Un nuovo mistero alla Agatha Christie è arrivato sul grande schermo: vale la pena sedersi in sala a vederlo?
È da pochi giorni tornato sugli schermi Hercule Poirot, famoso investigatore frutto della brillante mente di Agatha Christie. Il nuovo film, Assassinio a Venezia, sulla scia di Assassinio sul Nilo e Assassinio sull’Oriente Express, è uscito nelle sale il 14 settembre. La regia, come per i due precedenti, è di Kenneth Branagh, interprete del personaggio di Poirot. La storia è liberamente ispirata al romanzo Hallowe’en Party, tradotto poi in italiano in Poirot e la strage degli innocenti. Con un super cast, tra cui la vincitrice del primo Oscar Michelle Yeoh, Branagh tenta di replicare i precedenti successi.
Una Venezia spettrale fa da sfondo a questo racconto ricco di ombre, spiriti e sentimenti che confondono la razionalità. Poirot viene invitato la sera di Halloween dalla sua amica e scrittrice, Ariadne Oliver, a una seduta spiritica durante la quale uno degli ospiti viene assassinato. Dopo un’iniziale riluttanza, Poirot torna in pista e prende in mano le redini delle indagini. Con orgoglio troviamo un volto familiare al fianco di Kenneth Branagh: quello di Riccardo Scamarcio, che interpreta la guardia del corpo del famoso investigatore e si rivelerà un personaggio chiave nel corso delle indagini.
Il film ha tutti gli elementi tipici del thriller: scene inquietanti, suspense, intrecci ben costruiti, qualche jumpscare qua e là (che non fa mai male), buone interpretazioni e una scenografia ad hoc. La domanda però non cambia: ne avevamo davvero bisogno? È un prodotto che prova a mettere insieme degli assi (già dimostrati) vincenti per creare qualcosa che non è nuovo, non è sorprendente né entusiasmante, ma che probabilmente continua a piacere agli affezionati del genere, tanto da rendere il film in vetta al box office. Come abbiamo già detto, la vicenda è liberamente ispirata al romanzo di Agatha Christie, ma anche questo ormai non convince più di tanto. Perché parlare di -adattamento di un romanzo- di una celebre scrittrice se poi è totalmente un’altra storia? Cosa ne rimane? I nomi dei personaggi? L’eco di un grande nome? Non credo che Agatha Christie ne sarebbe stata così contenta.
Negli ultimi anni prolificano film tratti da classici della letteratura. Spostandoci per il genere ma rimanendo tra grandi nomi possiamo citare: L’amante di Lady Chatterley dal romanzo di D.H. Lawrence definito da Sentieri Selvaggi «piuttosto fedele al romanzo ma manca di un vero tocco di innovazione», Emma e Persuasione dai romanzi di Jane Austen. Il primo è stato molto apprezzato e ha ottenuto due candidature agli Oscar, il secondo invece ha deluso sia per la poca precisione che per l’estrema somiglianza a Bridgerton (serie Netflix di successo). Questi esempi dimostrano quanto complessa sia la questione, tanto da chiedersi (come fa Sara Ferrari) se il cinema e la letteratura siano eterni rivali o fortunati complici. Il principio su cui basarsi però rimane uno: il rispetto, che sia nell’innovazione o nella fedeltà all’originale.
Tornando a Assassinio a Venezia, si è parlato di un’emancipazione del personaggio di Poirot dai canonici racconti e caratteristiche attribuitegli dalla Christie, – e di certo non vogliamo essere noi a impedire questo cambiamento. In fondo, sarebbe interessante conoscere il Poirot di Branagh, ma non è questo il caso. Attendiamo però con trepidazione il prossimo film, quando il nome della Christie sarà lasciato riposare in pace e il nuovo Poirot verrà finalmente allo scoperto. La risposta alla domanda iniziale, quindi, è: non è un film da buttare, ma no, non ne avevamo bisogno.