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Un piccolo device, un grande passo per la tecnologia

29 gennaio, 11:37, Elon Musk pubblica un contenuto su X. Dichiara di aver installato il primo microchip nel cervello di una persona volontaria. Cerchiamo di comprendere la portata di questo avvenimento.

I nostri neuroni sono come degli interruttori, si accendono e si spengono; è grazie al coordinamento di questi “interruttori” che si genera il nostro pensiero, le nostre azioni, le nostre reazioni.
Parte delle nostre funzioni attive e volontarie avvengono nella corteccia celebrale ed è proprio lì che si può impiantare un microchip. L’obiettivo è quello di riuscire a creare un ponte di pensiero tra la mente e la tecnologia (computer, telefoni, Internet), permettendo, così, di controllare ogni dispositivo senza muoversi, ottenendo l’integrazione uomo-macchina. Questo può avvenire grazie a dei sensori nel microchip che recepisce i nostri comandi (sotto forma di impulso elettrico), per poi trasmetterli al computer (o ad altro device).

Un’altra funzione presa in considerazione è quella di riuscire a curare delle malattie cerebrali-psicologiche come la depressione, l’ansia, l’Alzheimer, il morbo di Parkinson ecc. Secondo alcuni, però può essere un rischio: un microchip potrebbe controllare l’umore ed i sentimenti del suo portatore.

Un’ulteriore considerazione da fare è sulla durata media della vita: se davvero i microchip potranno curare gravi malattie, le aspettative di vita potrebbero aumentare considerevolmente e questo rappresenterebbe un bene sotto certi aspetti, ma un male sotto altri.
Sono molte le aziende impegnate in sperimentazioni con i microchip, fra cui proprio quella di Elon Musk: Neuralink. Fondata nel 2016, ha raggiunto lo storico traguardo di riuscire ad impiantare un paziente, accedendo di fatto ad una fase di sperimentazione. Il prodotto, quindi, non è completamente sicuro e finito. Le ultime notizie, ad ogni modo, sono rassicuranti: il paziente si sente bene.

Per com’è pensato oggi, il prodotto sarà riservato a persone con disabilità e mobilità ridotta, così da permetter loro di usare diversi tipi di dispositivi.

I dubbi rimangono. Ci sono persone che credono che la tecnologia stia avanzando troppo, con il rischio che essa prenda il sopravvento, e a trovarci in situazioni che, fino a poco tempo fa, erano esclusiva dei racconti di fantascienza. D’altro canto, però, c’è anche chi pensa che questo strumento avrà molto successo.

Certo è che si tratta di tecnologie dalle grandi potenzialità, e molto dipenderà dall’uso che se ne farà.

Per approfondire ulteriormente l’argomento, ho deciso di intervistare il professore di tecnologia, David Mezzabotta dell’Istituto Comprensivo Cuneo Oltrestura, per conoscere le considerazioni di un esperto.

D: Cosa ne pensa dei microchip nel cervello?
R: Rappresentano una nuova frontiera della tecnologia. Potranno essere molto utili, ma dipenderà ovviamente dagli ambiti di utilizzo. In ambito medico credo possano avere una grande importanza mentre saranno inutili se serviranno a semplificare l’uso dei dispositivi tecnologici.

D: Secondo lei è un passo avanti per la tecnologia o un pericolo imminente?
R: Ne vedo più i lati positivi.

D: Pensa che tra alcuni anni potremmo essere controllati?
R: Sì è un rischio; anche se siamo già controllati dalla tecnologia, basti pensare ai sistemi di tracciamento, di geolocalizzazione, al riconoscimento facciale che analizza i nostri dati biometrici. I microchip, però, possono davvero potenziare questo controllo.

D: Pensa che potremmo diventare più pigri (dato che si potrà controllare la tecnologia con la mente)?
R: È una possibilità concreta, ma in questo modo la funzionalità di questi microchip di migliorare la vita non è messa in atto. Se davvero questi microchip venissero venduti per svolgere funzioni che si potrebbero fare facilmente, allora non avrebbe senso usarli.

D: Pensa che, dato che una funzione di questi microchip è curare malattie come ansia e depressione, controlleranno il nostro umore?
R: Sono convinto dovremmo cercare di essere maggiormente resilienti ed evitare di ricorrere a scorciatoie esterne.

D: Pensa che questo progetto avrà successo? Se sì perché? E questo può essere un bene o un male?
R: Sì. Come sempre la tecnologia non può essere “solo buona” o “solo cattiva”, ma dipende dall’uso che se ne fa. Si spera in positivo e che vengano effettuati dei controlli su questi strumenti per fare in modo che non diventino negativi.

D: Se lei ne avrà bisogno se lo farà installare?
R: Se avessi delle malattie o delle patologie e potessi migliorare la mia condizione lo valuterei, non per altro.

D: Pensa che il prezzo reso noto dall’azienda Neuralink di 40.000 $ sia giusto?
R: Se è per far fronte a malattie assolutamente sì, ma se è solo per comodità no.


Justin Beja, 2E IC Cuneo Oltrestura

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