Per decenni ho cercato il Roth italiano, finché gli ultimi due album di Marracash mi hanno costretto ad accettare che a volte un grande romanziere opta per fare il rapper.

Nel 2015, un mio alunno dell’istituto professionale in cui lavoravo viene e mi chiede se il giorno dopo potevo portare una chiavetta perché voleva copiarmi due dischi che erano usciti quell’anno, e che a suo parere avevano a che fare con le tematiche che affrontavamo in classe durante le mie lezioni di italiano e storia. I due album erano Status di Marracash e Squallor di Fabri Fibra. Io gli dico che non conosco questi due autori e che quindi porterò assolutamente la chiavetta: gli alunni sono sempre stati i miei ‘spacciatori’ culturali (lo Stato mi paga per ‘trasmettere’ loro una cultura ma io non l’ho mai fatto perché, come diceva Danilo Dolci, la trasmissione è un gesto violento, unilaterale, massificante – le macchine trasmettono -, mentre io scelgo di ‘comunicare’ cultura coi miei alunni, ce la scambiamo, ci confrontiamo, in un arricchimento reciproco). Il giorno dopo mi copia nella usb i due album e poi mi dice «Si ascolti anche questo pezzo», e mi parla di un certo Ghali, di una sua canzone dal titolo Cazzo mene.

Nei giorni seguenti la prima cosa che faccio è proprio vedermi il video di Cazzo mene. Mi piace tantissimo questo Ghali, è vero, gli credo, non è uno dei tanti rapper, trapper che imitano altri, scrivono cose stereotipate, si atteggiano come attori porno. No, lui è lui, scandalosamente se stesso. Non preoccupandosi di rappresentare nessuno, rappresenta perfettamente i ragazzi della sua età (quelli con cui lavoro a scuola io, e che quindi conosco bene). Ha una scrittura diretta, sincera, che arriva allo stomaco bypassando la testa (con tutte le sue educazioni). È irreverente, volgare, politicamente scorretto, insomma non è per tutti, è per chi ne ha bisogno (prerogativa che a mio parere dovrebbe contraddistinguere ogni artista che si rispetti).

In quel momento, mio figlio Daniele ha otto anni e non dovrebbe guardare un video del genere, ma (per sbaglio?) lo intercetta durante un mio ennesimo ascolto e se ne innamora a prima vista. Impara a memoria la canzone e inizia a cantarla a ruota, notte e giorno (io rischio il divorzio. Mia moglie, che è molto più equilibrata di me, mi chiede come sia successo che io gliel’abbia fatta sentire!). Il fatto che piaccia a me (che ho 43 anni, 21 più di Ghali) e che piaccia a mio figlio che ne ha 8 (13 meno di lui) è un dato significativo: di solito artisti che riescono a essere così trasversali hanno un valore intrinseco. Lo stesso identico miracolo, transgenerazionale ma anche transculturale (perché io, mio figlio e l’alunno che mi ha ‘spacciato’ queste opere apparteniamo evidentemente a classi culturali diverse) succede nei mesi successivi con Status Squallor: per motivi molto simili a quelli elencati per Cazzo Mene, io e mio figlio diventiamo grandi fan di questi album (il che per mio figlio comporta apprendere – ‘troppo presto’ direbbe mia moglie – tutta una serie di volgarità e brutte parole ma anche scoprire la potenza della poesia, delle figure retoriche, delle parole – mia moglie mi perdonerà!). Oggi, tutti sappiamo che quel ragazzino, Ghali, era destinato a diventare uno degli autori più di successo nel nostro panorama musicale, e che i due album di Marra e Fabri li avrebbero consacrati come icone del rap italiano. Ed è proprio del successo, e del suo rapporto con la qualità, che voglio parlare.

Chi fa i numeri che questi tre autori hanno fatto nell’ultimo decennio incide sulla formazione dell’immaginario collettivo molto di più degli autori di nicchia. Il che non determina un merito (per capirci, io adoro gli Zen Circus che sono autori di nicchia) ma determina una responsabilità (sempre per dire: se negli anni duemila il rock degli Zen avesse conquistato le grandi platee al posto di quello di Ligabue, sono convinto che noi saremmo un paese migliore). Il paese che siamo ha molto a che fare con le canzoni che cantiamo. Negli anni settanta cantavamo Lucio Dalla, oggi Cremonini: è un dato che fa riflettere e si sovrappone con catastrofica precisone ad altre coppie What If tipo Berlinguer/Dalema, Pasolini/Veronesi; Scola/Muccino. Sono tutti What If che accomunano autori di grande successo (e politici ai vertici) con differenze qualitative che spero non facciate fatica a rilevare.

marra
Meriterei il Premio Tenco per la fottuta coerenza che tengo

Mentre negli anni settanta c’era una nazione con un livello culturale medio più alto (se avete dei dubbi a riguardo chiedetevi se oggi cantautori come Vecchioni, De André, Battiato farebbero i numeri che facevano, se li produrrebbero) oggi fare successo è difficilissimo da conciliare con la qualità: devi riuscire a conquistare un pubblico diseducato all’arte; ti ritrovi decine di squali addosso che ti parlano di marketing, poi di marketing e infine di marketing; sei costretto ad andare in tv, in programmi che sarebbero riusciti a dementizzare persino un intervento della De Bevoir. E poi, fare successo significa assaggiare la fama e questo può inquinare il tuo processo creativo, può iniziare a farti diventare un emulo di te stesso, un serial killer della tua stessa arte, pur di mantenere quello status. Significa che sei ricattabile dal tuo stesso successo.

