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Jim Morrison e la poesia del rock

Parigi, estate 1971. Sono passati mesi dall’ultimo concerto dei Doors, al Warehouse di New Orleans. Dopo quell’esibizione, che anche il tastierista Ray Manzarek reputerà disastrosa, la fine del gruppo sembra inevitabile. La band, che si era formata appena sei anni prima, decide di prendersi una pausa. Jim Morrison, frontman e simbolo della contro-cultura giovanile, si trasferisce a Parigi. Dice che della musica non ne vuole più sapere. Vuole tornare indietro, e dedicarsi alla sua passione primigenia, che ha sempre tenuto lontana dagli occhi del pubblico: la poesia.

Chi lo vede per le strade di Parigi, durante quell’ultima estate, non lo riconosce. Solo qualche fan americano sembra notarlo e lo segnala alla stampa. Gira irrequieto con il taccuino in mano, un poeta maledetto contemporaneo. In quei giorni scrive fittamente, tra un colpo di tosse e l’altro, le condizioni di salute sempre più compromesse. «La gioia di esibirmi è finita/ la gioia è il piacere di scrivere» dichiara nel lungo componimento “As I look back”, che come un album di fotografie rivive attraverso immagini fulminee ogni istante della sua carriera. Lo scrive poco prima dell’esilio parigino nella raccolta finale di pensieri sparsi, tratti dal suo ultimo taccuino. Quello che sta finendo sarà l’ultimo dei quasi 30 taccuini che sono stati riempiti nel corso della sua giovane esistenza. Se lo porta sempre dietro mentre passeggia per le vie del Quartiere latino, mentre si ferma a Café de Flore, mentre visita gli amici. Con lui c’è Pam, la compagna di una vita. Visita in quei giorni il cimitero del Père-Lachaise: non sa che tra quei nomi, il destino ha voluto che ci sarebbe stato anche il suo. Sarà infatti sepolto lì, tra Balzac, Edith Piaf, Modigliani, Chopain, Molière. Non sa nemmeno che orde di fan dopo la sua morte andranno a venerare la sua tomba come quella di un dio.

Di quegli ultimi giorni non gli restano che le parole, aveva sempre detto in fondo che «la poesia è la forma d’arte definitiva, perché è il linguaggio a configurarci come esseri umani». Le testimonianze di chi lo ha frequentato in quel periodo sono concordi: anche l’amico Alain Ronay vedendolo scendere lungo i binari della metropolitana stenta a riconoscerlo. Non sembra essere rimasto nulla del suo carisma, della sua personalità cangiante, del suo spirito da performer ribelle. Il suo aspetto è trasandato, la voce biascicata, le movenze incerte. Non è solamente a causa della dipendenza da sostanze stupefacenti e da alcool che lo accompagna, ormai, da tempo. Jim ha ventisette anni, ma sente che qualcosa è cambiato in modo definitivo, forse aleggia in lui un’inquieta consapevolezza: che quelli che sta vivendo siano i giorni prima della fine, quella fine tanto temuta quanto accettata, protagonista di uno dei pezzi più intensi di tutta la produzione diventato la canzone dal titolo «The end». È il 2 luglio quando manda un telegramma telefonico a New York all’editor di Simon&Schuster, che si stava occupando della ripubblicazione della sua precedente raccolta di poesie The Lords and The New Creatures. Rispetto all’edizione pubblicata anni prima Morrison fa una richiesta precisa: togliere dalla copertina l’iconico scatto in bianco e nero di Joel Brodsky con cui è stato presentato al grande pubblico, e sostituirlo con un’altra foto, più recente, realizzata da Edmund Teske, che lo ritrae con barba e capelli lunghi. Una richiesta insolita, come un implicito desiderio di cambiare l’iconografia della propria immagine pubblica, un tentativo di ristrutturazione identitaria. Sembra proprio che in quell’ultima estate Jim non abbia più dubbi. Vuole smetterla di essere riconosciuto come icona rock per ritornare ad essere solamente ciò che si è sempre sentito: un poeta. Il Re Lucertola, così come lui stesso si era definito in uno dei suoi componimenti, stava cambiando pelle, per mutare in qualcos’altro. Ma in che cosa? In uno degli ultimi appunti rimasti sul taccuino parigino prima della morte, avvenuta nella vasca da bagno dell’appartamento di Parigi che condivideva con Pam nella mattinata del 3 luglio, figura a grandi lettere una frase, sottolineata a penna: ‘plan for a book’, ‘piano per un libro’. L’ultimo Morrison sta tutto lì, in quella frase.

