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Vacanze finite e bel tempo agli sgoccioli: prima o dopo, tutti rientrano alla propria routine.

Così, ho pensato di smuovere un po’ le acque delle mie periodiche pubblicazioni dopo la pausa estiva: benvenute e benvenuti al primo episodio della Commodorospettiva! Una rubrica che analizza il mondo dei videogiochi, da un punto di vista differente, attraverso dialoghi, interviste o semplici svarioni in solitaria.

Per partire con il botto, ho deciso di trattare uno dei generi più amati degli ultimi 10 anni: i soulslike. Sebbene la letteratura ufficiale lo identifichi più come un sottogenere che un genere vero e proprio, i soulslike hanno saputo ritagliarsi uno spazio preciso e ormai solidissimo all’interno del mercato, influenzandolo fortemente dalla sua prima comparsa.

Volendo fare le cose a regola d’arte, oggi ho chiesto una mano a un esperto conoscitore della materia: Gerardo Gerry Imparato, che su Twitch è conosciuto come Vanyhal, ha un background da studente di scienze della comunicazione e si diverte esplorando il mondo videoludico cercandone i messaggi nascosti.

L’attesissimo remake di Demon’s Souls, prodotto da Bluepoint Games, ha riportato su schermo il capostipite del genere sviluppato da From Software nel 2009.

Demoni e anime oscure come rimedi contro la noia

Ciao Gerry apriamo subito le danze: non risulta un po’ strano, che sia stata una software house (From Software) a definire un genere? Sicuramente è un comportamento atipico per il mercato dei videogiochi: che ne pensi?

Si tratta di un genere nato durante l’adolescenza del medium. Quello fu un evento non banale che post anno 2000 nessuno si sarebbe aspettato. Non parliamo di una declinazione di gioco o di un sottogenere puro e semplice, ma di un intero filone ludo-narrativo con caratteristiche completamente aliene agli altri generi. Tutti rimanemmo sbalorditi alla vista di Demon’s Souls.

Basti pensare il periodo in cui uscì: la settima generazione di console ha portato con sé tutta una serie di difetti congeniti legati all’espansione del videogioco alle masse. Era davvero un periodo stantio, dove si erano persi i concetti chiave di esplorazione, di sfida. Si era costantemente accompagnati.

Era un periodo strano in cui i giochi sembrava volessero imbonirti con una quantità immensa di feature e riempitivi: mettici la mappa gigante (ma vuota) oppure una serie di overlay e sovrastrutture che non facevano altro che allungare il brodo. La formula vincente di From Software fu quella di tornare all’essenziale. La grossa frattura tra i soulslike e il resto del mondo fu proprio nella diversa presentazione dell’offerta: se gli altri giochi pare quasi fossero una vetrina piena di neon e colori, i prodotti della From sembrano più delle piccole porticine, ruvide, poco accessibili. Credo sia stato anche questo fattore che a far spopolare il genere.

Alcuni simboli indicanti i parametri del proprio personaggio tratti da Dark Souls, Bloodborne e Demon’s Souls: i titoli From puntano anche su una difficoltà segnico-nozionistica.

Un linguaggio criptico

Una delle feature più distintive dei soulslike è sicuramente la difficoltà. Non sono titoli che puoi giocare spaparanzato sul divano: richiedono tempo e impegno. Ma è una difficoltà intrinseca su più livelli, di cui ha parlato ampiamente Francesco Toniolo in molti suoi scritti. Pensiamo anche solo al simbolismo usato per definire i parametri del giocatore: nulla è pensato come immediato. Devi provare e riprovare con Trial and error, dico bene?

Stamina, peso, forza, ogni attributo aveva una difficoltà intrinseca nell’essere letto: capire cosa fosse X e cosa facesse X era ed è difficile per il giocatore. Oltre a questo fattore, basti pensare alla semiotica negativa dei soulslike: probabilmente è proprio la sua narrativa silenziosa a rappresentare la novità. Certo anche in passato titoli come Ghosts ‘n Goblins erano silenziosi, ma non esisteva il concetto di lore. From Software ha capito che il videogioco è un mondo e quindi io posso calarti nei panni di un esploratore, un archeologo alla ricerca della verità celata dagli sviluppatori: non tutto deve essere portato in primo piano, è il giocatore che sceglie se indagare o meno. Questa cosa non è possibile nel cinema per esempio. Questa è la cosa più peculiare di questo genere, senza dubbio.

Probabilmente un narratore come Kojima la pensa diversamente…

Senz’altro! Parliamo di opere fantastiche, ma Kojima porta il linguaggio cinematografico nel videogioco, mentre From Software ha creato a mio avviso la vera e propria narrazione videoludica.

