiche, pervase da un’aura magica e visionaria, e dalla sua scrittura, così intima e terribilmente evocativa, che le farà guadagnare l’epiteto di ‘regina del Rock and Roll’. Insieme a lei è entrato nella band anche Lindsay Buckingham, chitarrista dal fascino ‘byroniano’ che ha conosciuto anni prima, con cui ha condiviso la scalata al successo musicale e una tumultuosa relazione d’amore. La loro relazione on-off, tuttavia, durante le registrazioni di Rumors sembra però arrivata al capolinea.

In queste circostanze, Nicks concepisce uno dei brani più incisivi della sua produzione, capace di trascendere il racconto personale della rottura e diventare una summa assoluta del suo immaginario lirico. In un’intervista radiofonica del ‘76 racconta che l’ispirazione le è venuta durante un viaggio in auto, Buckingham al volante e un nome su un’insegna stradale: ‘Silver Spring’. Nicks ha solo il tempo di vedere quella scritta di sfuggita, che i due sono già sfrecciati via. “Ho pensato che fosse bellissimo” sospira Nicks, “poi sono tornata a casa e ho scritto questa canzone”. Il cartello di quella cittadina del Maryland a cui non si sono mai fermati ritornerà, infatti, nel primo celebre verso della canzone («You could be my Silver Spring») in un simbolico omaggio a quel ricordo ma anche a ciò che lei e Buckingham ‘could have been’: l’ossessione di Nicks per le potenzialità inespresse di quel could torneranno nel corso della sua intera produzione. Insomma, molto di più di una semplice break-up song.

Nascono così, infatti, le cinque strofe, scritte di getto, che compongono la ballad rock maledetta, massima sintesi del suo universo poetico e musicale, che rimarrà al buio nel cassetto di Nicks per vent’anni dopo quella sfuriata a Record Plant, prima di rivedere la luce negli anni Novanta, a caro prezzo. Infatti, sarà proprio questa canzone a spingere Nicks a lasciare il gruppo nel 1992 dopo una discussione con Mick Fleetwood, che voleva includerla in un box set, impedendole di pubblicarla nel suo album da solista. Solo nel 1997 la canzone otterrà la release ufficiale, guadagnandosi una nomination al Grammy e riportando sul palco il duo Buckingham-Nicks, nella performance live che ha fatto tremare i fan di tutto il mondo.

Ma nel ’76 nulla di tutto questo è prevedibile e Mick Fleetwood resta irremovibile: la canzone, esclusa dalle tracce di Rumors, è relegata al lato B del vinile di Go your own way, grande successo firmato da Buckingham con tema, nuovamente, la loro rottura. Le due canzoni diventano così racconti speculari di un amore finito e in un gioco continuo di botta e risposta («If I could maybe I’d give you my world» da un lato del vinile e «I know I could have loved you / but you would not let me» dall’altro) i due ex-amanti sembrano ancora parlarsi, nonostante il silenzio, in un duello emotivo a colpi di lati di vinile. Ed è così che ha inizio la storia di una delle canzoni più tormentate della musica rock e al tempo stesso una delle più care, non solo a Stevie Nicks, ma anche a tutti i suoi fan: si tratta, ovviamente, del brano Silver Springs.

Back to the gypsy

Quando esce Rumors, Nicks e Buckingham si parlano a malapena. Sono lontani i tempi in cui i due ammiccavano in déshabillé nella copertina diventata iconica del flop-album Buckingham-Nicks, che presenta i due artisti al grande pubblico: un insuccesso che costringerà la cantautrice, come spesso si premura di raccontare nella sua sontuosa epica personale, a lavorare come domestica solo pochi mesi prima di entrare nei Fleetwood Mac e sostituire le misere paghe a 800 dollari a settimana.
Ma i soldi non bastano: dopo la rottura, Buckingham porta in tour la sua nuova fiamma, la scrittrice e modella Carole Ann Harris. «Don’t say that she’s pretty / And did you say that she loves you? / Baby I don’t wanna know» scriverà Nicks in Silver Springs.

A spaventare davvero Nicks è l’assenza di chi l’ha vista nascere artisticamente, intuendone il potenziale. Al contrario di quanto è avvenuto nella storia con Buckingham, magistralmente cristallizzata nel condizionale struggente della prima strofa di Silver Springs, Nicks non è un could: la sua carriera non è rimasta sospesa in un immaginifico ventaglio di possibilità, ma si è inverata pienamente.