Seguono annotazioni veloci, indicazioni editoriali, una sorta di testamento poetico scritto con la sua calligrafia sinuosa ma disordinata, intenzionata a uscire fuori dalle righe, occupare gli spazi, essere invadente. È sempre stato questo, in fondo, il suo talento: vivere sopra le righe. È stata questa la sua filosofia di vita, la base della sua carriera musicale, e ancor prima letteraria.

Dio è morto

La sorella Anne lo descrive così: «Una volta disse a un gruppo di noi bambini che i pesci banana del famoso racconto di J. D. Salinger vivevano nel filtro della piscina di un vicino, poi ci portò lì per nutrirli con dei sassi». Sarà lei, insieme all’amico Frank Lisciandro, compagno di corso e amico conosciuto alla Scuola di Cinema dell’UCLA, a recuperare il materiale rimasto e a pubblicare l’opera omnia e postuma di Morrison. Il giovane Morrison, irrequieto e distaccato, è propenso all’attività letteraria fin dalla giovanissima età. Sono gli anni del liceo, infatti, quelli in cui si consolidano le letture che ne influenzeranno la produzione successiva. Morrison legge di tutto, ma soprattutto i poeti francesi Rimbaud, Baudelaire, Flaubert; i classici greci, tra cui le tragedie di Sofocle; i poeti contemporanei della nascente Beat Generation, primi fra tutti Ginsberg e Ferlinghetti. La grande produzione successiva sarà però influenzata prima di tutto dalla scoperta di Camus, Genet, e soprattutto Nietzsche. Nelle parole del filosofo tedesco, Morrison vede rispecchiarsi il senso del proprio tempo, che la formula nietzschiana «Dio è morto» riassume alla perfezione. Alla fine degli anni ’60 corrisponde, oltre che a un periodo di stravolgimenti socio- culturali, il primo momento di scontro tra due generazioni, quella dei padri e quella dei figli, sintomo ultimo di scissioni tra due mondi ormai completamente diversi, in un prima e un dopo necessari. La scissione tra le due generazioni è nel caso di Morrison espressa dalla canzone Theunknown soldier, inno antimilitarista scritto mentre il padre, ufficiale della marina, si trovava in Vietnam. Libertà, trasgressione, rottura definitiva col passato: sono queste le caratteristiche di quegli anni, in un imperversare di quello spirito dionisiaco fatto di passioni ed eccessi che trionferà su quello apollineo, razionale e controllato. L’ossessione con la morte che aleggia come un’ombra scura su ogni suo componimento è avvenuto durante un viaggio con la famiglia, mentre attraversavano il deserto tra Albuquerque e Santa Fe. La visione del sangue e di indiani a terra dai corpi esanimi lo colpisce profondamente: «Fu il mio primo impatto con la morte», disse in seguito e su questa esperienza scriverà alcuni versi nel brano Peace Frog («There’s blood in the streets, it’s up to my anckles»), ma anche in Riders on the storm nel verso che recita «Like a dog without a bone». Figlio della middleclass americana di cui rinnega la provenienza, Morrison dirà per molto tempo ai media che i suoi genitori sono morti, in una sorta di disperato tentativo di strapparsi alle proprie stesse origini: Morrison non sa ancora però che con la morte di vecchi miti, ne nascono sempre di nuovi. Ed è ciò che avviene nel celebre verso della canzone The end: «Father. Yes, son? I want to kill you». Riletto in chiave freudiana, questo verso riassume, con evidente rimando al complesso edipico, la lotta dell’ultima generazione contro quella passata, in uno scontro senza eguali mosso dalla necessità di far sentire la propria voce. Cosa che in quegli anni riesce a fare un genere musicale ben preciso: il rock.

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the doors Jim morrison“. Credits to Julio Zeppelin via Flickr

Il Re Lucertola

Dopo la nascita dei Doors tutto cambia. Risale ai primi anni di successo l’autopubblicazione della sua prima raccolta di poesie, di cui aveva fatto stampare appena un centinaio scarso di copie. Morrison diventa simbolo di sperimentalismo, poesia ed erotismo. Un esempio fra tutti di trasgressività è la celebre performance live del brano Light my fire all’Ed Sullivan show, in cui la produzione aveva chiesto a Morrison di censurare la parola «higher» sostituendola con «better» per evitare il riferimento all’uso di stupefacenti. Nell’esibizione però Morrison pronuncerà ugualmente la parola e sarà per questo rifiutato dal programma nelle esibizioni successive. Dietro alle sue performance live, sempre imprevedibili, si celano molto di più che semplici concerti, ma veri e propri momenti in cui mistico e profano si riuniscono, in cui le canzoni rock si alternano a momenti di raccoglimento spirituale con l’ambigua figura di Morrison che diventa uno sciamano collettivo pronto ad accogliere le preghiere dei suoi fan. Non è un caso che il nome stesso della band appena nata sia stato scelto da Morrison stesso e tratto dal libro di Huxley The doors of perception in cui è contenuta anche una frase del poeta inglese William Blake: «If doors of perception were cleansed, everything would appear to man as it is: infinite». Huxley stesso nella propria opera porta avanti l’idea che solo attraverso l’uso di determinate sostanze, come la mescalina, capaci di alterare la percezione, sia possibile raggiungere un grado di comprensione del mondo vera e profonda. L’intento di Morrison e della band è infatti spronare il pubblico ad andare oltre le apparenze, per

