Skip to main content
A NEPPURE UN ANNO DI DISTANZA DALLE CELEBRAZIONI PER L’INDIPENDENZA, IL SOGNO KAZAKO SI RIVELA UN CASTELLO DI VETRO E LA VIOLENZA DEL POPOLO DIVAMPA CONTRO IL GOVERNO

Rivolta nelle principali città e minaccia di una guerra civile. Così si riparte con il 2022 in Kazakhstan.

Neppure un anno è trascorso dalle celebrazioni in Kazakhstan per festeggiare l’anniversario dell’indipendenza. Celebrazioni di cui si era parlato anche su questo magazine . (https://nosignalmagazine.it/kazakhstan-terra-illuminata/)

Una cerimonia che aveva diffuso in tutto il mondo l’immagine di un’autarchia illuminata. Un Paese che era riuscito a liberarsi del giogo sovietico e aveva trovato la giusta via per crescere. Un esempio di sviluppo, sia economico, sia sociale e politico. Un modello di società inclusiva di riferimento, non solo per altri Stati con situazioni simili a quella kazaka, ma anche per molte democrazie occidentali.

Un Paese che pareva una bomba pronta ad esplodere al momento della proclamazione della sua indipendenza, tante erano le differenze etniche e religiose all’interno della sua popolazione.

Invece, trent’anni dopo, ecco che il Kazakhstan si presenta come sogno finalmente realizzato di un Paese nel quale le numerosissime minoranze etniche e religiose sono perfettamente in grado di convivere.

Una democrazia ancora in mano ad un governo autoritario e centralizzato, ma nella quale l’inclusione pare maggiore che in tante altre democrazie più liberali.

Ma, come detto, si tratta di un sogno…un sogno di cristallo. Già, perchè tale è stata la sua fragilità, ed è bastato un focolaio di protesta a far crollare tutto.

La rivolta esplosa a inizio anno

L’ex repubblica sovietica ha, infatti, salutato il nuovo anno con una serie di manifestazioni violente lanciate dalla popolazione a causa dell’incremento del prezzo del gas e degli altri combustibili. Il fuoco si è, inizialmente, acceso nella città di Zhanaozen, per poi divampare in tutto il Paese. (Agliastro G. – La Stampa del 06/01/2022).

Le proteste sono subito degenerate in scontri violenti tra i manifestanti e la polizia, la quale ha tentato invano di placare i rivoltosi. Secondo alcune fonti i manifestanti avrebbero messo a ferro e fuoco il palazzo dell’amministrazione comunale ad Almaty, ex capitale e città più popolosa dello Stato.

Anche se le notizie non sono chiare, avendo il governo bloccato tutti gli accessi a Internet e alla rete mobile, i media hanno subito gridato alla guerra civile.

Intanto il presidente Tokayev denunciava l’accaduto descrivendolo come azione terroristica voluta da un non ben precisato nemico straniero e imponendo la situazione di emergenza a tutto il Paese.

Contemporaneamente il primo ministro Mamin si è dimesso e il nuovo governo ad interim ha annunciata che sul prezzo del gas verrà imposto un calmiere per i prossimi sei mesi. (Ansa.it del 06/01/2022)

Il sogno kazako: realtà o illusione?

Quanto accaduto, con le immagini dei centri del potere assaliti dalla gente e le statue di colui che ha di fatto fondato il Kazakhstan, Nazarbayev, abbattute dalla folla inferocita, parlano chiaro. Ed è lecito chiedersi se quanto visto nella primavera 2021 fosse solo un’illusione. Il risultato di una distorsione della realtà presentato da un governo autoritario e dispotico che ha sempre represso ogni forma di opposizione.

Nazarbayev aveva sicuramente governato per trent’anni con pugno di ferro contro chi tentava di criticare il suo operato. Aveva fatto piazza pulita degli oppositori e aveva accentrato molto il potere nelle sue mani. Anche quando aveva deciso di ritirarsi, nel 2019, aveva nominato direttamente il suo successore, Tokayev, scegliendolo fra i suoi fedelissimi. E non aveva rinunciato totalmente al potere mantenendo l’incarico di capo del Consiglio di Sicurezza.

Ma, come lo stesso Nazarbayev aveva affermato, l’autoritarismo era stato necessario in un Paese abituato a sottostare al giogo straniero, per giungere a una completa indipendenza e libertà. Non si poteva pensare di imporre la democrazia dal nulla, ma la si doveva coltivare a poco a poco.

