Sono simboliche le parole pronunciate dal Presidente Mattarella relativamente alla decisione di tentare la strada del governo tecnico per uscire dall’impasse delle istituzioni parlamentari.
Un punto di non ritorno segnato dalla rottura di Renzi, in una situazione nella quale si è passati dalla ricerca di costruttori alla scoperta di sempre più demolitori. Tutti contro tutti, divisi solo sui soldi e sulle poltrone. E a far saltare il banco, guarda caso, alla fine sono stati dei semplici nomi (e, per Diana, del calibro di Boschi e Bonafede).

Da qui l’idea di smobilitare forse il personaggio più emblematico, di maggior successo e dalla maggiore caratura internazionale tra i nostri concittadini, l’ex direttore della Bce Mario Draghi. Un segnale importante, forse per evidenziare anche come in Parlamento ci si sia forse montati troppo la testa, e al di fuori delle mura del palazzo ci siano italiani di consolidato valore maggiore.
In fondo, Conte cercava dei costruttori per gli italiani, mettendo le pezze ad una maggioranza bucherellata e dando vita ad un mercimonio e ad un voto di scambio che è stata la degna e ignobile fine di un indegno e indecoroso percorso politico.

Alla fine però di costruttore ne è arrivato soltanto uno, quello che però lo ha rispedito direttamente (e realisticamente senza possibilità di ritorno) alla cattedra universitaria che precedentemente occupava. Cattedra che, sia per lui sia per gli italiani, si spera possa scaldare per tutto il resto della sua vita (e, se non fosse chiedere troppo, magari con Di Maio, Renzi e Zingaretti come assistenti).

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