Dopo aver scollinato Ferragosto, torna l’appuntamento con #animazione115 giunto all’ottava tappa.
Dopo l’ultimo guizzo di Walter Elias Disney entriamo negli anni 70 dell’animazione italiana con: Pulcinella diretto da Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati.
Cicchetto di trama
Una placida sera stellata Pulcinella sta bighellonando per strada quando, per un bisogno impellente, si mette a urinare sotto una statua equestre e viene inseguito dai carabinieri. Tornato a casa non ha requie nemmeno lì perché la moglie lo subissa di improperi. La maschera decide quindi di fuggire un’altra volta e si rifugia sul tetto di casa, si addormenta e comincia a sognare; per vedere cosa sogna il nostro protagonista non vi resta che guardare il corto
Un focus su Pulcinella
Il cortometraggio regala dieci minuti di frivolezze grazie al semplice caos scaturito da una singola azione di Pulcinella. A tenere alto il ritmo ci pensano Rossini e il duo Gianini, Luzzati che spingono sempre sull’acceleratore e tirano sapientemente il freno al momento del sogno della maschera.
Il tipico stile dei due animatori incanta ancora a distanza di cinquant’anni per tratto, ritmo delle animazioni e scelta dei colori. La regia di Gianni e Luzzati è semplice ma diretta e ben ricalca la favolosa, comica storia che si dipana davanti ai nostri occhi.
La regia ha incantato anche la giuria dei Nastri d’Argento del 197N: i due vinsero il premio alla miglior regia per un cortometraggio. Pulcinella ebbe un certo riconoscimento oltre oceano: nel 1974 era tra i candidati al miglior cortometraggio animato nella 46a edizione della cerimonia degli Oscar.
L’animazione italiana negli anni ’70 oltre: Pulcinella
Dopo esserci addentrati brevemente in Pulcinella, è il momento dello: “Spiegone”. Cosa offriva l’animazione agli italiani durante gli anni 70′? A voi cinque personalità davvero degne di nota
Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati. I papà di Pulcinella
Visto che il focus del nostro articolo è un loro lavoro, da loro dobbiamo partire. Emanuele Luzzati () e Giulio Gianini erano due personalità piuttosto eclettiche. Il primo era un artista poliedrico che ha spaziato in ambienti artistici vari: costumista teatrale, illustratore e autore di libri per ragazzi fino a essere riconosciuto anche come apprezzato ceramista. Gianini era un uomo con le idee piuttosto chiare e in un periodo storico in cui tutto, a livello cinematografico, era prodotto in bianco e nero, utilizzava il colore ed è questo che ha particolarmente unito i due.
Dopo i primi dieci anni di sodalizio in cui esplorano con un pregevole uso del colore e della musica l’opera rossiniana, negli anni ’70 i due continuano a realizzare film in cui la musica è la base su cui costruire la loro storia come si può ben capire guardando Pulcinella – la cui colonna sonora altro non è che Il turco in Italia di Rossini- dove l’unica possibilità dell’uomo comune/Pulcinella per sfuggire a una realtà opprimente e rifugiarsi in un sogno, nella fantasia.
La summa di questa loro continua ricerca fra animazione, musica e teatro è: Il flauto magico del 1978; il Singspiel di Mozart viene riproposto in una riduzione come se il pubblico stesse vedendo rappresentata l’opera in un teatro. Dovendo seguire abbastanza pedissequamente l’originale, il cartone animato perde un po’ di quella freschezza delle altre opere; restando comunque indubbiamente la vetta del sentire artistico del duo.
Bruno Bozzetto
Con una carriera già avviata e fresco di un grande successo come West & Soda del 1965. Tra la parodia dei grandi film western e la freschezza di una commedia, West & Soda è il terzo lungometraggio italiano della nostra storia dopo: I fratelli Dinamite e La rosa di Bagdad usciti ben sedici anni prima
Bruno Bozzetto si conferma uno dei nostri più importanti animatori e artisti, anche durante gli anni 70. Bozzetto realizza cartoons di un certo valore: I sottaceti del 1971 è una serie di corti che raccontano di argomenti più disparati fra i quali: La fame, L’elettricità e La guerra.
