L’età dell’incertezza
Benvenuti nel primo quarto di secolo del secondo millennio. Gli ultimi venticinque anni sono stati contrassegnati da una crescente incertezza. Uno sconquassamento di teorie e concetti ha portato l’individuo a doversi ripensare e re-immaginare. Forse, tra mille anni, guardando a questo momento storico, si tireranno le somme, catalogandolo come un periodo in cui l’essere umano e il mondo che ha costruito si trovavano in bilico, privati di certezze che un tempo sembravano incrollabili.
Le incertezze si sono aperte nei macrosistemi – i sistemi globali economici, politici e tecnologici in cui l’uomo è immerso – e nei microsistemi, che riguardano l’essere umano nella sua sfera personale e intima. Questi smottamenti, che si rafforzano a vicenda, hanno generato un’incertezza esistenziale.
Forse il più grande terremoto è stato l’intensificarsi dell’uso dell’intelligenza artificiale, che ha iniziato non solo a mettere in discussione la nostra creatività e utilità, ma anche il concetto stesso di umanità. È ancora valida la definizione cartesiana dell’uomo come «res cogitans»? Oppure, come suggerisce il postumanesimo, dobbiamo ridefinire il nostro ruolo in un mondo che trascenda le categorie umane tradizionali? Il postumanesimo, infatti, non si limita a rifiutare l’antropocentrismo, ma mette in discussione concetti fondanti come l’identità, la moralità, la centralità del corpo e il rapporto tra uomo e macchina.
Negli ultimi due decenni e mezzo, è stato messo in discussione anche ciò che percepiamo come reale: lo spazio e il tempo. Già ridefiniti dalla teoria della relatività di Einstein a livello fisico e concettuale, lo spazio e il tempo sono stati ulteriormente destabilizzati dalla tecnologia nella loro percezione: un presente dilatato, dove il virtuale dissolve le distanze, e la transumanza digitale ci spinge a considerare perfino la morte come una sfida tecnologica. Questo provoca un’insicurezza ontologica, una difficoltà nel definire chi siamo e quale sia il nostro posto nel mondo.
Così, l’uomo contemporaneo si trova a confrontarsi con domande antiche e nuove. “Che cos’è l’uomo? Perché esistiamo? A cosa serve la nostra esistenza?”. Da Socrate a Nietzsche, passando per Heidegger, la filosofia si è interrogata su queste questioni, ma oggi, in un mondo dominato dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale, queste domande assumono una nuova urgenza.
Il macro: i sistemi incerti
L’incertezza non è solo una questione individuale; è il riflesso di un mondo in crisi. I sistemi economici, politici e ambientali si trovano in una fase di trasformazione tumultuosa. Nulla sembra più stabile: la democrazia liberale, un tempo considerata conquista definitiva, è sotto attacco, mentre valori civili e sociali che parevano acquisiti vengono messi in discussione.
Pensiamo alla Germania, alla Francia o all’Austria, dove l’ascesa delle destre estreme minaccia di scardinare principi di uguaglianza e libertà. In Turchia, le riforme accentrate di Erdogan hanno eroso i limiti del potere democratico, quando solo cento anni fa la Turchia di Atatürk muoveva verso la parità di genere nel codice civile, la non obbligatorietà del velo, la laicizzazione dello Stato. In altre nazioni, assistiamo alla fusione inquietante tra democrazia formale e illiberalismo, dove leader eletti democraticamente ignorano i diritti fondamentali.
In questo contesto, l’ingiustizia sociale e la disuguaglianza alimentano ulteriore incertezza. E a proposito di “25”, noi giovani affrontiamo una “quarter-life crisis”: un periodo di ansia e stress legato all’incapacità di realizzarsi in un sistema che sembra fornire sempre meno opportunità. I dati parlano chiaro: il 70% degli under 30 vive con i genitori; più del 50% dello stipendio va in affitto (considerando che le banche calcolano un mutuo sostenibile entro il 30% dello stipendio); chi ha meno di 30 anni guadagna in media 12.000 euro in meno rispetto alla media nazionale.
Le cause dell’incertezza
Le cause di questa condizione di incertezza sono molteplici e riverberano in noi. La contraddizione tra aspettative e realtà: quando ciò che abbiamo studiato e costruito si scontra con una realtà che disattende le aspettative, si genera confusione. Il conflitto tra valori e comportamenti: agire in contrasto con i propri ideali, magari per necessità economica, può generare una dissonanza cognitiva che mina la stabilità interiore. E poi l’ingiustizia sociale, l’impotenza di fronte a ingiustizie sistemiche che alimenta una sensazione di precarietà e spinge verso soluzioni estreme o radicali.
Un mondo in fase adolescenziale?
Il mondo, oggi, somiglia a un adolescente che sta cercando di ridefinire la propria identità. Le vecchie certezze si stanno sgretolando e nuovi paradigmi sono ancora in fase embrionale. Come nell’adolescenza, è un momento di transizione, di crisi e di esplorazione. Ma è anche un momento pericoloso, in cui le scelte fatte potranno definire il futuro per decenni.
La ricerca di una nuova verità
Viviamo in un mondo scosso, privo di una verità solida (o meglio, stabile e condivisa), ancora in conflitto con il vecchio e con poche idee per il nuovo. Come in un terremoto sociale, i vecchi punti di riferimento sono stati spazzati via, e ci troviamo in attesa di capire cosa emergerà dai maremoti che scuotono la nostra epoca.
Per ora, nessun vulcano è esploso, ma tutti i segnali suggeriscono che è solo questione di tempo. In questo scenario, l’unica cosa che ci rimane da fare è cercare una verità nella quale possiamo credere intimamente e moralmente, e perseguire quella. L’unica stella polare, non riuscieremo a trovarla fuori ma dentro di noi e riguarderà una verità più vicina all’anima di quanto non si creda. Una verità in cui il concetto di coscienza possa riposare e sentirsi a suo agio. Questa verità, intima e morale, è forse l’unico antidoto all’incertezza che domina tanto il micro quanto il macro.
Consiglio per il quarto di secolo
Individuate una bussola e un Polo Nord in cui credere. Coprite i lati degli occhi, tappatevi le orecchie e andate fino in fondo.
Illustrazione di Susanna Galfrè