E infatti uno dei processi più riscontrabili nella nostra contemporaneità è quello per cui gli autori esordiscono con opere eccezionali, e nel giro di pochi anni finiscono per diventare gadget, prodotti, sagome culturali: e mi vengono in mente La rappresentate di lista o Di Martino che non hanno fatto in tempo a sfornare un capolavoro (io reputo tali sia l’album Go go diva che Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile) che ce li siamo ritrovati già eredi sanremesi dei Ricchi e Poveri (mutatis mutandis). Per il nostro destino culturale, ogni volta che succede una cosa del genere, si tratta di vere e proprie Caporetto!

È una Caporetto quando, sei anni dopo Cazzo mene, mi ritrovo Ghali a fare la pubblicità del McDonals (cazzo mene a me di una catena alimentare cancerogena, caro Ghali dai capelli rasta?). È una Caporetto quando Fabri Fibra si mette a duettare con Tiziano Ferro (ti voglio bene Tiziano e la colpa non è tua, era Fabri a dover capire che se hai fatto dei ‘testi’ il tuo dna non puoi duettare con uno che le parole nelle canzoni le sceglie come la Fifa con le squadre nei gironi di Champions!). E allora come si fa a non commuoversi di fronte alla coerenza decennale di Marra?

Persona è un album più maturo del già ottimo Status. E Noi, loro, gli altri è il capolavoro. Una volta tanto questo viene riconosciuto anche dai canali istituzionali, tano che l’album ha vinto il Premio Tenco («Meriterei il Premio Tenco/per il fottuto talento che tengo» profetizzava Marra in 64 Bars). I due meriti di quest’album sono la grande lucidità politica (quella che ti saresti aspettata da intellettuali che invece, mentre lui componeva questi testi, durante la pandemia, facevano marchette a raffica in programmi televisivi, a difesa dello scempio sanitario in corso), e la sua scrittura (per decenni ho cercato il Roth italiano, finché gli ultimi due album di Marracash mi hanno costretto ad accettare che a volte un grande romanziere opta per fare il rapper). «King del rap» si è definito Marra in un’omonima canzone, ma in una visione culturale più ampia io parlerei nel suo caso di anarchismo punk.

Perché la forza politica e testuale delle sue canzoni sta proprio nel non poterle ascrivere a nessuna ‘chiesa’: che si tratti di professioni politiche o di attivisti, Marra non cerca sostegno da nessuno, si prende il rischio di dire apertamente cosa pensa, di mettere in discussione verità che vanno o per la maggiore o di moda, elimina qualsiasi ingerenza tra il proprio sentire e il proprio esprimersi. Facendo questo non si inquina, e lascia a chi lo ascolta il piacere (che è un raro privilegio) di stare in relazione con un artista che, sebbene in un percorso di crescita, di sperimentazione, di ricerca, rimane coerente alla poetica di un’indipendente sincerità espressiva, senza sottoporsi a interventi di chirurgia ideologica (Con le mani!) o estetica leggera (anzi leggerissima). A oggi io e mio figlio, che intanto di anni ne ha 15, siamo felici di poterci ancora definire fan di Marra dopo otto anni, tre album, una pandemia e due guerre ancora in corso.


Illustrazione di Matteo Galasso

Andrea Tomaselli
Nasce a Catania nel 1972. Lì si laurea in Lettere moderne con una tesi su Danilo Dolci. Nel 2001 si diploma in tecniche della narrazione al Master biennale della Scuola Holden. Vive a Torino dove lavora alla Scuola Holden come docente di scrittura, drammaturgia e regia, e negli istituti professionali come docente di Lettere. Ha pubblicato il racconto ‘La peste dell'anno uno’ (Feltrinelli, 2014), il libro di poesie ‘Versi erotici nel deserto’ (Eretica edizioni, 2023), il romanzo ‘Bodies, trilogia del poliamore’ (Eretica edizioni, in corso di pubblicazione). Regista dello spettacolo teatrale 'La Crepanza' dei Maniaci d'Amore. Ha curato regia e sceneggiatura dei lungometraggi ‘Zooschool’ (2015) e ‘Kyo’ (2019) (entrambi distribuiti su Amazon Prime Video). Al momento sta lavorando al suo terzo film, ‘Di pietra lavica’ (selezionato al Biennale College 2019 della Biennale di Venezia)

    You may also like

    Lotta
    Ritratti

    Io sono Lotta

    Carlotta Sarina, nome d’arte e di battaglia: Lotta. Attivista, musicista e performer teatrale, ...

    Leave a reply

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    More in Arte