Essenzialità e indipendenza

Non l’avevo mai vista sotto quest’aspetto: effettivamente la vera “call to playdei soulslike è su più layer, e quello narrativo è forse quello più peculiare. Alla fine, minimizzando, parliamo di un action RPG.

Beh si pensi anche alla mancanza del salto o di un platforming davvero a tipico. Non parliamo di una capacità di salto alla Ratchet & Clank per capirci, ma a un sistema di movimento che ti spinge a pensare fuori dagli schemi. Il minimo roll o l’abbozzo di salto permesso ti chiedono di analizzare l’ambiente in termini di geodata: percorro un cornicione apparentemente inutile, trovo un passaggio grazie a un salto verso il basso ben calibrato e così via. Tutto ruota attorno all’essenzialità che lascia spazio al giocatore. Il concetto di critical path viene totalmente sovvertito: esiste un solo percorso, quello che scegli.

Forse in titoli come Uncharted 4 – A Thief’s End, nonostante sia uno splendido block buster, sembra tutto scriptato: pare quasi di non giocare. E non parlo solo di gameplay, ma anche di uno script a livello mentale. Tutto è fatto per essere usato in un unico e determinato modo, con pochissime varianti.

Il prodotto Noughty Dog è una gioia per gli occhi, ma il suo gameplay non è esattamente stimolante

Videogiochi come Dark Souls hanno ridato vita e speranza a moltissimi giocatori disillusi della settima generazione. In quel periodo ricordo anche i giochi della Quantic Dream che volevano rendere il videogioco simile a qualcos’altro. Molti si stavano disaffezionando al medium proprio in quel momento di noia e piattume generale: alcuni erano esperimenti interessanti, altri veri e propri fallimenti in termini di gioco.

Anima e community

I soulslike hanno richiamato i giocatori a giocare, a sperimentare. Ricordo che molti amici in quel periodo mi dicevano «guarda che la situazione non è così brutta, ci sono ancora videogiochi veri in giro».

Per citare Sabaku No Maiku, i soulslike hanno ritrovato l’anima del videogioco. Sono prodotti che lasciano al giocatore la possibilità di scegliere e di essere creativo. Anche sfidandolo non senza una certa cattiveria.

Tornando all’epoca dell’essenziale, il videogioco arcade cos’era? Pura e semplice sfida. La sua lore? La classifica giocatore al termine della partita.

Era una meta-lore se vogliamo definirla correttamente. A parere mio il primo vero soulslike è proprio Dark Souls. Demon’s Souls aveva ancora troppi elementi arcade, se mi lasci passare il termine.

Sabaku No Maiku, conosciuto anche come Mike of the Desert sul web, ha contribuito tantissimo alla diffusione ai prodotti From Software creando una vera e propria community attorno a contenuti narrativo-enciclopedici.

Qual è stata la tua prima esperienza con i soulslike?

Conobbi i soulslike con Demon’s Souls che regalammo a un nostro amico, il dottor Gianmarco Capasso. Ma il mio primo approccio pad alla mano fu con Bloodborne. L’atmosfera vittoriana e quel quid steampunk mi catturarono immediatamente.

Bloodborne è stato veramente qualcosa di clamoroso, secondo me capolavoro indiscusso della software house. Tra l’altro si trattava di un esperimento dopo la non troppo felice epopea di Dark Souls II.

Con il completamento del DLC The Old Hunters, rimane una perla unica nel suo genere. Ancora oggi è un gioco attualissimo. Va beh lasciamo stare i 30 fps…

From non è mai stata pulita a livello di realizzazione tecnica. Tanto che ne hanno fatto una peculiarità delle loro produzioni.

“We are born of the blood, made men by the blood, undone by the blood; Fear the old blood.”
(Bloodborne, From Software, 2015)

Te la riesci a immaginare con la telecamera che funziona in maniera impeccabile? Questa roba qui, per assurdo, ha dato spessore alla community che l’ha vista come una flavour feature.

Ancora oggi la community è ancora attivissima sia sugli ultimi prodotti usciti sia su quelli più vecchi come Dark Souls o Bloodborne. In tantissimi stanno ancora inseguendo l’anima oscura. Persino c’è chi gioca a Dark Souls II…

Occhio che qui rischiamo il linciaggio. Ecco Dark Souls II rappresenta un ottimo videogioco, ma un pessimo Dark Souls. La community attorno a esso è però ancora viva.

Beh un po’ come The Phantom Pain: un videogioco splendido, ma un pessimo Metal Gear. Ok stiamo divagando, questa la teniamo per un’altra chiacchierata.

Miyazaki e la narrazione sottrattiva

Così a brucia pelo: la Dark Souls Saga può dirsi l’apoteosi della narrativa?

