Proteste dilagate in tutto il Paese a seguito della destituzione e dell’arresto del Presidente Castillo. Sale a 7 il numero dei morti e ora il Governo estende lo stato di emergenza su tutto il territorio
Il 7 dicembre doveva essere il giorno della svolta per il Governo peruviano. Lo aveva annunciato in mattinata il Presidente in carica, Pedro Castillo, con un discorso alla Nazione lanciato in TV a sorpresa.
Il Congresso della Repubblica sarebbe stato sciolto temporaneamente, nell’attesa di indire le elezioni per nominarne uno nuovo, con il compito di riformulare la stessa costituzione.
Fino a tal momento, lo stesso Castillo avrebbe governato da solo a suon di decreti in uno stato di emergenza eccezionale. Anche il Sistema Giudiziario, la Magistratura, il Pubblico Ministero, il Consiglio Nazionale di Giustizia e la Corte Costituzionale erano stati dichiarati “in riordino”.
La situazione di emergenza doveva essere risolta in un periodo di massimo 9 mesi.
Il Capo di Stato aveva, inoltre, indetto un coprifuoco, a partire dalle ore 22 di mercoledì e fino alle 4 del mattino del giorno successivo.
Ma il buio è calato solo per il Presidente socialista, che si è visto destituito dallo stesso Congresso che voleva sciogliere.
101 i voti favorevoli alla sua deposizione e al successivo arresto per tentato golpe. Solo 6 i contrari e 10 gli astenuti.
La breve vita del Governo del professore
Una caduta auto annunciata quella del Presidente Castillo, data la mossa azzardata e incostituzionale di decretare lo scioglimento del Congresso.
Ma anche l’ultimo gesto disperato di un politico assillato dall’ostruzionismo dell’opposizione.
Una reazione a una situazione di ingovernabilità arrivata, forse, con troppo ritardo.
Fin dal primo giorno in cui è stato nominato Presidente, infatti, l’ex professore di strada si è visto fortemente ostacolato dalla destra, la quale ha mantenuto la maggioranza in Parlamento e gli ha impedito di portare avanti il suo programma politico.
Il socialista Castillo era entrato in carica il 28 luglio 2021, molte settimane dopo che si erano tenute le elezioni. I ritardi erano stati causati dal lungo processo di riconteggio dei voti, a seguito delle accuse di broglio lanciate dall’avversaria di destra, Keiko Fujimori.
E le stesse accuse di false elezioni e corruzione nei confronti di Castillo non si sono mai interrotte da allora.
Inoltre, il Presidente in carica si è visto sin da subito contestato dai suoi stessi sostenitori. Dubbie le scelte di alcune nomine, soprattutto fra i suoi consiglieri più ristretti.
Errori di scelta che lo hanno portato a isolarsi dalla stessa compagine socialista. Oltre che dal popolo, dal quale proviene e che lo aveva fortemente voluto alla guida del Paese.
Fino a giungere all’accusa di grave incapacità morale a governare che pendeva sulla sua testa prima della sua deposizione. Il Congresso avrebbe, infatti, dovuto discutere dell’eventuale impeachment di Castillo proprio nella giornata del 7 dicembre, in una sessione straordinaria.
Accuse di corruzione che erano state smentite dal Presidente e che non avevano trovato conferma con prove concrete. Il Congresso non era neppure sicuro di raggiungere gli 87 voti necessari per decretare la deposizione del Presidente, prima della sua dichiarazione scellerata.
6 presidenti sostituiti in 5 anni: il triste record raggiunto dal Perù
Con la destituzione di Castillo, il Perù ha raggiunto il triste record di 6 presidenti cacciati prima del termine del loro mandato nell’arco di 5 anni.
Si deve tornare indietro al 1985 per trovare l’ultimo Presidente peruviano ad aver regolarmente concluso il suo mandato, Fernando Belaunde Terry.
Da li in poi si ha un susseguirsi di personaggi che entrano in scena con grande acclamazione e grandi speranze, per poi essere presto macchiati dall’onta della corruzione e costretti a lasciare il palcoscenico tra i fischi.
