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LA MINACCIA DI UNA NUOVA CRISI INSIDIA L’€UROPA E IL MONDO

Nel giro di pochi giorni chiudono i battenti tre banche statunitensi. Il panico dilaga tra gli investitori di tutto il mondo

The Bull and the Bear

Il governo statunitense ha dichiarato la chiusura di Signature Bank.

La notizia è arrivata domenica, a pochi giorni dall’annuncio del fallimento della Silicon Valley Bank.

Due crac finanziari che hanno fatto tremare gli investitori di tutto il mondo.

Lo spettro della crisi dei mutui subprime del 2008 aleggia ancora vivido in tutti i risparmiatori che l’hanno vissuta.

Ma cosa sta accadendo realmente negli Stati Uniti?

Vediamo di fare maggiore chiarezza.

Il fallimento della Silicon Valley Bank

La Silicon Valley Bank era una banca commerciale fondata nel 1983 a Santa Clara, California .
Nel corso degli anni si è specializzata nel finanziamento delle start up, tanto da arrivare a detenere il 50% dei titoli del settore.

In breve, si è concentrata sulla gestione dei fondi investiti dai venture capitalist e, a loro volta, utilizzati dalle start up per finanziarsi.
Una scelta molto rischiosa, che ha portato l’istituto ad avere un portafoglio di investimenti ben poco diversificato.

Ancor più per una banca come SVB, incentrata principalmente sulle aziende di un solo settore: il Big Tech.

Questa è una delle cause che ha portato alla bancarotta.

Il settore tecnologico ha fruttato moltissimo agli investitori negli anni passati, specialmente durante la pandemia.

Il progresso costante della tecnologia ha portato a ritenere il Big Tech una fonte di profitto senza limiti.

Ma il ritorno alla normalità dopo il Covid e la penuria di materie prime hanno causato una crisi del settore che ha avuto ripercussioni sugli investimenti.

I venture capitalist hanno iniziato a ritirare il loro denaro dalla SVB, fiutando la crisi e preferendo investimenti più redditizi.

Le start up, d’altra parte hanno continuato a chiedere fondi alla banca per finanziare le loro spese.
Costi che sono aumentati nell’ultimo anno a causa della penuria di materie prime di cui sopra.

La Silicon Valley Bank si è ritrovata, quindi, a non avere sufficiente liquidità per accontentare tutte le richieste.

In tale situazione, una banca inizia a disinvestire per fare fronte alla mancanza di denaro liquido.
Una banca tradizionale, però, investe i risparmi dei sui clienti in varie tipologie di asset, tra cui beni immobili. In questo modo è più facile disinvestire e si è meno legati alle oscillazioni di mercato.

Una banca strettamente legata al venture capitalism investe, invece, quasi esclusivamente in titoli a medio-lungo termine, come per esempio le obbligazioni di stato.

Questo approccio rende l’istituto molto vulnerabile alle variazioni dei rendimenti.

Fintanto che i tassi restano bassi o nulli, come accaduto sino all’anno scorso, le cose vanno bene.
Ma quando i tassi di interesse salgono, il valore dei titoli acquistati in precedenza si riduce.

Una situazione che non rappresenta una criticità se si può attendere la scadenza delle obbligazioni.

Se, però, si devono vendere i titoli nel momento presente, si ricava meno di quanto si era pagato per acquisirli.

Questo è quanto accaduto a SVB, che ha registrato una perdita dalla cessione dei suoi investimenti.

Ecco, dunque, la seconda causa del fallimento della banca californiana: l’inflazione.

Nell’ultimo anno questo spauracchio dell’economia ha avuto una forte crescita .

La banca centrale statunitense, la FED, così come la BCE, ha dovuto porre rimedio con un incremento dei tassi di interesse.

Un rialzo che non si vedeva da anni.

Un duro colpo per il portafoglio titoli di SVB.

La corsa agli sportelli

Siamo, ora, giunti al terzo motivo del fallimento di SVB.

L’annuncio della vendita in perdita a seguito del disinvestimento ha generato panico nei clienti della banca californiana.

Le parole del ceo Becker, che ha tentato di rassicurare gli investitori sono state vane.
A peggiorare la situazione, la notizia che lui stesso aveva ceduto 3,5 milioni di titoli che possedeva nella SVB.

La paura dei clienti della banca ha generato una corsa agli sportelli.

Gli investitori e le aziende hanno iniziato a ritirare tutti i loro soldi e la Silicon Valley Bank ha dovuto dichiarare bancarotta.

L’allentamento dei sistemi di controllo

I sistemi di controllo nel settore bancario statunitense si erano inaspriti molto dopo la crisi del 2008, onde evitare che le banche si lanciassero in investimenti troppo sconsiderati e rischiosi.

