Una storia sulla morte e sulla rinascita.

Sarà una recensione breve, un po’ per evitarvi spoiler e un po’ perché ho le capacità scrittorie di uno scimpanzè disturbato, quindi siate clementi.

Dunque, eccoci qui, di nuovo in lockdown, pronti a impastare pizze, cantare l’inno di Mameli dai poggioli e fare i conti con noi stessi e la badilata di tempo libero obbligatorio.

Ma non disperate: il buon vecchio Andrea giunge in vostro soccorso consigliandovi una lettura davvero niente male, una graphic novel uscita in libreria lo scorso settembre, targata BAO, scritta da Teresa Radice e disegnata da Stefano Turconi: “La terra, il cielo, i corvi”.

Procediamo con ordine, la trama è molto semplice: ci sono un italiano, un tedesco e un russo (sembra l’inizio di una barzelletta, come pensa il protagonista) che devono percorrere un lungo viaggio attraverso le steppe sovietiche, verso sud. Piccolo particolare: è marzo del 1943, sulle sponde del mar banco, l’italiano e il tedesco sono due soldati evasi da un campo di prigionia e il russo è il loro ostaggio, ma anche guida in quell’infinito a loro sconosciuto.

Con queste premesse, il viaggio inizia, un lungo viaggio che non sarà sotto i fischi delle bombe o tra le trincee, sarà un viaggio nella loro solitudine, tra i loro personali demoni e la diffidenza che provano l’uno per l’altro.

Eh sì, perché parlano tre lingue diverse, sono nemici in terra nemica e devono affrontare freddo, fatica e fame.

Ma, come ho imparato negli scout, la fatica unisce gli animi e così avviene anche tra Vanja (il russo), Fuchs (il tedesco) e Attilio (l’italiano) i quali, da vagabondi obbligati a sopportarsi per sopravvivere, diventeranno compagni per raggiungere quella meta comune.

Proprio in questo viaggio nello spirito, scopriamo i valori dei singoli personaggi: Vanja desidera solo raggiungere il villaggio natale e riabbracciare il padre, Fuchs desidera tornare nel suo reggimento per adempiere al suo dovere mentre Attilio, il cui animo è più “anarchico”, desidera solo ritrovare la libertà che respirava tra le montagne di casa sua. Ed è proprio Attilio la chiave del fumetto, non solo perché è il protagonista effettivo, ma è anche l’unico che capiamo cosa dice.

Forse la bellezza di questa storia è proprio il fatto che ogni personaggio parla nella sua lingua d’appartenenza, senza traduzioni né asterischi ed è qui che capiamo il vero ruolo di Attilio: mentre Vanja guida il gruppo tra le steppe, Attilio guida noi lettori, facendoci capire cosa dicono gli altri, esaminando quel mondo per noi e, soprattutto, esaminando sé stesso per noi.

Ho trovato questa cosa a dir poco geniale, grazie anche alle aperture dei singoli capitoli, citazioni di Tolstoj che ti danno un assaggio di cosa sta per accadere e che offrono chiavi di lettura molto ampie.

Anche il disegno accompagna molto bene questa storia, Turconi ha uno stile tendente all’umoristico, con espressioni e movimenti molto accentuati, in contrasto con la fermezza e la desolazione del mondo ccircostante; altra nota per la colorazione, realizzata interamente ad acquerello, con palettes molto d’atmosfera.

Tutto molto bello e voi mi chiederete “Andre, non mi interessa la seconda guerra mondiale ascuola, perché dovrei leggerci addirittura un fumetto?”

Il motivo è semplice, cara bertuccia: più si va avanti nella lettura e più ci si accorge che il contesto storico è solo una scusa per narrare, perché il succo del fumetto sta nel viaggio, nei singoli drammi personali e nel concetto di rinascita interiore.

E credo che sia il fumetto più giusto per questo periodo che stiamo vivendo, siamo obbligati a stare in casa, con compagnie più o meno sopportabili, prigionieri della noia e dei nostri demoni, proprio come quei tre sventurati.

“Disperso significa che si può ritrovare. Forse non mi sarei mai trovato se non mi fossi perso. Forse sarei rimasto perso, se qualcuno non mi avesse trovato. Male è ciò che divide, Bene è ciò che unisce…”

La terra, il cielo, i corvi”

NoSignal Magazine

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