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“A me della Chiesa importa poco, soprattutto del rispetto reciproco e della fraternità che professa. Io non mi sono mai sentito a casa in alcuna delle Chiese in cui sia mai entrato». M., 20 anni. Piemonte.

L’esperienza raccontata da M., ventenne piemontese, rappresenta una situazione comune in moltissimi degli scambi che abbiamo avuto su questo tema con ragazzi di età compresa tra i 15 e i 29 anni provenienti da tutt’Italia. Il quadro delineatosi racconta storie certamente sommerse ma comunque straripanti di vita. E fa emergere un fattore comune: quello della fraternità.

I giovani sembrano essere pieni di legami basati su una certa fraternità, fiducia e reciprocità. Basterebbe sentire i vari “fra” o “bro” che, scopiazzati dagli slang made in Usa, fanno dell’amico un “fratello” o un “brother ” per la vita e che vengono usati per segnare il confine del proprio mondo. Ma c’è ben altro. Osservandola e ascoltandola bene, la battaglia della gen-z è chiara: lottare contro la solitudine attraverso le luminose armi dei legami fraterni.

Eppure, «la sensazione è che a nessuno importi di noi e dei nostri legami in questa età, tantomeno alla Chiesa, che invece potrebbe creare spazi nuovi per chi è a metà tra vita adulta e adolescenza», afferma L., 26 anni. «Penso che qualsiasi ragazzo italiano oggi abbia dei fratelli tra i suoi amici. Alla base di questi rapporti c’è in primis una conoscenza reciproca ben salda che ha nella sincerità, nella lealtà e disponibilità il suo fondamento. In fondo ci sono i gesti che poi fanno la differenza e che dividerei in due categorie: gli abbracci, simbolo della fraternità, e le chiacchiere, momenti di condivisione della vita».

Tuttavia, prosegue un’altra voce giovane, «a bruciapelo direi niente: non penso che nulla di ciò che dica la Chiesa possa influenzare la mia vita. Forse, se ci desse un esempio di cosa vuol dire essere fratelli tra diverse generazioni, potrebbe essere davvero interessante».

Ma come fare ? Esistono certamente delle eccezioni e dei luoghi che continuano a pulsare. L’oratorio, ad esempio. «In questi anni di oratorio ho sempre vissuto esperienze di fraternità con i miei coetaneiammette S., 26 anni — sfortunatamente non sono stata aiutata a vivere con la mia comunità esperienze vere di fraternità, ma solo momenti forzati con formule che rischiavano di essere meccaniche».

Il problema sembra quindi essere che «le due tipologie di fraternità si incontrano ma sempre con i “guanti” — prosegue C., 26 anni, dalla Toscana — entrambe non si vogliono mischiare, proprio per paura di essere contagiate. Il problema di fondo è la comunicazione che viene fatta in entrambi i sensi. La Chiesa come istituzione comunica seguendo delle linee guida ferme agli anni Ottanta, mentre il mondo esterno è abituato a una velocità e ad un impatto completamente differente. Si va dritti al punto, si guarda e si passa oltre, si stringono legami e in un attimo si è fratelli. Ma forse è proprio la “distanza” tra i due canali che rende complesso l’incontro. La fraternità proposta dalla Chiesa è messa in crisi dal contesto, da tutti quei meccanismi e degli schemi che la incorniciano, il giovane è abituato a velocità differenti e di conseguenza trova stretti certi dettami».

La ricerca della fraternità è un comun denominatore che arriva anche dalla musica, come ricorda questo passo tratto dal brano “Blu Celeste” di Blanco:

Foto di Manuel Grazia

“E mi metterò al riparo

Mentre imparo ad accettarlo

Che se il tempo lo ha già fatto

Ora sei un mio ricordo

Un mio ricordo immaginario

Del fratello che vorrei” 

BLU CELESTE – BLANCO

Ecco, Blanco. Un fenomeno tutto giovanile amato dai giovani.

«Io all’incontro con gli adolescenti non ci volevo andare. Il Papa lo vedo sempre in televisione. Poi un mio educatore m’ha detto che ci sarebbe stato Blanco. Il giorno dopo mi sono iscritto», confessa uno degli intervistati.

Per chi era presente in Piazza San Pietro il 18 aprile scorso, all’incontro con gli adolescenti promosso dalla Chiesa italiana, sentire 80.000 giovani cantare all’unisono le canzoni di BLANCO suggeriva il forte bisogno di essere ascoltati.

«Scarsa fiducia, sostanziale estraneità, attesa di cambiamento» iniziava così un articolo presente nella ricerca “Dio a modo mio. Giovani e Fede in Italia” condotta da Rita Bichi e Paola Bignardi per l’Istituto Toniolo nell’anno 2015, che metteva in luce alcune importanti istanze di rinnovamento. Papa Francesco sembra aver intuito e apprezzato tutto ciò. Non ci ha sorpreso, perché ben conosciamo il Pontefice.

Purtroppo, però, guardando il contesto in modo più ampio, colpisce che a distanza di sette anni la situazione non sia variata nonostante la celebrazione di un sinodo dei vescovi dedicato ai giovani o la creazione di eventi come quello del 18 aprile. Che fare, quindi? Come cogliere le istanze di fraternità che sembrano accomunare due mondi che, nella realtà, sono poi così tanto distanti? Cosa può mettere in campo la Chiesa come istituzione per creare uno scambio fraterno tra generazioni e mondi diversi?