Un caso che si ripete
Quello documentato dalla BBC non è il primo scandalo che colpisce le coltivazioni del colosso britannico.
Già nel 2007, infatti, si era assistito a un evento drammatico, sempre in Kenya, nei pressi della città di Kericho.
Il caos era scoppiato a seguito della sconfitta alle elezioni presidenziali del candidato supportato dagli abitanti della città limitrofa alla piantagione.
I lavoratori che vivevano nella coltivazione di tè, appartenenti ad altre tribù, furono attaccati brutalmente dagli abitanti di Kericho, perchè ritenuti sostenitori del candidato vincitore.
Molti furono torturati e violentati sessualmente, e ci furono anche diverse vittime.
Chi riuscì a sopravvivere riportò gravi ferite, sia fisiche che psicologiche.
Le loro case furono bruciate o distrutte, i loro pochi averi rubati.
Numerosi furono quelli che non ebbero più il coraggio o la possibilità di tornare a lavorare nella piantagione.
La causa contro Unilever
I lavoratori che ebbero la forza di esporsi, intentarono nel 2016 una causa alla sede centrale di Unilever, nel Regno Unito.
Duecentodiciotto tra sopravvissuti e parenti delle vittime hanno denunciato l’accaduto, grazie alla collaborazione trovata in Leigh Day, un avvocato londinese, con l’obiettivo di richiedere un risarcimento alla multinazionale.
Unilever non aveva adottato alcuna misura per proteggere i lavoratori appartenenti alle etnie di minoranza.
Eppure, i segnali del caos e della violenza esplosi a seguito delle elezioni non erano mancati durante le settimane precedenti al voto.
I kenioti fedeli al candidato sconfitto, tra i quali figuravano anche diversi manager delle piantagioni di Unilever, avevano minacciato gli altri lavoratori, fino a impedire loro di andare a votare.
Le etnie di minoranza avevano cercato di sensibilizzare l’azienda su questo problema, ma invano.
La società si era attivata solo per proteggere le sue proprietà ed evacuare i suoi manager, lasciando, però, i lavoratori inermi.
Dopo che un giudice di Londra ha decretato illegittimo il processo alla casa madre di Unilever, i lavoratori si sono appellati alle Nazioni Unite.
La loro speranza è, ora, riposta nelle mani dell’organismo internazionale e dei suoi principi.