I due, che si erano conosciuti ai tempi della high school (Nicks racconta di aver visto Buckingham suonare in un club una cover di California Dreamin’ dei Mamas & The Papas e aver iniziato a cantare con lui) hanno fatto dei propri alti e bassi la cifra stilistica non solo del proprio amore ma ancor di più della propria musica, che fin dagli albori rientra nei canoni della ballad commerciale dell’epoca, e descrive situazioni distruttive e incerte, in cui Nicks è seduttiva e distante («She’ll leave you crying in the night») e Buckingham è invece l’arreso amante che chiede solo di non essere deluso di nuovo («Don’t let me down again»). Descritto da Nicks come ‘intenso e oscuro’ come un eroe uscito dalla penna di Byron, Buckingham sembra entrare nella vita della giovane artista rivestito della stessa caratura eroica di un personaggio del romanticismo gotico ottocentesco, periodo letterario di cui peraltro Nicks è assidua ammiratrice, e annovera fra i suoi romanzi preferiti quelli delle sorelle Brontë, da Cime Tempestose a Jane Eyre.

La passione di Nicks per la letteratura va di pari passo con quella per la musica ed è sulla scia di queste letture che Nicks inizia a scrivere. «Penso che poeti e cantautori abbiano molto in comune perché un cantautore deve essere prima di tutto un poeta», dice Nicks in un’intervista, «È così che viviamo la nostra vita. È lo stesso modo di pensare». Iniziano così gli anni che la cantautrice racconterà più tardi nella canzone Gypsy, brano che confluirà nella raccolta di The Chain, in cui la giovane Nicks si descrive come una vagabonda, alla ricerca di quel tuono («Lightining strikes maybe once, maybe twice»), e qualcuno con cui condividerlo.

Thunder only happens when it’s raining

Foto di Awil916, via Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/)

Durante la registrazione di Rumors i problemi sentimentali non sono solo relegati alla coppia Buckingham-Nicks che stava ponendo fine a una relazione di otto anni: Mick Fleetwood stava attraversando un periodo di crisi coniugale con la moglie, e Christine McVie si stava separando dal marito. Quel vero e proprio caos emotivo, che Buckingham definirà il punto di forza dei Fleetwood Mac, ossia la capacità di tirare fuori il meglio di sé nei momenti peggiori, si trasformò in una forza salvifica. «I would be your only dream», scrive Nicks in Silver Springs, evocando i primi anni della sua storia con Buckingham. Un sentimento che riemerge, con toni diversi, anche in Dreams, brano “fratello” di Silver Springs ma non escluso da Rumors, e dedicato a lui: «Thunder only happens when it’s raining / Players only love you when they’re playing».

Sarà proprio con Buckingham che Nicks lascerà il college, preferendo tentare con lui la carriera musicale: ma aver aperto le date di Jimi Hendrix e Janis Joplin in tour con i Fritz, la band con cui Buckingham collabora, non basta a spianarle la strada: dopo che la Polydor, etichetta discografica con cui i due cantanti avevano pubblicato il loro primo album, fa un passo indietro, si ritrovano senza soldi e con l’ultimatum del padre di Nicks: sei mesi ancora o avrebbe dovuto dedicarsi a un’altra carriera.

È a questo punto, nel 1973, che la scrittura di Stevie Nicks conosce una svolta. In quel periodo si trova ad Aspen, tra le Montagne Rocciose del Colorado, mentre Buckingham è in viaggio con gli Everly Brothers. «Ero molto infelice e sola», racconterà in seguito, chiedendosi il senso di quella distanza. In questo lasso di tempo nascono due dei pezzi che verranno inclusi nel primo album con cui ha collaborato con i Fleetwood Mac: le montagne innevate di Aspen diventano una cornice introspettiva ed emblematica per i versi di Landslide («And I saw my reflection in the snow covered hills») e ispirano anche il brano omonimo dedicato alla regina celtica Rhiannon, personificata nella cantautrice stessa.

Il tema della neve, elemento costante nel repertorio iconografico della Nicks, così come il colore bianco (come la «white winged dove» di Edge of Seventeen), assume un’altra valenza rispetto a quello che poteva avere in una ballad del calibro di Frozen Love («It may be hard to keep up with me / but I’ll always be able to reach you»), in cui il rimando alla «cold freezing air» era funzionale alla celebrazione di un amore che resta frozen, congelato, appunto, nel tempo. In Landslide invece la rimodulazione del tema ‘neve’ avviene attraverso l’immagine del proprio riflesso su di essa, in un risvolto inedito della scrittura di Nicks, per la prima volta intimo e spirituale; è da lì che scaturisce una meditazione non solo sul cambiamento della natura della relazione con Buckingham («I’ve been ‘fraid of changin’/ ‘cause I’ve built my life around you») ma ancor di più sul passare del tempo il cui inesorabile procedere sembra lasciare l’io lirico a una domanda senza risposta («Can I handle the seasons of my life?»). Ancor più innovativo è il brano Rhiannon, che prende il nome da una figura femminile appartenente alle divinità gallesi e ispirata al romanzo Triad di Mary Leader.

