Da sempre, la prima cosa prodotta dai conflitti è la narrazione, in tutte le sue forme: dalle dichiarazioni di guerra alle notizie, dai manifesti ideologici ai comunicati pubblici, dagli striscioni di protesta alle scritte sui muri, dalle lettere private alle poesie. I fatti sono unici e creano la Storia, ma il modo di vederli, di interpretarli e di raccontarli non è uguale per tutti: ecco perché ci si ritrova in balia di una molteplicità di narrazioni.
Esistono narrazioni oggettive, a tratti scientifiche, ma anche parziali, faziose e deliberatamente strumentalizzate. Nessuna è mai scelta a caso. Le parole possono essere usate per fare propaganda, per manipolare, per dividere o per unire. Insomma, ieri come oggi si racconta perseguendo uno scopo. Esistono infiniti esempi e situazioni a cui poter fare riferimento: uno di questi è l’antichità, quando i potenti incaricavano i letterati di scrivere opere per esaltarli o poemi in cui inventassero la provenienza mitologica della loro stirpe; oppure quando una nazione si macchia di un crimine, come un genocidio, e non lo racconta mai per non deturpare la propria immagine.
Chiaramente, è difficile comprendere i processi storici quando non si sono ancora compiuti ma si stanno realizzando sotto ai nostri occhi poiché sono ancora racchiusi in un orizzonte limitato che, solo col passare del tempo, appare sempre più lontano e ampio, realizzando la cosiddetta ‘distanza storica’, la base per acquisire una conoscenza obiettiva e completa. Tuttavia, vivendo nel presente, è naturale dare il proprio giudizio e prendere posizione sui fatti dell’attualità, perché è così che si crea la cruciale opinione pubblica.
Ma quando si tratta di scontri bellici esiste una verità più autentica di altre? Com’è possibile riconoscerla?
Capita, spesso, che non sempre si diffonda la narrazione più vicina alla realtà dei fatti, ma che prevalga quella capace di persuadere di più e che, per qualche ragione, sembra essere più valida solo perché meglio strutturata – ma la verità potrebbe essere anche assurda e complicata: basti pensare alle efferatezze compiute dall’uomo finora, ad esempio lo sterminio degli ebrei, a cui probabilmente non avremmo mai creduto se non avessimo avuto fonti storiche. Ogni entità politica, in base ai propri interessi, enfatizza alcuni aspetti e ne censura o sminuisce altri: c’è sempre qualcosa che è meglio distorcere o tacere per mantenere alto il nazionalismo, non perdere alleati e guadagnare consensi. Il livello di propaganda e distorsione della realtà più grave si raggiunge quando si sovvertono verità palesi per le quali, in realtà, non c’è narrazione alternativa che tenga, come ad esempio chi è l’invasore e chi l’invaso. Oggi abbiamo l’abitudine di credere che tutto possa essere sottoposto a nuovi punti di vista intercambiabili e di pensare che certe scelte siano fatte perché non esista un’alternativa migliore, quindi che la storia debba seguire necessariamente un corso. In questo modo, ci si sgancia dalla comprensione e incominciamo ad astrarre gli eventi e i personaggi finché non resta più niente. Così, si perde la verità.
Ma la verità esiste eccome e ce n’è una più vera di altre. È quella più imparziale e varia perché considera tutte le prospettive possibili e non ne elegge una sola, ma le confronta e le mostra; ed è offerta da un soggetto capace di non interferire ideologicamente e personalmente con ciò che diffonde, perché ne comprende il valore e la complessità (semmai, in un secondo momento, può condividere il suo pensiero). Specialmente per quanto riguarda i conflitti, una simile narrazione è sicuramente quella più trasparente ma anche meno comoda, eppure lascia intravedere la realtà. Tirarla fuori vuol dire comprendere fattori scatenanti, conseguenze, scelte, problematiche e sviluppi e chiedersi perché, a un certo punto della storia, una nazione invade quella accanto, o perché nasce un’organizzazione terroristica, e provare a comprendere – che non vuol dire assolvere o condannare, ma spingersi per un momento al di là dei valori, perché se si ragiona solo in termini umanitari vuol dire che si è giunti a uno stadio della storia in cui il faro della critica non riesce più a far luce su niente. Essere consapevoli, invece, è l’unico modo per agire sulla storia senza subirla, e vuol dire impegnarsi ad affinare sempre più la verità, scardinando relativismi, luoghi comuni e preferenze, ma soprattutto estremismi e sensi unici, perché tutto quel che è semplice e comodo è quasi sempre lontano dalla verità. ♦︎
Illustrazione di Alejandra Viviana Furlani