Da Alan Garcia, in carica dal 1985 al 1990, riapparso nel 2006 e morto suicida nel 2019 mentre la polizia tentava di artestarlo. Ad Alberto Fujimori, padre di Keiko, avversaria di Castillo, alle elezioni 2021, il quale ha connotato gli anni 90 del Perù, instaurando un’autocrazia corrotta e incurante dei diritti umani.
Fuggito in Giappone,è poi stato arrestato in Cile ed estradato in Perù, dove ha scontato in parte 5 condanne per corruzione.
Quindi, con gli anni 2000, inizia il grande scandalo delle tangenti alla Odebrecht, colosso brasiliano del settore delle costruzioni.
Un polverone che investe diversi presidenti, da Toledo a Humala, Kuczynski.
E, come se non bastasse, alla corruzione si aggiunge nel 2019 lo scandalo legato ai vacini Covid elargiti illegalmente a vip e politici.
Sotto accusa due degli ultimi tre capi di Stato, Vizcarra nel 2019, e Sagasti tra 2020 e 2021. Nel mezzo, la breve comparsa di Merino, accusato per la violenza con la quale la polizia avrebbe respinto le manifestazioni del popolo durante il suo Governo.
Un incubo senza fine quello della ingovernabilità del Perù. Un tunnel del quale pare non vedersi ancora la fine.
Il dopo Castillo
l parlamento ha chiamato quale successore ad interim di Castillo la sua vice, Dina Boluarte.
Nominata lo stesso 7 dicembre, la nuova capa di Stato è la prima donna a rivestire questa carica nel Paese.
Ma l’evento storico non è stato di certo accolto con favore dalla popolazione.
La tensione è rimasta alle stelle, malgrado la richiesta della neoPresidente di agire come un “popolo unito” e la richiesta a tutte le forze politiche di collaborare per il bene del Paese.
Le associazioni sindacali rurali e le organizzazioni di rappresentanza dei popoli indigeni hanno proclamato lo sciopero a tempo indeterminato, mentre la gente inferocita ha bloccato strade e aeroporti con barricate improvvisate.
Numerosi gli assalti agli uffici di polizia, alle banche e agli uffici giudiziari.
Nella città di Apurimac alcuni lavoratori hanno minacciato di marciare sulle miniere della zona per bloccarle.
Intanto, sono salite a 18 le vittime confermate, e il Governo ha deciso di estendere la situazione di emergenza a tutto lo Stato e di prolungarla dal 14 dicembre per ulteriori 30 giorni.
La richiesta è quella di liberare Pedro Castillo e insediarlo nuovamente al suo posto alla guida del Paese. La vice Boluarte non viene riconosciuta dal popolo e dalle organizzazioni socialiste.
La stessa si era d’altronde, allontanata dalle politiche di Castillo e a gennaio era stata espulsa dal partito dell’ex Presidente, Perù Libre, dopo aver ammesso di non aver mai condiviso l’ideologia socialista.
A nulla è valso il suo appello alla calma e la sua promessa di indire elezioni anticipate nel 2024 (l’attuale Governo doveva rimanete in carica fino al 2026).
Vani anche gli appelli dello stesso Castillo, che dal carcere ha invitato il popolo a mantenere la fiducia e la speranza e l’esercito a deporre le armi.
Il futuro del Paese e lo spettro della guerra civile
E così, mentre gli occhi di tutto il mondo sono puntati sui mondiali di calcio qatarioti, in questa terra del Sud America si è sull’orlo di una guerra civile.
La sofferenza della popolazione, che da anni non ha un Governo capace di riformare il Paese, si è incancrenita. La massa si è incendiata e ora domare le fiamme non sarà facile.
Troppo spesso ci si dimentica delle criticità che avvincono gli altri Stati. Fino a che queste non diventano una piaga incurabile.
Anche i Paesi più vicini e maggiormente interessati dal destino del Perù, primi fra tutti Argentina e Brasile, non hanno ancora fatto mosse concrete.
La speranza e l’appello non può che essere rivolto alla popolazione stessa, che si riconosca unita e che, in tale unione, pensi prima di tutto al bene del proprio territorio.