Ma il discorso valeva soprattutto per le banche più grandi, quelle definite “Too Big to Fail”.

Per le banche più piccole, certe limitazioni erano state allentate negli ultimi anni.

Specie sotto la presidenza di Trump.

Gli istituti di credito più piccoli non erano, infatti, considerati un problema per il sistema in caso di fallimento.

Questo fatto ha permesso a banche come la SVB di essere meno accorta negli investimenti.
Con le conseguenze che si conoscono.

Le contromisure del governo statunitense

Dopo il fallimento della Silicon Valley Banck, il governo statunitense è corso ai ripari.

L’obiettivo è quello di evitare che la crisi di una banca si diffonda a tutto il sistema finanziario, come avvenuto nel 2008.

Per placare gli animi degli investitori e spegnere sul nascere un incendio che rischia di divampare, si è deciso di chiudere altri due istituti: la Signature Bank e la Silvergate Capital Corp.

Entrambe avevano investito nel mercato delle criptovalute e avevano subito un duro colpo a seguito del fallimento di FTX, società di scambio di denaro virtuale.

Bit coin

Questo le esponeva a un forte rischio di fallimento, che avrebbe potuto incrementare ancor più la tensione nei mercati.

Inoltre, il Dipartimento del Tesoro, la FED e la Federal Insurance Deposit Corp hanno annunciato misure straordinarie per contrastare una possibile crisi del settore.

La FIDC ha instaurato un apposito fondo per aiutare le piccole banche in difficoltà.

Gli istituti finanziari potranno richiedere, così, prestiti per far fronte a situazioni di scarsa liquidità.

Mentre per rincuorare i risparmiatori, si è assicurato che tutti i clienti della SVB e della Signature Bank saranno rimborsati di tutto il denaro che avevano in deposito presso i due istituti.

Un trattamento straordinario, di solito limitato ai soli conti inferiori ai 250.000 dollari.

Una misura necessaria dato il tipo di clientela, soprattutto quella della banca californiana, costituita in larga parte da venture capitalist che avevano fondi per cifre ben superiore al limite di rimborso previsto dalla legge.

Una soluzione che non vale, però, per gli azionisti delle banche. Questi, infatti, non si vedranno rimborsare nulla.

Infine, è molto probabile che l’ulteriore aumento dei tassi di interesse già annunciato dalla FED per le prossime settimane verrà ridimensionato.

La situazione nel resto del mondo

Il passato insegna che anche il mondo della finanza è divenuto globale.

Una crisi del settore bancario negli Stati Uniti può avere forti ripercussioni nel resto del mondo, specialmente in Europa.

Al momento, la situazione nel Vecchio Continente pare sotto controllo.

Superato il timore dello scorso lunedì 13 marzo, quando le borse europee hanno registrato una chiusura negativa, nei giorni successivi gli indici sono tornati a salire.

Inoltre le peculiarità della Silicon Valley Bank, con un portafogli investimenti così specifico, non si riscontrano nelle banche europee, specialmente in quelle di maggiori dimensioni.

Questo farebbe sperare in un minor rischio per gli istituti finanziari al di fuori dei confini USA.

Ma la recente situazione critica nella quale si è venuta a trovare Credit Suisse non lascia certo dormire sonni tranquilli.

La banca elvetica è da tempo in difficoltà e ha chiesto un aumento di capitale.
Visto il polverone sollevatosi negli Stati Uniti il suo maggiori azionista, la Saudi National Bank, ha, tuttavia, negato il finanziamento.

Questa decisione ha fatto precipitare il titolo borsistico dell’istituto elvetico.
Soltanto l’annuncio del prestito da 54 miliardi di dollari da parte della banca centrale svizzera ha evitato il tracollo definitivo di Credit Suisse.

Il pericolo del dilagare della crisi, però, resta.

Inoltre, si deve tenere conto che numerose aziende del settore tecnologico in Europa erano finanziate dalla Silicon Valley Bank.

In alcuni Stati, come l’Irlanda, aveva pianificato numerosi investimenti in nuove imprese.
La sua chiusura ha, quindi, rappresentato un duro colpo anche per loro, un vuoto che si è venuto a creare.
Al momento non sembra, infatti, esserci un’altra banca in Europa che voglia accollarsi il ruolo di SVB.

E gli effetti della liquidazione della banca californiana potrebbero essere percepiti nel Vecchio Continente solo nei prossimi mesi o anni.
Una situazione ancora molto aleatoria e lo spettro di una nuova crisi in agguato.
Dopo la pandemia e la guerra in ucraina, questa potrebbe essere un’ulteriore dura prova che il mondo dovrà affrontare.