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A 65 anni dalla prima edizione del romanzo The Long Walk, il tema del rapporto fra uomo e natura trattato nelle sue pagine appare ancora attuale e affascinante

L’uomo, in quanto essere vivente, necessita di un ambiente che lo ospiti, uno spazio all’interno del quale agire. Senza questo ambiente l’esistenza stessa dell’uomo verrebbe meno. L’ambiente è costituito, da una parte, da un insieme di costruzioni artificiali erette dall’uomo stesso, e, dall’altra, soprattutto da un insieme di elementi naturali in perfetto equilibrio fra di loro, la cui esistenza e il cui funzionamento sono indipendenti dall’essere umano e da esso sono pienamente autonomi.

Il rapporto fra l’essere umano e la natura, spesso poco considerato dalla maggior parte delle persone perchè ormai assimilato quale dato di fatto, è, in realtà, una caratteristica fondamentale del genere umano e una tematica che, nello scorrere delle epoche, ha sempre affascinato molto intellettuali, la cui sete di conoscenza è stata stuzzicata fortemente dal profondo mistero che l’ambiente naturale custodisce. Dello stesso rapporto tra l’uomo e la natura, studiosi e artisti di svariate materie e generi hanno dato visioni molto diverse, anche completamente contrapposte, a seconda della filosofia che guidava il loro pensiero e del tempo nel quale sono vissuti e che ne ha influenzato la visione delle cose.

E il tema del rapporto fra l’uomo e la natura e le conseguenze che il contatto diretto con un ambiente ancora ancestrale e selvaggio, non piegato dall’essere umano e ancora incontaminato, ha sulle persone che sono costrette a rapportarsi con esso, non poteva mancare in un’opera che descrive le vicende di un gruppo di prigionieri fuggiaschi, i quali compiono un estenuante cammino che li conduce dalle foreste siberiane sino in India. Anzi, trattando di una tale impresa e analizzando nel dettaglio questo viaggio, con tutte le annesse vicissitudini che, come si può immaginare, gli evasi hanno dovuto affrontare per raggiungere la tanto agognata salvezza e la assai desiderata libertà, la natura, con tutte le svariate forme assunte a seconda dei diversi ambienti attraversati dai prigionieri, non poteva che essere la protagonista dell’opera. Stiamo parlando di The Long Walk, romanzo biografico che si prefigge il compito di portare la testimonianza della straordinaria impresa di un gruppo di sette uomini, riusciti ad evadere da un campo di concentramento russo situato nel cuore della Siberia, e capaci, con la forza della disperazione oltre che con una grande determinazione, di oltrepassare il lago Bajcal, attraversare la Mongolia passando per l’arido deserto del Gobi e scalare le vette Himalayane per approdare, infine, in India.

Il rapporto fra uomo e natura nella letteratura

Prima di addentrarci nella vera e propria analisi del romanzo occorre fare una breve introduzione sul quale è stato nella storia della letteratura il percorso che ha portato allo sviluppo del tema del rapporto fra l’uomo e la natura.

Svariate, come detto, sono le sfaccettature nel descrivere la natura da parte degli intellettuali e cercare di sintetizzarle provocherebbe un’eccessiva banalizzazione della tematica. Tuttavia si possono individuare due filoni nettamente distinti, dai quali si ramificano le differenti teorie.

La natura è, infatti, sostanzialmente vista attraverso due diverse chiavi di lettura: o come ente benigno, positivo per l’uomo, dalla quale non è contrastato ma anzi attraverso la quale può migliorare il suo modo stesso di vivere in società; oppure come entità maligna, ostile all’uomo e alla sua organizzazione sociale e capace di trascinare l’umanità nella corruzione e in una sorta di ritorno allo stato selvaggio e animalesco, cancellando ogni progresso ottenuto con la creazione di una società civilizzata.

Da queste due visioni opposte della natura nascono, a loro volta, due contrastanti teorie sul rapporto che le persone possono instaurare con essa. Coloro che hanno un’idea positiva di natura tendono anche a vedere in modo costruttivo e vantaggioso il legame fra l’essere umano e l’ambiente naturale che lo circonda. È questa, ad esempio, la visione degli artisti che seguono la teoria del “pittoresco”, come Constable, o dei romantici come Corot, mentre in campo letterario si possono citare Plinio il Vecchio e D’Annunzio.

Visione opposta del rapporto fra uomo e natura è, invece, quella proposta da color che percepiscono la natura come un entità negativa, che agisce contro l’uomo stesso e la sua presenza all’interno dell’ambiente.

Si ha un esempio di questa rappresentazione di una natura ostile in Leopardi, più precisamente nel suo “Dialogo della natura e di un islandese”.

Possiamo ritrovare una concezione di natura ostile anche nei teorici del sublime, fra i quali spiccano Turner e Friedrich, i quali mostrano nei loro dipinti la forza distruttiva della natura e la piccolezza dell’uomo di fronte ad essa, il quale non può far altro che ammirarla e rispettarla. Emblematiche, in questo senso, sono le tele della “Tempesta di neve” di Turner e del “Viandante sul mare di nebbia” di Friedrich.

Infine Golding, uno degli autori che maggiormente affronta nella sua opera più famosa, The Lord of Flies, il tema dell’uomo all’interno della società civile ed organizzata e, all’opposto, l’uomo a contatto diretto con la natura selvaggia, contrapponendone le diverse influenze che i due ambienti esercitano sugli esseri umani, mostra come la società sia fondamentale per l’uomo. Al di fuori di essa, infatti, l’essere umano non riesce a controllare i suoi istinti animali e il male, presenza costante, secondo l’autore, all’interno del suo cuore.

La visione della natura di Golding è, tuttavia, contraddittoria, poiché in alcuni passi del romanzo si evince che l’autore considera la natura come un ente benigno che dona all’uomo ciò di cui egli necessita, mentre è l’uomo a essere la causa dei suoi mali e dei mali del mondo.

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