«break on through to the other side», come scrive nell’omonima canzone. Morrison si fa portavoce con la sua poetica di questo mito della verità, racchiudendolo nella figura della lucertola che ritorna nei componimenti personali, come in The celebration of the lizard. La lucertola e il serpente, da sempre identificati in psicologia con l’inconscio e l’erotismo, si caricano di altri significati e diventano l’unico mezzo per la conoscenza. Il suo intento, dirà più volte, è quello di infrangere le

«facciate ingannevoli dietro cui la gente vive»: un modo è la violenza, l’altro l’erotismo. La ricerca spasmodica di sperimentalismo e innovazione lo porterà anche a cimentarsi nel cinema. È con lo spirito vagabondo racchiuso nel romanzo Ontheroaddi Kerouac che Morrison scrive L’autostoppista, e HWY, due prove per il cinema. Figura evocata più volte anche nei taccuini come alter ego dell’autore, l’autostoppista compare come evocazione singola nelle prime righe di molte sue poesie, che vengono scritte su qualsiasi pezzo di carta disponibile come tovaglioli da cocktail, pagine strappate, buste lacerate, prima di essere trascritte o contenute dentro ai taccuini. Morrison è come un autostoppista di parole, come se stesse in perenne attesa, col pollice teso verso la strada, aspettando di salire sulla prossima auto, in viaggio perenne verso una nuova meta.

Pamela Courson, la musa

Sembrano una coppia di ragazzi spensierati. Appaiono così, nelle foto scattate da un loro amico negli ultimi giorni a Parigi, che li ha ritratti insieme per l’ultima volta: stanno fronte a fronte, due birre su un tavolo, in mezzo a loro una porzione di french fries. Morrison aveva conosciuto Pamela Courson anni prima durante una delle prime esibizioni del gruppo di neonato, da allora non si erano più persi di vista anche se entrambi avevano vissuto il loro rapporto in maniera libera e senza vincoli. Da un lato, Jim non si era mai riuscito a togliere dalla testa il suo primo amore, che secondo la controversa biografia di Bill Cosgrave sarebbe stata la causa dei comportamenti autodistruttivi. Sembra infatti che non abbia mai veramente superato la fine della storia con la giovanissima Mary Frances Werbelow di Clearwater in Florida, che lo aveva lasciato infatti per i suoi problemi con l’alcool. Dall’altro, Pam aveva un giro di frequentazioni altolocate che le permettevano di frequentare i salotti benestanti e soddisfare la propria dipendenza da cocaina che in quegli anni girava soprattutto nei salotti dell’alta società. A lei Morrison dedicherà il brano Lovestreet che parla del loro appartamento condiviso al 1812 di Rothdell Trail, nel Laurel Canyon Boulevard in California. Pam sarà presente sempre in velate allusioni tra le pagine dei propri taccuini, fino alla fine, nelle sue ultime pagine di diario qualche notte prima di morire: «Ci svegliammo, parlando. Raccontando sogni/ Un’esplosione durante la notte».

L’ultima notte hanno guardato assieme i filmini realizzati dalla popolarissima Super 8 di Pam. Sarà lei poi a riesumare il corpo di Jim nella vasca da bagno in cui si era immerso quella notte dopo essersi lamentato di non essersi sentito bene. Sarà lei a trovarlo esanime, gli occhi chiusi e, secondo la sua testimonianza, con un accenno sorriso sulle labbra.

Nessun matrimonio, nessuna promessa d’amore eterno: l’amore di Jim per Pam è suggellato da un gesto molto concreto. La volontà nel testamento di Jim di lasciare in eredità dopo la sua morte tutti i suoi scritti, taccuini, poesie inedite unicamente a Pam. Inconsapevole però che Pam morirà qualche anno dopo, raggiungendolo così in quel posto a metà dove si saranno ricongiunti, quel posto che Blake, il loro poeta preferito, chiamava il luogo del ‘matrimonio del cielo e dell’inferno’. ♦︎

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