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Nel discorso ai suoi connazionali all’indomani della mattanza di Hamas al rave party in Israele, il primo ministro israeliano Netanyahu ha affermato che il Paese è entrato in guerra. Solo poche ore prima un plotone di miliziani di Hamas era penetrato nel territorio conteso, uccidendo decine di civili e prendendone altrettante in ostaggio, dopo averlo bombardato con centinaia di missili. Un’incursione inaspettata che ha colto di sorpresa le difese israeliane e soprattutto quella che viene considerata l’intelligence più organizzata al mondo. I media internazionali hanno immediatamente lanciato la notizia del nuovo conflitto: ma è effettivamente corretto parlare di una nuova guerra tra Israele e Palestina?

Un conflitto che dura da decenni

Quello tra israeliani e palestinesi è, in realtà, uno scontro che dura da decenni, con le prime ostilità che risalgono al 1918. Ossia quando l’Impero Ottomano cadde e si frammentò in vari territori, tra cui la Palestina, che passò sotto il controllo dell’Inghilterra. Proprio questa regione fu per così dire selezionata al fine di costituire una patria per gli ebrei sparsi in tutta Europa – idea partorita diversi anni prima con la collaborazione del giornalista ebreo Theodhor Herzl, che aveva portato alla nascita del movimento sionista.

L’ arrivo dei ‘coloni’ ebrei in Palestina avvenne in modo graduale. Inizialmente solo poche persone lasciarono l’Europa per trasferirsi nella nuova terra, e ciò rese possibile la convivenza con i palestinesi. A cavallo delle due guerre mondiali, però, il numero di ebrei che migrò in Palestina crebbe notevolmente a causa dell’odio razziale che andava sempre più diffondendosi in Europa: non solo nella Germania nazista di Hitler, persecuzioni, ghettizzazioni e discriminazioni nei confronti degli ebrei si verificavano un po’ ovunque nel Vecchio Continente, come per esempio in Francia, con lo scoppio dell’Affaire Dreyfuse.

La prima guerra arabo-israliana

Contestualmente all’intensificarsi dell’esodo degli ebrei in Palestina si verificarono i primi scontri e i primi malumori con gli abitanti autoctoni. L’apice delle ostilità venne raggiunto il 14 maggio del 1948, quando Israele si autoproclamò stato e stabilì i propri confini all’interno del territorio, dal quale soltanto un anno prima gli inglesi si erano definitivamente ritirati, lasciando irrisolta la questione tra ebrei e arabi palestinesi.

Erano anni che le potenze occidentali discutevano sulla possibilità di suddividere il territorio palestinese in due stati, uno ebraico e uno arabo. Ma siccome non erano ancora giunti a una conclusione quando Israele decise di autoproclamarsi stato, inizialmente la Società delle Nazioni non lo riconobbe, così come non lo fece nessuna delle altre nazioni occidentali. E tuttavia, forse anche complice il profondo senso di dolore nei confronti degli ebrei al termine della Seconda Guerra Mondiale, nessuno ebbe il coraggio di opporsi apertamente.

Dal canto loro i palestinesi, sentendosi privati delle proprie terre, chiesero appoggio ai Paesi arabi, i quali, oltre a nutrire poca simpatia, per così dire, nei confronti del popolo ebraico, avevano rifiutato la spartizione della Palestina proposta dalla Società della Nazioni. Iniziò così la prima guerra fra israeliani e arabi: da una parte il neonato Stato ebraico, dall’altra gli eserciti uniti di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq: una sorta di riproposizione storica del mito del piccolo Davide contro il gigante Golia. Come nella leggenda così anche nella realtà, fu l’apparentemente più debole Israele a prevalere, vincendo un conflitto che si concluse poi nel 1949. Gli ebrei non solo riuscirono a difendere i propri territori, ma conquistarono gran parte del resto della Palestina, fatta eccezione per la striscia di Gaza, che passò in mano all’Egitto, e la Cisgiordania (la West Bank di cui si è sentito molto parlare in questi giorni), che fu annessa alla Giordania. Migliaia di palestinesi si videro costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, dando così inizio alla grave questione dei profughi della Palestina, gente senza casa, senza terra, senza patria.