Il “padre fondatore” pareva, in effetti, avere ragione, visti i risultati ottenuti. Ma il fatto che le proteste per l’aumento del prezzo del gas siano sfociate in rivolta mostra un malcontento profondo nel cuore della popolazione kazaka, non giustificabile solo da un punto di vista economico.

Al momento è però impossibile affermare da cosa sia prodotto e se sia rivolto contro Nazarbayev, o se a scatenarlo siano state, piuttosto, le scelte del suo successore.

Tokayev ha, infatti, tentato negli ultimi tempi di accentrare ulteriormente il potere nelle sue mani, scalzando definitivamente il suo predecessore. Grazie all’attuale situazione di crisi è anche riuscito ad ottenere il controllo del Consiglio di Sicurezza.

Inoltre i suoi rapporti con Putin sono molto più stretti e ciò ha portato ad un riavvicinamento con la Russia. Una situazione vista, probabilmente, di cattivo occhio dai kazaki che avevano lottato per la loro indipendenza.

A dimostrazione di questa riapertura verso l’ex tiranno sovietico, il fatto che l’attuale presidente abbia subito richiesto l’intervento del Ctso, l’alleanza militare composta da Russia, Kazakhstan, Armenia, Uzbekistan e Tagikistan. Le truppe sono giunte in territorio kazako nella sera del 6 gennaio e vi rimarranno fino a quando la situazione non sarà normalizzata. (Ansa.it del 06/01/2022)

Una ghiotta opportunità per Mosca per riprendere il controllo di un territorio vicino assai ricco di risorse, specialmente energetiche, e strategico per la sua collocazione al centro dell’Asia.

La preoccupazione del resto del Mondo

Il Kazakhstan è, infatti, un bacino importantissimo di risorse naturali per molti Paesi occidentali. Un esempio su tutti l’Italia, che, attraverso Eni, ha sviluppato un importante partenariato con lo Stato kazako. Ma l’abilità del precedente governo dell’ex repubblica sovietica era stata proprio quella di strappare accordi commerciali con numerose potenze occidentali, proprio per non essere dipendenti da Mosca. Anche gli USA avevano investito molto in questo territorio e si erano fatti carico della sua crescita al momento dell’indipendenza.

Motivo per cui sia l’Unione Europea che Washigthon si sono detti assai preoccupati per la situazione kazaka delle ultime ore e hanno chiesto che venisse gestita nel rispetto dell’ordine e dei diritti umani, senza che vi fossero ingerenze esterne. Una frase retorica per tentare di placare le acque ed evitare la necessità di un intervento da parte della Russia che potrebbe portare all’apertura di un nuovo caso ucraino.

Putin, intanto, ne ha approfittato per accusare, come al solito, gli Stati Uniti di essere i veri colpevoli della rivolta. Inoltre ha risposto alla richiesta di Tokayev inviando le truppe del Ctso. Ma, per quanto succulenta sia la possibilità di tornare a dominare sul territorio kazako, per la Russia rappresenterebbe anche l’ennesimo impegno militare a sostegno di un alleato incapace di farsi rispettare dal suo popolo. La lista rischia di diventare troppo lunga.

Il ricorso alla forza da parte del governo, il prezzo per riportare la situazione alla normalità

Intanto le proteste ad Almaty sono state momentaneamente sedate, anche se con un triste bilancio. Gli scontri tra polizia e civili hanno portato a un migliaio di feriti e decine di morti, con gli agenti che hanno aperto il fuoco contro i manifestanti. Quelli che il governo ha definito come i “criminali” che avevano aizzato la ribellione sono stati arrestati, secondo quanto trapelato dalle fonti interne. (Ansa.it del 06/01/2022)

Ma la situazione rimane incerta e l’amarezza di quanto accaduto incancellabile.

Quando pareva di aver finalmente individuato un modello di Paese che era riuscito ad uscire da una situazione di crisi e a realizzare il suo sogno, tutto potrebbe essere andato in fumo in pochi giorni.

La speranza è che questa manifestazione sia solo una piccola crepa e che serva al governo da monito per cambiare marcia rispetto alla piega presa con il nuovo presidente.

Un esempio di Stato indipendente e inclusivo, nel quale la democrazia sia riuscita a fiorire, è fondamentale in un presente dove questa forma di governo sta perdendo sempre più smalto.

I casi di fallimento del modello democratico esportato dagli occidentali sono innumerevoli. La dove riesce, invece, ad attecchire, si dovrebbe preservare a tutti i costi.

Su questo dovrebbero riflettere le potenze occidentali che vogliono ergersi a paladine della democrazia e della libertà dei popoli. Questo è l’impegno che devono prendersi, non limitandosi alle sole retoriche parole.