La meccanica del voto: come votano e come votavano gli americani.
La settimana scorsa si è conclusa una disputa tra l’ex candidato indipendente Robert F. Kennedy Jr. e lo stato del North Carolina: Kennedy ha fatto causa ai funzionari elettorali perché questi si sono rifiutati di accogliere una sua richiesta. L’ex candidato indipendente voleva a tutti i costi che il suo nome fosse cancellato dalle schede elettorali delle elezioni presidenziali. Perchè? L’obiettivo di Kennedy era quello di assicurarsi che il suo nome non fosse presente sulle schede in cui gli elettori della North Carolina utilizzeranno. Questo per evitare di rubare accidentalmente qualche voto a Donald Trump, che sostiene dal momento in cui si è ritirato dalla corsa, a fine agosto. Chi gestisce la meccanica del voto in North Dakota gli aveva detto di no: Kennedy si era mosso in ritardo rispetto ai termini consentiti per accogliere la richiesta, e ormai il suo nome era già stato stampato, insieme a quello degli altri candidati, su 3 milioni di schede elettorali. Accettare la modifica avrebbe significato ristampare così tante schede sarebbe stato un grosso problema logistico, anche perché non ci sarebbe stato molto tempo: in molti degli Stati Uniti oggi è già possibile votare per posta per scegliere il prossimo presidente degli Stati Uniti.
Il voto oltreoceano è diverso. Le regole del voto negli Stati Uniti sono diverse da quelle che conosciamo noi. E non parlo di sistema elettorale, del complicato e contestato Electoral College, ma di cosa fanno nella pratica le persone per esprimere il proprio voto. La premessa è ovvia: il processo è variegato, per non dire complicato e frammentario. Questo perché il voto complessivo è dato dalla somma dei voti statali, che sono diversi e seguono (ovviamente) regole diverse.
Innanzitutto, le modalità di voto. Il prossimo 5 novembre milioni di elettori si presenteranno fisicamente ai seggi. Altrettanti milioni possono sfruttare la flessibilità dell’early voting, cioè andare a votare al proprio seggio “in anticipo”, durante una finestra temporale ad un paio di settimane prima del voto. In questa tornata elettorale l’apripista è stata l’Alabama, dove si vota dall’11 settembre. Esistono poi il Mail-in Voting e l’Absentee Voting. Il primo, letteralmente voto “in assenza” include la possibilità di richiedere e ricevere una scheda elettorale da compilare e rispedire per posta. In alcuni stati, come l’Indiana e il New Hampshire, è richiesta una giustificazione per usufruire di questa modalità alternativa: malattie o disabilità, ma anche semplicemente un’assenza per motivi di lavoro il giorno delle elezioni o un domicilio fuori dalla contea per motivi di studio. In altri stati invece, come in Idaho e in Maine, non serve fornire una spiegazione e chiunque può richiedere la scheda in questa modalità.
La modalità del voto “in assenza” ha origini lontane nella storia degli Stati Uniti: nel Massachusetts del Settecento un cittadino – cioè gli uomini bianchi con un attestato di proprietà e una che testimoniasse di aver pagato le tasse, gli unici che potevano votare al tempo – potevano votare da casa se la loro proprietà era “vulnerabile ad attacchi indiani”, e il voto valeva come se fossero stati presenti. Lo stesso valeva per i soldati dell’esercito continentale nel 1775, durante la rivoluzione americana. E anche durante la guerra civile, dove la modalità fu testata su larga scala, dove i soldati votarono negli accampamenti e negli ospedali. La richiesta di una giustificazione per chi votava lontano dal proprio seggio nacque proprio durante le elezioni del 1864: Abramo Lincoln voleva assicurarsi di ottenere i voti dei soldati che stavano servendo in guerra. La procedura è poi rimasta la stessa per tutte le altre guerre intraprese dagli Stati Uniti. Negli anni Venti del Novecento fu aggiunto fra i requisiti per poter votare in assenza anche quello lavorativo, per agevolare gli impiegati delle ferrovie e i commessi viaggiatori.