Israele e Palestina: storia di un eterno conflitto

La guerra del 1956 e la nascita dell’OLP

Da quel momento fu un continuo succedersi di scontri e scaramucce lungo i confini israeliani, fino al 1956, anno in cui esplose una nuova guerra, questa volta fra Israele ed Egitto. Ancora una volta fu lo Stato ebraico a uscirne vittorioso, con l’Egitto che si vide strappare numerosi territori, territori che Israele fu poi costretto a restituire sotto ‘invito’ dell’Onu. Intanto l’amarezza e la voglia di vendetta dei palestinesi cominciava a tradursi in una nuova forma di guerriglia portata avanti dai fedayyin, i tipici soldati palestinesi. La figura del fedayyin divenne presto il simbolo della lotta palestinese per la riconquista dei territori strappati da Israele.

I ruoli, a questo punto, si invertirono: gli israeliani, forti di un apparato tecnologico molto avanzato, erano diventati il gigante Golia. I palestinesi, vestiti di stracci, avvolti nella tipica kefya, il copricapo contadino e armati di fucile, recitavano ormai la parte del piccolo Davide, costretto a difendersi con le poche risorse a sua disposizione. La propaganda palestinese si appellò molto a questa dicotomia non solo per far breccia negli animi del popolo arabo, ma anche per farsi ascoltare a livello internazionale e permettere ai palestinesi di essere riconosciuti come popolo a sé, vittima dell’usurpazione di Israele. La guida palestinese forse più importante e simbolica di questa corrente fu Yasser Arafat. Arafat fu per anni leader dell’Olp, il movimento per la liberazione della Palestina, i cui membri perpetrarono atti di guerriglia e vili attentati contro lo Stato di Israele e contro i suoi alleati. L’azione terroristica più nota e drammatica si verificò durante le Olimpiadi di Monaco del 1972, quando, fra il 5 e il 6 settembre, alcuni palestinesi penetrarono negli alloggi del villaggio olimpico riservati alla squadra israeliana, sequestrando e in seguito uccidendo tutti gli atleti.

La guerra dei sei giorni e quella dello Yom Kippur

Intanto nel 1967 era scoppiata una seconda guerra con i Paesi arabi, principalmente Siria, Egitto e Giordania: la cosiddetta guerra dei sei giorni. Il conflitto fu definito così a causa della velocità con la quale gli israeliani ebbero la meglio sugli eserciti nemici, grazie all’effetto sorpresa con cui la loro aviazione colpì quella egiziana. Una guerra lampo che consentì a Israele di annettere ulteriori territori palestinesi, in parte poi restituiti a seguito della risoluzione 242 delle Nazioni Unite.

Un’altra guerra breve si consumò nel 1973, in quello che viene definito il conflitto dello Yom Kippur, termine ebraico per indicare la festa dell’Espiazione. Egitto e Siria scelsero infatti di attaccare Israele durante questa ricorrenza, e sebbene inizialmente furono gli arabi a cogliere di sorpresa l’esercito avversario, costringendolo ad arretrare, in seguito i soldati israeliani riuscirono a risollevarsi rapidamente e a riconquistare terreno. La guerra si concluse senza grandi risultati dal punto di vista militare grazie all’intervento di Stati Uniti e Unione sovietica, che evitarono l’intensificarsi del conflitto.

L’intifada, la guerriglia della gente comune

Nel 1987 un mezzo militare israeliano si scontrò con alcuni pulmini con a bordo operai palestinesi, provocando la morte di due di loro.
Fu la goccia che fece definitivamente traboccare il vaso dentro cui la popolazione palestinese rimestava rabbia, antichi rancori e insofferenza, una popolazione fiaccata da anni di sopportazione del dominio israeliano. Nacque così un movimento di protesta e guerriglia noto come Intifada, dal termine arabo che significa letteralmente «scrollarsi di dosso», portato avanti dalla gente comune attraverso manifestazioni, scioperi, chiusura delle principali attività e scontri tra l’esercito israeliano e giovani palestinesi armati di pietre.