Ni. Non possiamo dire totalmente di sì, perché effettivamente la storia non ti racconta nulla. Il gioco demanda a te di scoprire la storia, ma se uno non ha la sensibilità per farlo o fa solo dungeon crawling, finisce il gioco senza aver capito nulla di ciò che gli sta attorno. L’esempio lampante è Elden Ring.

Cosa intendi?

Elden Ring è un soulslike per le masse e giustamente tante persone si sono trovate spiazzate davanti a un nuovo linguaggio. Se non hai scavato nella narrativa, arrivi alla fine che non hai nulla in mano. E il world building ti assicuro che è incredibile e più vasto di Dark Souls. Più nomi, più luoghi, più fazioni. La mano di George R. R. Martin, che accompagna Hidetaka Miyazaki, si vede tutta. In molti si perdono tutto questo. Sui social confrontandomi con altri, ho notato come io raccontassi cose che alcune persone non avevano assolutamente notato: per me in un punto c’è un particolare importantissimo, per altri solo un altro mob da sconfiggere.

Ma se un autore non riesce a comunicare la propria storia ha fallito?

Bella domanda. In linea di massima dico no, perché non parliamo di libri o di film, ma di un autore videoludico. Proprio come il gameplay può essere vissuto in modo differente, così anche la storia può esserlo. A differenza di libri e film, non hai passaggi obbligati. Non ti accompagna. Quindi chi ha ragione? Io che mi fermo ad annotare tutto o ad analizzare monumenti e statue nella mappa? O chi gioca solo per il gameplay duro e puro, lasciandosi la storia alle spalle? Non so sinceramente risolvere questo dilemma.

Paradossalmente questa non obbligatorietà del racconto segue più i fondamenti del game design che della narrativa.

Proprio per questo sostengo sia la vera rivoluzione e core dell’esperienza videoludica in toto. La possibilità di scrivere tanto e creare mondi autoriali che rimangano nel tempo. Sta poi al giocatore esplorarli.

Credo che sia questo fattore a differenziare un videogioco normale da uno che va al di là del semplice gameplay.

La vastità del mondo di Elden Ring lascia a bocca aperta: e voi l’avete già esplorato?

La narrativa soulslike oltre i soulslike

Ora se posso vorrei farti io una domanda: ritieni possibile che la narrativa tipica dei soulslike possa essere esportata al di là di questo genere di giochi? Possibile ricreare determinate atmosfere e sensazioni in un titolo completamente diverso come…The Last of Us per esempio?

Difficile a dirsi. I punti cardine della narrativa di ogni souls sono fondamentalmente tre. Si parte sempre con un evento che sconvolge l’equilibrio delle cose, come la rottura dell’anello ancestrale su Elden Ring o l’avvento della Fiamma in Dark Souls. Successivamente ci sono entità cosmiche o divine che si oppongono all’ordine naturale delle cose, mantenendo il mondo in uno stato di sospensione stagnante. Il giocatore inizia la propria avventura proprio in questo punto, a conti già avvenuti, praticamente alla fine della storia.

The Last Of Us ha una narrazione esplcita e un gameplay da action-adventure: è possibile immaginare un titolo simile con le peculiarità narrative dei soulslike?

Esistono titoli di genere totalmente diverso che però ricercano quelle stesse atmosfere lì e lo schema narrativo poggia sempre su quei tre punti sopracitati. Guarda Hollow Knight che è un metroidvania.

Vero. Probabilmente per ricordare al giocatore che si trova davanti a un soulslike serve questa prospettiva narrativa. In qualsiasi racconto, noi spettatori, lettori o giocatori ci troviamo sempre su un punto della fabula: nei soulslike sei sempre alla fine e ti viene chiesto di esplorare quel mondo. Tutto è già accaduto, ma appare non chiaro agli occhi di chi gioca: è necessario collocarsi alla fine della storia per avere il dubbio e scatenare la curiosità. Se ti trovassi all’inizio della fabula, non saresti invogliato a scoprire nulla perché ancora non è accaduto niente su cui indagare. Persino dalle poche notizie uscite su Project Galileo di Jyamma Games pare che l’incipit verta sulla rottura di un cosiddetto Canovaccio. Immagino sia un concetto simile all’equilibrio del mondo.

Il mitico Hollow Knight del Team Cherry è uno di quei giochi per cui ti cancelleresti la memoria solo per rigiocarlo.

Esiste vita dopo From Software?

Tantissimi studi hanno provato a sviluppare titoli soulslike di livello: esiste qualcuno in grado di ereditare il “fardello” di From Software?

Davvero non saprei, ma esiste qualche gioco da mettere in evidenza. Salt & Sanctuary ci ha provato, ma trovo che il legame con la narrativa soulslike sia stato un limite: una software house deve capire cosa prendere e cosa no. Puoi mantenerne le meccaniche e non replicarne la narrazione. Se ti manca la mano autoriale è difficile provare a replicare quel tipo di atmosfera ed emozione nel giocatore. Già che mi impegno a scovare misteri su misteri, non voglio ritrovarmi dopo ore di gioco a dire: è tutto qui?

