Franco Gavaglià, sindaco di un esteso comune di montagna, vuole assicurarsi la rielezione per il mandato successivo; il partito di Ursini però è un avversario temibile, e per contrastarlo urge architettare una strategia che permetta di guadagnare ulteriori consensi. Un collaboratore propone così a Franco di farsi accompagnare ai comizi dal padre, perfetta incarnazione dei valori della vita tradizionale. Ma lui suo padre lo detesta, a causa delle botte e della violenza che durante l’infanzia ha dovuto subire assieme alla madre. Eppure ora sembra un vecchietto docile, «buono buono, minuto nella sedia a rotelle», incapace di nuocere a una mosca. Seppur debba esaltare l’uomo che per tutta la vita gli ha causato dolore e sofferenza, l’idea sembra vincente, e per convincere il vecchio chiede aiuto a sua figlia Leda. Preoccupata per la salute del nonno, dovrà dividersi fra il lavoro all’estero e gli incontri della campagna elettorale tenendo d’occhio il padre, disposto a tutto pur di vincere. 

In letteratura, la montagna è stata a lungo imbrigliata nelle narrazioni di imprese alpinistiche, stereotipata nella sfida dell’uomo contro l’ignoto, ritratta come bucolica alternanza di prati, boschi e cime su cui trovare la salvazione e il senso dell’esistenza. Ritratti nocivi, che hanno causato idealizzazioni stucchevoli e posticce.

Ne La conca buia, edito da Nottetempo, Claudio Morandini ribalta quest’immaginario svelando dinamiche e contraddizioni della vita quotidiana di piccoli comuni montani, assenti sulle mappe geografiche ma non per questo meno autentici.  L’autore descrive con tragica ironia una realtà aspra e asciutta, di cui illumina gli spigoli ma preferisce esaltarne le ombre. 

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La conca buia di Claudio Morandini, Nottetempo, 2023

La montagna viene filtrata attraverso tre sguardi diversi: il vecchio Gavaglià, «predatore solitario», convinto che ciò che lo circonda gli sia stato quasi conferito da Dio e lo piega ai propri bisogni e voleri, riversando la sua furia senza distinguere le bestie dagli uomini; la giovane Leda, che vi fa ritorno negli intervalli tra i suoi impegni lavorativi e si diletta in piacevoli camminate a contemplare la natura; infine Franco, che disprezza la sua valle eppure non l’ha mai abbandonata, vuole andarsene ma non ci riesce. Arriva addirittura a sostenere solo i cittadini possano amare «questa terra verticale in cui si muovono come astronauti». Un mondo appartenente alla generazione dei vecchi: «meglio lisciare la gente di mezza età tutta atticciata, i vecchi delle frazioni che si trascinano fino alle urne con il deambulatore». Sono loro che Franco affabula, cercando di comprarne i favori con strette di mano e false promesse. È lui stesso a smascherarsi, sa mentire «sempre, e subito, e bene». Un’ammissione che nel corso del romanzo si insinua nella percezione del lettore e ne mina la fiducia. I ricordi della sua infanzia, le atroci cronache sul vecchio Gavaglià, come «Quando ero piccolo papà a volte fingeva di dormire: e se mi avvicinavo troppo mi afferrava il collo, per tirarmi a sé. Non mi lamentavo per il dolore, perché sapevo che non sarebbe servito. Lui, in un raro momento di confidenza, aveva detto che si esercitava su di me per non sbagliare con le bestie» iniziano ad apparire surreali. È impossibile che un uomo sia stato così ignobile da saccagnare di botte il piccolo Franco quando aveva fame, così cattivo da seppellire neonati nel giardino senza nemmeno una lapide. I collaboratori del partito stentano a credergli, sostengono esageri, e anche sua figlia prende le difese del nonno, talvolta la memoria gioca brutti scherzi e «forse non erano così tanti i tuoi fratellini morti». Franco si dà per vinto: «È sempre un sogno ciò che non rientra nel tuo accogliente sistema». 

Anche quella conca «mai toccata dal sole, nemmeno d’estate », luogo in cui si rifugiava da bambino e dove costruiva eserciti di omini di pietra, «non è così buia», osserva Leda durante una gita insieme, lei «dalle gambe irrobustite dalle ore di pilates», lui che le soglie dell’obesità le ha superate troppi buffet addietro. Un confine fittizio tra ciò che si omette e ciò che si sceglie di svelare, tra menzogna e verità. Non sapremo mai se le vicende che il sindaco racconta siano davvero accadute. E forse, nemmeno ci interessa.

È Leda a cui Franco si rivolge durante tutta la narrazione: le rivela cosa accade mentre lei non c’è, le confida i propri errori dopo averli commessi, consapevole che lo avrebbe sgridato, impedendogli di sedare il nonno con un miscuglio di psicofarmaci, «lo voglio cavo e leggero, un vecchietto di ceramica». Quasi una richiesta di assoluzione, una confessione giostrata da un ‘Tu’ mai invasivo, che Morandini bilancia e con cui consente ai lettori di infiltrarsi nel rapporto tra un padre e una figlia, che per quanto tentino di rimanere l’uno accanto all’altra mantengono le distanze.

Sarà perché Leda dalle montagne si assenta, Franco no. Ripudia le sue radici eppure ne è alla costante ricerca, aggrappato all’infanzia trascorsa in una baita lontana dal mondo, dove le uniche visite erano quelle dei don della parrocchia giù in paese. Sensazioni che ritrova nei vicoli bui della città, in un bosco di alberi morti che finché sarà sindaco non permetterà a nessuno di sradicare: «voglio solo che rimanga mia, che il tuo sguardo accomodante non me la addomestichi».

Cerca di fuggire dal teatro dei suoi ricordi, Franco, ma al tempo stesso non perde occasione per ritrovarli. «Al di là di queste montagne, di queste piramidi nere tutte uguali, c’è qualcosa che non capisco e da cui mi sento respingere. Respira pure tu quell’aria straniera, levati in volo, valica i monti, o passaci dentro, va’ tu a misurare quanto siamo inconsistenti e banali noi che rimaniamo a terra e quanto la nostra vita sia una grama replica di tante altre. Io, che sono angusto e mediocre, sto bene qui».


L’autore

Claudio Morandini è nato ad Aosta nel 1960. Si è dedicato a racconti e romanzi in cui ha esplorato i confini tra reale e fantastico e sperimentato il connubio tra forme e generi differenti. Tra i titoli più recenti, oltre a La conca buia (Nottetempo, 2023), si ricordano Le maschere di Pocacosa (Salani, 2018) e, per Bompiani, Gli oscillanti (2019), Neve, cane, piede (nuova edizione, 2021) e Catalogo dei silenzi e delle attese (2022).

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