L’esperienza religiosa nelle scuole piemontesi
È come se in classe ci fossero cento cieli diversi. Si può descrivere così l’esperienza italiana col pluralismo religioso, grazie all’inventiva degli insegnanti di religione sparsi sul territorio nazionale, che quotidianamente fanno i conti con questa molteplicità di fedi e culture, traendone esempi e iniziative ammirevoli. È il caso di Borgo San Dalmazzo, provincia di Cuneo, dove i giovani docenti Sonia Ristorto e Michele Bono hanno dato vita all’ora di dialogo interreligioso frequentata da bambini di scuola primaria appartenenti a fedi differenti. Un progetto che Don Gabriele Mecca, incaricato per l’insegnamento della religione cattolica delle diocesi di Cuneo e di Fossano, definisce «un’iniziativa sperimentale in grado di aprire prospettive interessanti dal punto di vista dell’insegnamento religioso e dell’integrazione in una prospettiva culturale, realizzando il compito dell’Irc nella scuola».
Parlando al nostro giornale, la professoressa Ristorto racconta come «l’idea sia nata un po’ per volta di fronte alle lamentele e alle lacrime di alcuni bambini e bambine non-avvalentesi, a cui dispiaceva uscire dalla classe durante le ore di religione, perché li faceva sentire in qualche modo diversi ed esclusi». Quindi, «dato che l’IRC non è catechismo – prosegue Ristorto – ma un insegnamento culturale, ho iniziato a pensare a un modo per tentare concretamente di superare il pregiudizio che ancora ruota intorno al nome della materia, e che ha come conseguenza la non iscrizione degli alunni e delle alunne provenienti da famiglie di confessione o religione diversa dalla cristiana cattolica, così come di coloro che si definiscono atei o semplicemente non hanno piacere di un insegnamento confessionale». Un esperimento ancor più necessario oggi, perché «l’ignoranza del fenomeno religioso può comportare una recrudescenza dei conflitti culturali: una buona conoscenza delle religioni è alla base del confronto, del dialogo e della tolleranza fra popoli».
Progetto proposto, progetto promosso. «Attualmente io e il mio collega abbiamo il cento per cento di adesioni nel plesso in cui l’idea ha avuto origine una decina di anni fa – rivela la professoressa Ristorto –, nell’altro plesso il progetto è iniziato soltanto un paio di anni fa, per cui ci sono ancora famiglie, anche se non molte, che hanno scelto per il momento di non aderire. Oltre ai bambini provenienti da famiglie cattoliche, attualmente partecipano al progetto tutti gli alunni ortodossi presenti nella scuola, soprattutto di origine rumena, e la maggioranza degli alunni musulmani, soprattutto di origine marocchina o tunisina, più alcuni provenienti dall’Africa centrale e dal Bangladesh. Partecipano anche i cinesi, un paio di pentecostali, una bimba proveniente da una famiglia ebraico-cristiana e coloro che provengono da famiglie di orientamento ateo o agnostico».
Fondamentale non è solo l’orario dentro le aule scolastiche, ma anche le uscite didattiche per permettere ai ragazzi di toccare e sperimentare la diversità religiosa. In questo senso, «attraverso attività dinamiche e coinvolgenti, spesso ludiche o di gruppo, tali da favorire dinamiche di confronto, di dialogo e di collaborazione, nei cinque anni del progetto presentiamo i diversi luoghi di preghiera, le feste nelle diverse religioni, la figura di Gesù, quella di Muhammad, i personaggi principali di Bibbia e Corano, gli aspetti fondamentali delle principali religioni, diverse tematiche sociali legate all’intercultura, al dialogo, all’accoglienza, all’accettazione di se stessi e degli altri, avendo sempre un occhio di riguardo per la provenienza culturale e religiosa degli alunni che abbiamo di fronte. In quinta, a coronamento del progetto, organizziamo da alcuni anni una giornata a Cuneo, per visitare il museo diocesano, il centro di cultura islamica, la sinagoga e la chiesa ortodossa rumena».
Ma come si convincono le famiglie più restie a partecipare? «Le difficoltà non sono mancate – ammette la docente – non è facile sradicare l’idea che l’insegnamento della religione a scuola abbia come scopo quello di ‘indottrinare’ o ‘instradare’ i bambini verso la religione cattolica. Non soltanto parliamo di dialogo interreligioso in classe con i nostri alunni, ma viviamo in prima persona tale dialogo nel confronto diretto con le famiglie di altre confessioni religiose, soprattutto nei confronti delle famiglie musulmane. Con gli ortodossi la questione è più semplice: alla fine si tratta pur sempre di cristianesimo. Il confronto più difficile, ma anche più stimolante, avviene con la comunità musulmana: innanzitutto, da parte di noi insegnanti, occorre un’ottima conoscenza dell’Islam e del Corano. Occorre poi tempo per parlare personalmente con i genitori, molta pazienza nel cercare di capire e comprendere i loro dubbi e i timori, molta attenzione nel trattare i temi più spinosi o controversi e capacità di spiegarsi anche laddove ci si scontra con barriere linguistiche o culturali più o meno grandi. Bisogna dire che il supporto e il sostegno della dirigente, delle colleghe e dei colleghi è stato fondamentale per poter mettere in pratica un simile progetto e superare gli ostacoli e le difficoltà che spesso si presentano lungo il percorso».
Ma il risultato finale supera ogni difficoltà: «I nostri alunni e le nostre alunne sono entusiasti del progetto – sottolinea soddisfatta Sonia Ristorto – sono realmente interessati a conoscere culture e religioni diverse e comprendono meglio di molti adulti come la comune umanità venga prima di qualsiasi differenza. Molti bambini, immigrati di prima o seconda generazione, sono felici di trovare un luogo in cui parlare con orgoglio della propria cultura e religione, differente da quella di maggioranza. I cristiani poi trovano enorme giovamento nel riconoscere che la loro cultura, la loro lingua e la loro religione non sono le sole esistenti, ma che il mondo è decisamente più ampio, più complesso e più interessante di quanto sono abituati a immaginare. Nonostante ampi spazi di miglioramento e la presenza di inevitabili difficoltà, possiamo dirci pienamente soddisfatti dell’impatto che il nostro progetto ha sugli alunni: conoscere realmente l’altro cancella la paura e permette di guardare insieme verso un futuro condiviso».