Di sicuro ogni veterano del genere si aspetta una lore molto intrigante e ben congeniata. Stesso discorso per il world building: non possono esserci cose a caso o ambienti poveri a livello comunicativo.

Blasphemous, nonostante sia molto lontano diverso dai titoli di Myazaki, con un simbolismo davvero interessante e un’atmosfera dark, ha fatto centro. Quello che cerco di dire è che la narrativa sottrattiva è un’arma a doppio taglio: non puoi creare cacce al tesoro che non hanno premi succulenti. Scrivere storie in questo modo e tentare la “via del soulslike” è una vera e propria scommessa: si fallisce facilmente, ma se si trova la via giusta vincono tutti, giocatori e sviluppatori.

Una delle cutscene di Blasphemous, sviluppato da The Game Kitchen e pubblicato da Team 17.

Stagnazione e rinnovo

A volte però non posso fare a meno di chiedermi: non è che il mercato sia ormai saturo di questi titoli? Mi sembra di vedere sempre le stesse soluzioni, sia a livello di gameplay, sia a livello narrativo.

La community ha registrato proprio questo problema con Elden Ring: l’autore però è quello e probabilmente gli piacciono quei temi specifici. Credo che le risposte possano arrivare da altre software house, da altri autori. Forse sarebbe bello avere soulslike con tematiche più umane e meno legate allo scontro tra entità cosmiche. Rimane una mia opinione, ovviamente.

Probabilmente è lo stesso problema che c’è con i fantasy con Tolkien: pare impossibile andare oltre a certi stilemi narrativi.

Potrei risponderti: squadra che vince non si cambia. Scherzi a parte, credo che ad un certo punto, per quanto appaia difficile, i temi tanto cari a Myazaki verranno superati in un modo o nell’altro. O tramite un cambio totale del setting narrativo o grazie ad una mutazione del ruolo del giocatore all’interno della storia. Come dicevo prima, magari non devi puntare a diventare una divinità, ma semplicemente a ricostruire una storia più umana.

Visto che ci siamo, facciamo i nerd: esiterà mai un Dark Souls 4? Su che basi potrebbe poggiare?

La storia della saga si è conclusa canonicamente con il giocatore che diventa il re dei vacui. Se il terzo capitolo conclude il ciclo dell’era del fuoco, il quarto potrebbe partire alla fine dell’era oscura che inizia a mutare per un determinato motivo non ben precisato. Ma proprio mentre te lo racconto mi pare difficile. Forse Bloodborne, che ha una struttura più verticale e meno ciclica, può avere più facilmente un sequel.

L’artista Thomas Chamberlain ha immaginato un setting totalmente diverso per un possibile sequel di Bloodborne.

Probabilmente la storia di Bloodborne non è stata stiracchiata quanto quella di Dark Souls. Magari raccontare storie più contenute è la formula più lungimirante. Dici che post Elden Ring vedremo altri lavori From Software sul genere soulslike?

Credo che abbia ancora tantissimo materiale per Elden Ring, ma se dovessi immaginare a un ulteriore gioco di Myazaki arriverei a pensare a un’ambientazione: mi piacerebbe vederlo cimentarsi con il pantheon azteco, dove ci sono tematiche differenti, ma che penso possa apprezzare. Sarei sicuramente molto curioso.

Una bella idea, in futuro di sicuro incuriosirebbe anche me. Ora, invece, quali sono i progetti da tenere d’occhio?

L’ho già citato precedentemente, ma sono veramente in hype per quanto riguarda Project Galileo (presentato al Tokyo Game Show con il nome Enotria: The Last Song). Non solo perché è fatto da un team italiano, ma perché l’hanno presentato come un summer soulslike. Mi aspetto un effetto tipo Midsommar, non so se mi spiego: portare temi dark in un’ambientazione luminosa e meravigliosa può essere una rottura del genere importante. Tutti hanno sempre una tematica gotica dominante. Tra l’altro è uno dei primi progetti supervisionati da uno streamer esperto nel genere e anche questa mossa può aprire le porte a un cambiamento nel settore a livello produttivo.

Uno dei concept pubblicati da Jyamma Games per Project Galileo: l’ambientazione ricreata è quella del risorgimento italiano.

La prima puntata della Commodorospettiva finisce qui e ringrazio Gerry per il tempo concessomi.

E voi cosa ne pensate del futuro dei soulslike? Ne vedremo delle belle o il genere ha dato tutto quello che poteva dare?

L’illustrazione di Andrea Ghiglia, in arte Boia Fauss, per il primo episodio della Commodorospettiva.
[Illustrazione e copertina di Andrea Ghiglia]