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Peter Strickland in Flux Gourmet esplora un mondo dove il cibo non è solo una questione di gusto, ma un mezzo di espressione artistica. Attraverso lo sguardo di un reporter afflitto da flatulenza, Il film racconta di un collettivo di ristoratori-sonici immersi in una residenza musico-culinaria. Il regista britannico rielabora la sua ossessione per il rapporto tra corpo e suono in un’opera a metà tra il serio e il faceto, dove le vivande sono la materia prima di spettacoli acusticamente deliranti, viscerali e provocatori. Il risultato è uno spettacolo in bilico tra harsh-noise, food-porn e body-art.

Consumare è consumarsi

Elle, leader del gruppo, contratta in spasmi epilettici cosparge le proprie carni di marmellata o cioccolata, mentre i suoi collaboratori distorcono, mixano e propagano suoni di cibarie cotte e spadellate sugli impianti audio. La confettura ha il colore del sangue, mentre la mousse al cacao sembra materia fecale: il cibo, organicizzato, è la sua seconda pelle. Questo involucro ad alta digeribilità denuncia il Mangiabile come l’emblema di un consumismo che nel quotidiano finisce per rendere schiavi.

Non è un caso che gli artisti prima di esibirsi meditino simulando di fare la spesa in un immaginario centro commerciale. Il cibo, prodotto in serie, acquistabile all’interno di questo algido non-luogo è ciò che per primo ha il potere di omologare la costituzione dell’essere umano. Un po’ come il vestito maledetto al centro del precedente film di Strickland, In Fabric (2018), che pur essendo una taglia trentotto vestiva perfettamente ogni tipo di persona. In questo modo gli spettacoli del collettivo s’infondono di un valore rituale e bonificatore, di liberazione dai meccanismi opprimenti che governano la società di massa. I synthesizers d’atmosfera, nel loro amalgama di sonorità elettroniche agevolano l’attività di spurgo facendo vibrare il sangue in una catartica ed estatica aferesi. Così i Sonic-caterers gridano al pubblico coi loro rumori stridenti il bisogno di un rinnovamento interno, di una nuova dieta.

Strickland e i Corpi Alimentari

Già in Berberian Sound Studio (2012) il foley-editor protagonista usava la sensazione di fragilità organica, suscitata dai rumori di una verza pestata o di un’anguria spolpata, per sonorizzare violente scene di omicidio. Così Strickland, attraverso le tecniche di registrazione e riproduzione del suono, mostrava il processo con cui il cinema restituisce ai corpi volume e consistenza. Qui, in Flux Gourmet, il corpo è sottoposto ad un’operazione di completa ricostituzione. C’è un qualcosa di assurdamente sacrale e purificatore nell’atto performativo dei Sonic-caterers, nella loro utopica volontà di voler abbattere la barriera tra il commestibile e l’udibile.

Queste tematiche sono perfettamente incarnate da Stones, il narratore afflitto da flatulenza. I suoi disturbi di stomaco sono causati da celiachia e il personaggio si vedrà costretto a cambiare drasticamente la sua alimentazione, mondandosi di tutto ciò che è impossibilitato a digerire. Dapprima osservatore attento e distaccato, col compito di documentare ciò che avviene in residenza, si auto-emargina per gli imbarazzi causati dal suo problema. Per finire a esporsi platealmente in cronenberghiane gastroscopie e colonscopie pubbliche, che soppianteranno le esibizioni di Elle. Qualcosa di privato viene sacrificato per amore dell’arte, consentendo all’uomo di diventare parte di un progetto, forse (?), più grande. All’orizzonte si stagliano nuove frontiere digestive e possibilità divorative.

I protagonisti del film di Peter Strickland