All’interno del brano autobiografico la Nicks è una «woman taken by the wind» che per la prima volta guarda in faccia la realtà, suggeritale nell’amara chiusa finale: «dreams unwind, love’s a state of mind». Nicks approda così a una triste conclusione: l’amore non è altro che uno stato di coscienza. Da questo momento la sua scrittura acquisisce un’intensità nuova, intrisa di temi che uniscono un rinnovato misticismo.

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Witches don’t age

Non va dimenticato che Rhiannon anche secondo il Mabinogion, la raccolta fondamentale del folklore gallese, è metà regina e metà strega: «She’s like a cat in the dark/ And then she’s to darkness». Inizia così per Nicks un periodo di profondo rinnovamento spirituale che spesso però è associato anche alle accuse di stregoneria con cui, dalla fine degli anni Settanta, inizia ad essere bersagliata. Da quel momento la scrittura di Nicks non sarà più incanto ma incantesimo: al lirismo magico degli inizi preferirà un immaginario oscuro e misterioso. «Time cast a spell on you but you won’t forget me», aveva scritto in Silver Springs, lanciando una fattura potentissima su Buckingham. Il suo stile, sempre più tendente al boho, e l’uso del tamburello diventano riverberi del suo cambiamento. La copertina dell’album Bella Donna, d’altronde, è la prova di questo esoterismo barocco.

Le sue performance sul palco, allo stesso tempo, sono diventate dei veri e propri rituali di stregoneria rock: durante il tour per l’album Tusk del 1979, che la incontra in un periodo complesso dopo la decisione dell’aborto in seguito alla relazione con Don Henley, la Nicks si muove sul palco come una mistica di fronte ai propri fedeli, pronta a compiere un rituale sciamanico, quasi come la Medea-maga di Emy Levy che dissotterra il baule in cui ritrova dopo averli nascosti i suoi orpelli magici. Proprio come scrive nella canzone Sisters of the moon, la Nicks sale sul palco indossando solo ‘black robes’, e guarda il pubblico con gli occhi assorti, simili proprio alle ‘black moons’ del brano: è un’apparizione («She was dark at the top of the stairs») che però nasconde una menzogna («Some say illusions are her game»).

Nicks è diventata una figura ambigua: tra una cartomante (come suggerisce il «velvet» degli ultimi versi della canzone, allusione alla tavola dei tarocchi) e una cyhyraeth ossia un’entità spettrale della mitologia gallese, una voce che si lamenta, emettendo suoni ferali, che rendono la discesa di Nicks verso le divinità ctonie una catabasi spirituale. Tuttavia, l’assimilazione alla figura della strega sarà qualcosa a cui rifiuterà sempre di essere associata e per ovviare a ciò vestirà per due lunghi anni solo con abiti colorati.

L’immagine della Nicks che lancia un incantesimo, come nel celebre bridge di Silver Springs, potrebbe trovare un riscontro solo a posteriori, nella performance live del 1997 che adesso ha più di 48 milioni di visualizzazioni su youtube. Non è la prima volta che dei membri della band cantano canzoni con evidenti riferimenti reciproci l’uno davanti all’altro; ma è la prima volta che quella canzone, archiviata per così tanti anni è affrontata sul palco, con tutta la teatralità del caso. La tensione emotiva è palpabile quando la camera stringe lentamente su Stevie Nicks, fino a culminare in uno scambio di sguardi con Buckingham. «I’ll follow you down till the sound of my voice will haunt you» canta lei, nel celebre giro di accordi finali ed è proprio negli ultimi versi di Silver Springs che la cantautrice, nelle vesti di una spettrale Catherine Earnshaw pronta ad infestare come uno spettro la memoria di Buckingham (che nel frattempo è riuscito ampiamente a superare la rottura, e ha messo su famiglia), lancia il suo ultimo monito: «You’ll never get away from the sound of the woman that loves you». È una fattura potentissima.

L’incantesimo è lanciato ed è sigillato da questa formula inviolabile, che è diventata il simbolo di tutti gli amori che sono passati velocemente, forse troppo: come quel cartello con la scritta ‘Silver Spring’ sull’autostrada. ♦︎