Il nostro paese ha un problema di povertà educativa, cioè la privazione della possibilità di apprendere, di sperimentare le proprie capacità e di sviluppare e far fiorire talenti e aspirazioni.

I dati sulla dispersione scolastica implicita (cioè il mancato raggiungimento di livelli minimi di competenza nelle materie scolastiche) parlano chiaro, e soprattutto al sud si scontano situazioni drammatiche.
In Campania, Calabria e Sicilia più del 60% degli studenti non raggiungono il livello base delle competenze in italiano alla fine della scuola secondaria superiore. Il 70%, in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, non raggiunge un livello sufficiente in matematica.

Anche i dati sulla dispersione scolastica classica (ovvero l’uscita dei ragazzi dal sistema di istruzione) non sono rassicuranti.
La popolazione di 18-24 anni che abbandona la scuola prematuramente in Italia è del 12.7% peggio di noi in UE solo Romania e Spagna.

Offerta scolastica e povertà educativa.

Il problema della povertà educativa è collegata anche ad una offerta scolastica più debole.

I dati evidenziano infatti che al crescere di un’offerta scolastica di qualità diminuisce la disuguaglianza.
In Italia nelle province dove è assicurato il tempo pieno a scuola, dove c’è la presenza maggiore di palestre, o ancora dove ci sono infrastrutture adeguate, si rilevano migliori risultati in termini di apprendimento e dispersione.

Il divario nord-sud anche qui si fa sentire. I bambini di scuola primaria che usufruiscono del tempo pieno sono il 45% al centro-nord e solo il 15% al sud.
A Milano i bambini che usufruiscono del tempo pieno e accedono alla mensa sono il 95%, a Palermo il 6%.

Per intervenire nel miglioramento della scuola e della sua qualità dovremmo forse anche riflettere sul rilancio economico della stessa. Riflettere su un cambiamento delle spese attuali dell’istruzione in Italia. Ad oggi spendiamo il 4.3% del PIL, in UE siamo avanti solo su Irlanda, Romania e Bulgaria, con una media dei paesi che si attesta al 5%.

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