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Devozione

Spingersi verso qualcosa alla cieca, come fare un tuffo nel mare da un punto altissimo: lo fanno i devoti, quelli che camminano accanto al proprio spirito e di tanto in tanto provano a lanciarlo da qualche parte, alla ricerca di qualcosa che sperano gli faccia bene e in cui vedono la luce. Non sono di certo quelli soddisfatti o rassegnati e nemmeno quelli che già hanno tutto, altrimenti non avrebbero motivo di darsi incondizionatamente; non hanno altro se non quel che ancora non hanno conosciuto, che non hanno mai visto, ma sentono di dover scoprire e perseguire. Consacrano la propria vita a un’altra entità, che sia umana o divina, materiale o astratta. C’è qualcosa in cui credono, che gli brucia dentro e per cui brucerebbero loro stessi all’istante. I devoti sono una razza strana, la più tosta di tutte. Qualcuno li definisce irrazionali perché danno via sé stessi, il bene maggiore che ognuno possiede sopra ogni altro, senza nemmeno sapere se riceveranno qualcosa in cambio, se gli servirà, se gli farà bene. Eppure, non ci pensano perché quel che li muove è la fede o l’amore – entrambe forze insolenti per quanto rendano gli uomini totalmente impotenti contro di esse e talvolta folli, ma così profondamente diversi da quel che erano prima del loro arrivo e forse migliori anche per il solo fatto di essersi aperti con coraggio al cambiamento e all’azione. Sono rinnovatrici, arrivano con irruenza e trasformano chiunque, purché sia disposto a farsi affinare, come un vetro da rafforzare ma che si tempra solo se raggiunge i 700°C.

Il devoto è quello che crede in qualcosa a cui sente di appartenere e per cui non si risparmia. Ciò che lo rende tale non è la sua direzione, intorno alla quale non c’è nulla su cui fantasticare poiché è già definita, ma la promessa che è anche desiderio: nutre un sentimento verso qualcosa che ancora non c’è, ma che si vede già davanti ai propri occhi, come un figlio che ancora non è nato ma di cui si immaginano i tratti e di cui già si sente il peso sul petto, come un sogno ancora irrealizzato ma a cui si sta lavorando e per questo già ha invaso ogni spazio della quotidianità, e mentre è in corso d’opera è come se si fosse già concretizzato, perché si avverte l’energia che lo costituisce. La promessa non rispetta il tempo, ma lo usa in maniera del tutto personale. In qualche modo, finisce sempre per abusarne: lo dilata, lo rimpicciolisce. Sovrappone un istante a quello successivo: il futuro di cui parla e in cui si colloca si fa immediatamente presente, è già qui perché crea un’aspettativa che di per sé offre qualcosa: accende una nuova luce attraverso la promessa stessa, perché qualcosa dentro si mette in moto e incomincia a fermentare.

Editoriale N°11 | Devozione

Il popolo napoletano è quello più ardente di tutti, nelle passioni, nei desideri e nella devozione. Ha un profondo culto d’amore e religione: la sua trinità è fatta dal mare, san Gennaro e Maradona, ma questo lo sa chiunque e rischia di diventare un fastidioso stereotipo. Chiunque, però, sa anche che Napoli è una donna pericolosa. Assai bizzarra e criptica, non si capisce mai fino in fondo e vive di contraddizioni. Santa e puttana. Immacolata e peccatrice. È scugnizza: si fa amare, ma è difficile capire per quale verso prenderla, perché da un momento all’altro potrebbe mettersi sulla difensiva. È facile anche finire per odiarla. Non riesce a trovare un modo di essere equilibrato, ma vive solo di picchi elevatissimi e profonde depressioni. Si trova sempre in mezzo a una dialettica tra scrupolo e menefreghismo, fede e blasfemia. Sa dar peso alle cose, è una donna che si definirebbe «carnale»: è accogliente, vicino a lei si sente tutto l’amore che ha e non lo tiene solo per sé, ma è a disposizione di chiunque. Si prende cura di tutto perché conosce l’abbandono, la trascuratezza, la durezza. E riesce, solo così, a rendere qualcosa il nulla.

