A Sharm el-Sheikh cala il sipario su Cop27. Si è concluso dopo una trattativa estenuante l’appuntamento annuale della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Raggiunto lo storico accordo sul loss and damage, un fondo per risarcire i Paesi in via di sviluppo colpiti dalla crisi climatica. USA e UE i grandi delusi: pochi progressi, occasione sprecata. E sulla riduzione delle emissioni c’è ancora tanto da lavorare.
Cop27: il fondo per le perdite e i danni
Erano cominciati nella polemica, i lavori, due settimane fa, con attivisti da tutto il mondo che condannavano la scelta di ospitare la Conferenza in un Paese, l’Egitto, noto per le continue violazioni dei diritti umani. E sono proseguiti nel caos generale: trenta ore di ritardo sulla tabella di marcia, sedute slittate, il sospetto che il negoziato potesse saltare da un momento all’altro. Poi, all’alba del 20 novembre, la notizia che Cop27 si era conclusa.
Nel documento finale, si legge increduli, c’è l’intesa sul loss and damage, il fondo per risarcire i Paesi colpiti dagli effetti di una crisi climatica che non hanno contribuito a causare. Era da un tempo lunghissimo che si chiedeva l’introduzione di un meccanismo di aiuti economici. Dopo quasi trent’anni di battaglie, i ‘piccoli’ hanno fatto sentire la propria voce, ottenendo che le storiche potenze inquinanti finanzino quella che già in molti definiscono una prima sentenza di giustizia climatica.
L’onere di risarcire i danni provocati dal cambiamento climatico ricade su Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone. I quali chiederanno presto all’ONU di includere nella lista di ‘donatori’ anche le assenti Russia, Cina e India, altrettanto – o forse sarebbe il caso di dire maggiormente – responsabili dell’attuale crisi climatica. Il fondo sarà operativo entro due anni e nelle prossime settimane verrà istituito un comitato interno a Cop27 per stabilire chi, tra i 100 e più Paesi emergenti, potrà beneficiare del fondo per le perdite e i danni.
Delusione per i mancati impegni
E mentre qualcuno strilla già al negoziato più importante dagli Accordi di Parigi, USA e EU si mostrano riluttanti. Frans Timmermans, capo delegazione EU alla Cop27 e vicepresidente della Commissione europea, sostiene che imporre a una decina di Paesi di finanziarne centinaia è insostenibile, le risorse non sarebbero sufficienti. «La soluzione – ha proseguito Timmermans – non è finanziare un fondo per riparare i danni, ma investire le risorse per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra.» Tema, quello della riduzione delle emissioni, di cui si è discusso troppo blandamente.
Nelle prime ore del mattino, alle parole di Timmermans si sono aggiunte quelle di António Guterres. Dopo aver ricordato, in apertura dei lavori, che «siamo su un’autostrada per l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore», il Segretario generale dell’ONU ha descritto il nostro pianeta come un malato ancora al pronto soccorso: «Dobbiamo ridurre le emissioni, e questo è un problema che Cop27 non ha affrontato.» Sull’affrancamento energetico dal combustibile fossile, nessuna decisione politica è stata presta. A festeggiare, ancora una volta, sono i produttori di gas e petrolio.
Il braccio di ferro tra Paesi industrializzati e non, infine, si è concluso solo grazie ai primi che hanno ceduto sul loss and damage, chiedendo in cambio che, nel testo finale, si rimarcasse la necessità di contenere l’aumento di temperatura media globale entro il limite di 1,5 °C – rispetto ai livelli preindustriali. Obiettivo già stabilito lo scorso anno alla Cop di Glasgow e che, perciò, non segna alcun passo in avanti nella lotta ai cambiamenti climatici.