Il 1973 è l’anno di Opera che, con la collaborazione di Guido Manuli, racconta allegramente un po’ della grande opera lirica.
Il 1976 è l’anno di uno dei suoi più grandi successi, dove tutto l’arte del milanese e il suo amore per l’animazione e lo spettacolo possono esplodere con allegria, ma non troppo: Allegro non troppo in cui, a differenza di Fantasia di casa Disney, la musica non si vede grazie alle animazioni ma è sfarzoso accompagnamento alle varie storie raccontate. Un altro film di questi anni ’70 italiani che andrebbe visto almeno una volta nella vita.
In questo decennio Il Signor Rossi (uno dei suoi personaggi più famosi, nato nel 1960), oltre agli ultimi tre cortometraggi – l’ultimo: Il signor Rossi a Venezia nel 1974 – debutta nel lungometraggio con: Il signor Rossi cerca la felicità del 1976.
Guido Manuli
Attivo fin dalla seconda metà degli anni ’60 con Bruno Bozzetto, Guido Manuli continua a collaborare con il collega lungo tutti gli anni ’70. Manuli è (co)sceneggiatore in alcune opere dell’animatore meneghino: Allegro non troppo, Il Signor Rossi cerca la felicità, I sogni del Signor Rossi, Le vacanze del Signor Rossi.
Con la collaborazione di Bozzetto non possiamo non citare, in conclusione, il simpatico: Striptease del 1977 in cui una spogliarellista ripresa dal vero intrattiene un pubblico interamente animato e il risultato è piuttosto esilarante.
Dopo il sodalizio con Bozzetto, Manuli si dedicò a una illustre attività in proprio. Gli anni 70 sono quelli di: Fantabiblical (la Bibbia in chiave Sci-Fi) del 1977, Count-Down e S.O.S del 1979. L’animazione di Manuli è iperbolica e con un grande interesse apparente per la tematica erotica che, in realtà. è pretesto per analizzare con sferzante concretezza il vivere quotidiano nei suoi numerosi chiaroscuri.
Osvaldo Cavandoli
Con Osvaldo Cavandoli siamo di fronte a un altro mastodonte dell’animazione. L’artista milanese di adozione, aveva cominciato l’attività come animatore nel già citato I fratelli Dinamite per poi gettarsi a capofitto nell’animazione pubblicitaria con predilezione per l’animazione di pupazzi. È però il superamento dei cinquant’anni d’età che porta Cavandoli a farsi conoscere ai più.
Il grande pubblico, infatti, cominciò a conoscere veramente il suo nome nel 1972 grazie a La Linea. In dei brevissimi sketch, un uomo prende forma da una linea. Il personaggio vive la sua vita camminando su di essa: è una vita ricca di spunti comici e imprevisti. Alla mano dell’artista sempre invocato dal nostro protagonista il compito di salvare il salvabile.
La Linea è stato il lavoro di Cavandoli che più gli diede fortuna e a cui più si dedicò con numerosi corti e albi a fumetti.
La forza della sua animazione faceva eco a uno degli assunti di casa Disney: l’animazione si basa sul lavoro dell’attore: gli animatori Disney spesso partivano da una performance attoriale su cui basare fattezze e movimenti di alcuni personaggi.
Chiacchiere da bar
Gli anni 70 in Italia sono stati anni duri, difficili. Se certo cinema ‘dal vero’ dava voce alla complessità del tempo, l’animazione si prese la briga di dare al pubblico anche un po’ di evasione, di leggerezza durante i difficili: “Anni di piombo”.
#animazione115 torna a settembre con una vera pietra miliare del cinema d’animazione. Sicuramente conosciuta ai più ma è sempre bene rimarcarne l’importanza.