Questo ci porta dunque al Mail-in Voting, cioè alla più generica possibilità di votare per posta: gli elettori ricevono a casa una scheda che verrà compilata, inserita in una busta speciale, rispedita insieme ad un affidavit o imbucata in un drop-off ballot, cioè in una delle urne dislocate nei vari distretti. Tra gli stati che utilizzano questo sistema, California, Colorado, Hawaii, Nevada, Oregon, Utah, Vermont e Washington e il distretto di Washington D.C. permettono che le elezioni siano condotte interamente via posta, e inviano automaticamente a tutti gli elettori registrati le schede elettorali. Durante le elezioni del 2020, quelle in cui Joe Biden ha battuto l’allora presidente Trump, la possibilità di usare questo metodo è stata allargata a tutta la popolazione, per evitare i contatti diretti delle lunghe code alle urne.
C’è un altro punto che ci differenzia dagli Stati Uniti e rende le modalità del voto diverse: non in tutti gli stati i neo diciottenni ricevono automaticamente un documento di iscrizione elettorale. Questo significa che gli elettori che vogliono votare devono registrarsi volontariamente. Le tempistiche e i termini per la registrazione variano da stato a stato, e in circa venti stati e nel distretto di Columbia esiste il Same-Day Registration: ci si registra un attimo prima di votare. In altri la registrazione avviene nel momento in cui i cittadini interagiscono con alcuni uffici governativi come la motorizzazione, nel momento in cui si deve rinnovare la patente. A proposito di questa, è importante ricordare che negli Stati Uniti non esiste un documento equivalente alla nostra carta d’identità, che è essenziale per votare in Italia. Come funziona oltreoceano la verifica dell’identità durante un’elezione? È una questione grossa. E complicata. Fino al 1950 non è esistita una legge sull’identificazione degli elettori contro la frode elettorale. Prima della Progressive Era – il periodo a cavallo dell’Ottocento e il Novecento in cui furono attuate una serie di grosse riforme burocratiche che hanno fatto diventare il sistema elettorale più simile a com’è oggi – votare era diverso e aveva un significato diverso. Soprattutto nelle zone rurali delle comunità contadine, in cui tutti conoscono tutti, non c’era bisogno di alcune registrazione e tantomeno di un’identificazione per scongiurare le frodi: al massimo, se qualcuno contestava l’identità di un certo elettore in procinto di votare, tutto quello che si doveva fare era un’ispezione visiva da parte di uno dei funzionari elettorali. Poi dopo la prima legge sull’identificazione nel 1950 in North Carolina, che col tempo queste si sono estese a molti altri stati, con inasprimenti sulle regole per la verifica, come per esempio l’obbligo di presentare, al momento di votare, un documento di identità con una foto. Per noi sembra una banalità, ma negli Stati Uniti questa regola è al centro di un dibattito molto acceso: da un lato c’è chi sostiene che questo strumento di verifica sia essenziale per prevenire i furti d’identità e le frodi elettorali. Dall’altro, chi ritiene che queste leggi siano inutili – i dati sulla frode elettorale e in particolare sull’impersonificazione mostrano che sono casi rarissimi – e che l’unico impatto significativo è quello di sopprimere il voto delle minoranze. Chi condivide questa idea spiega che gli elettori afroamericani, quelli latini, della comunità dei nativi, le persone anziane, quelle che vivono nelle zone rurali, quelle a basso reddito e quelle che semplicemente non hanno una patente (21 milioni di americani nel 2024, tra le quali gli afroamericani e i latini sono quelli che con più probabilità non ce l’hanno) devono affrontare barriere burocratiche per ottenere un documento con foto, che non è così facile da ottenere come possiamo pensare.
Tornando al significato “diverso” che aveva il voto: fino a metà dell’Ottocento erano i partiti che stampavano le schede elettorali. I funzionari di questi partiti sostavano fuori dai seggi – e distribuivano le schede come fossero volantini. Chi votava doveva solo prendere quella che gli interessava e depositarla. Votare era un gesto “sociale”, diverso dall’azione personale e piena di significato individuale che esiste oggi. Di nuovo, questo perché nelle comunità rurali l’analfabetismo era la norma, e l’anonimato non era una concezione immaginabile: le persone votavano anche e soprattutto perché fortemente condizionate dalle forze politiche e in funzione delle ricompense che potevano ottenere. Le cose iniziano a cambiare e a diventare più istituzionali nel 1856, con l’introduzione della pratica del voto segreto, anche chiamato Australian Ballot – il riferimento è semplice: gli australiani erano stati i primi a sperimentarlo. ♦︎