Una seconda Intifada esplose poi nel 2000, quando il premier israeliano Sharon decise di farsi filmare mentre passeggiava lungo la Spianata delle moschee, terzo luogo in ordine di importanza per la religione musulmana. L’Autorità palestinese aveva tentato di dissuadere Sharon in ogni modo, prevedendo le proteste che sarebbero esplose in seguito. La rivolta dei palestinesi, che videro il gesto come un affronto e un oltraggio, non tardò ad arrivare, e presto l’Intifada sfociò in una vera e propria guerra fra i due eserciti.

Tentativi di pace: gli accordi di Oslo e i miti di Camp David

In mezzo a decenni di conflitti vi furono anche sporadici tentativi di raggiungere, se non una pace definitiva, quanto meno un accordo di reciproco riconoscimento fra Stato israeliano e Stato palestinese. I primi patti in tal senso venero siglati a Oslo nel 1993 fra Arafat e il primo ministro israeliano Rabin, col presidente americano Clinton nel ruolo di mediatore. Gli accordi di Oslo portarono alla nascita dell’Autoritá Nazionale Palestinese, incaricata di governare parte della Cisgiordania e la Striscia di Gaza. E tuttavia i Paesi arabi e le frange più estremiste all’interno dell’OLP rifiutarono gli accordi del 1993; fu dalle ceneri di questo fallito accordo che si riaccese l’animo di un movimento terroristico palestinese nato nel 1987, destinato a fare parlare molto di sé in futuro: Hamas.

Un secondo tentativo di portare avanti il processo di pace fu sperimentato a Camp David nel 2000. Ancora una volta il presidente degli USA Clinton si fece da mediatore, cercando di mettere d’accordo i palestinesi rappresentati da Arafat e gli israeliani rappresentati dal primo ministro Barak. Le trattative avvennero a porte chiuse e gli israeliani proposero ai palestinesi un territorio molto discontinuo a livello di confini. Arafat rifiutò, e né seguì un caos mediatico che portò al totale fallimento di un progetto di pace tra Israele e Palestina.

Israele e Palestina. La colomba, simbolo di pace, con i caratteristici motivi della kefya

Gli anni 2000 e l’oppressione lungo la striscia di Gaza

Con l’arrivo del nuovo millennio e la progressiva presa di potere da parte di Hamas, la striscia di Gaza è diventata teatro di ripetuti raid e bombardamenti dell’esercito israeliano. 2008, 2009, 2012, 2021. Queste sono solo alcune date che servono a dare un’idea di che cosa significhi, per la popolazione palestinese, vivere in un territorio oppresso, dove la guerra non lascia tregua, come ricordato da Paola Caridi in un’intervista a Internazionale.

Oggi, l’obiettivo di Israele è quello di cancellare Hamas dalla faccia della terra. Timidi accordi, i cosiddetti Patti di Abramo, sono stati nuovamente siglati nel 2020 dal presidente americano Trump con Israele, Emirati Arabi Uniti e Barhein. Ennesimo tentativo di trovare una pace lontanissima che nei fatti non ha portato ad alcun risultato per quanto riguarda la convivenza tra israeliani e palestinesi, sebbene abbia rappresentato il primo processo di normalizzazione dei rapporti tra un paese arabo e lo Stato di Israele.

Israele e Palestina, oggi come nel ’48

Come abbiamo potuto constatare attraverso questa breve cronistoria della Palestina, i fatti degli ultimi giorni hanno radici molto profonde. Impossibile non pensare ai profughi palestinesi del 1948, per esempio, quando si sente la notizia dell’esodo di quasi due milioni di civili che dovrebbero spostarsi per 40 km dal nord al sud di Gaza. Una situazione di stallo che vede regnare l’odio reciproco tra i due principali attori, nella contesa di un singolo territorio. Una contesa in cui il mondo continua a schierarsi da una o dall’altra parte, decretando chi sono i buoni e chi i cattivi, con il dibattito critico orrendamente calpestato da due opposte e feroci tifoserie.