Napoli è una città stretta. Si vive in tanti a una distanza ravvicinatissima, in vicoletti di basolato incastrati l’uno nell’altro, in cui dopo un paio di svoltate sembra di aver percorso chissà quanto, tanta è la differenza dal punto di partenza e non si ha nemmeno il tempo di rendersene conto che già ci si è persi. In quegli spazi angusti può nascere di tutto, nel bene e nel male, senza alcuna differenza, e forse è difficile viverci proprio per questo. Sono freddi. La luce spesso non passa e bisogna scegliere sempre se occuparsi di approfittare del buio per non farsi vedere, decidere sempre se dalle mancanze si può far nascere qualcosa o se farsi trasportare. Napoli è un luogo in cui tutto è così piccolo e leggero perché la vita è vissuta da molti alla giornata, ma la leggerezza è diversa dalla superficialità, dal non dar peso a nulla. Eduardo De Filippo in un monologo di pochi minuti riuscì a tracciare la realtà partenopea con una crudezza impareggiabile. «È ssempe cosa ‘e niente», recitava. «Tutte le situazioni così l’abbiamo risolte: è ccosa ’e niente, è ccosa ’e niente. Non teniamo che mangiare: è ccosa ’e niente. Ci manca il necessario: cosa ’e niente. ‘O padrone more e io perdo il posto: vabbuò, André, è ccosa ’e niente, cosa ’e niente. Ci negano il diritto alla vita: è ccosa ’e niente. Ci tolgono l’aria: vabbuò, e che vvuo’ fa’? È ccosa ’e niente. Sempe cosa ’e niente. Quanto si bbella. Quanto eri bella. E guarda a me, guarda che so diventato. A furia ‘e dicere: “è ccosa ‘e niente” siamo diventati due cose ’e niente, je e te. Chi ruba lavoro è come se rubasse danaro. Ma se onestamente non si può vivere? Jamme, dillo: “È ccosa ’e niente”, je sto aspettanno, dillo. “Ja, André, è ccosa ‘e niente”. E non piangere. E mo piangi? È ccosa ’e niente. E se io esco e accido a qualcheduno, è ccosa ’e niente. E se io impazzisco e mi portano al manicomio e la gente ti domanda: “Ma scusate, ma vostro marito perché è impazzito?”, tu devi rispondere: “Così, pe nniente. È ccosa ’e niente”. È niente. […] Di che ti preoccupi? Qualunque cosa succede, è ccosa ‘e niente».

Il niente c’è ed è ovunque. Forse Napoli non cambierà mai, forse non bisogna pretendere di cambiarla. Non perché “è sempre stato così” ed è difficile migliorarla, ma perché pensare di darle tutto per non farle mancare più niente sarebbe come cambiarle nome, cambiarle faccia. Snaturarla. Creare una nuova anima e perdere anche la forza che sprigiona quando il niente è visto come lo zero: non un numero che non vale niente, ma che acquista valore se messo al posto giusto. Così cambia tutto: vedendo quel che si ha e trovandogli uno spazio suo, che abbia peso – come quando da un buco si ricava un basso in cui vivere, e accanto ce n’è un altro e fiorisce la comunità, fatta di una vicinanza fisica forse eccessiva sì, eppure piena di fortuna, perché gli estranei diventano presto famiglia e avere una porta accanto significa poter bussare sempre e trovarla socchiusa o addirittura con le chiavi nella serratura, perché “casa mia è casa tua” e di qualsiasi cosa avrai bisogno, basterà parlare e qualcuno ti sentirà sempre.

Nelle realtà più dure nasce la devozione, molte volte più che in quelle in cui si sta già comodi, perché è tutto da costruire. Senza risentimento né odio per nessun altro luogo in cui si sta meglio, ma solo con un’umile fame di crescita. Oppure, negli stessi posti, può nascere la contraddizione più dolorosa di Napoli, che sembra subire una metamorfosi quando si trasforma in una divinità che pretende di ricevere qualche figlio in sacrificio. Le precedenti civiltà a un certo punto si sono stancate, non hanno voluto più sacrificare alcun Isacco e Ifigenia pur amando la religione, pur continuando a praticarla. Perché sono riusciti a vedere. A decidere. Il problema è tutto qui. Se ci sono ragazzini che usano pistole e coltelli ‘per gioco’, forse è perché sono convinti che il niente che hanno niente possa dare. Che il niente non abbia peso e che solo gli atti estremi abbiano il potere di dar senso a qualcosa. Perciò le pistole a Napoli non uccidono e la vita che passa per certe mani non vale niente.

Sorrentino ha detto che Dio non ama il mare. L’uomo sì, però, specialmente il napoletano. Lo ama e lo rispetta così com’è, e ha imparato a nuotarci meglio di chiunque altro. Vi si tuffa d’estate e pure d’inverno. E guai a chi glielo tocca. Guai a chi glielo toglie. ♦︎


Illustrazione di Susanna Galfrè