Al Salone del Libro di Torino abbiamo incontrato Patricia Evangelista, una pluripremiata giornalista e attivista filippina per i diritti umani, specializzata in trauma report, che ci ha parlato della tragica situazione del suo Paese. È una donna minuta, dai modi pacati, ma con una fermezza, una determinazione, un soffio vitale nelle sue parole che al contrario sono enormi.

Aveva molte storie da raccontare; resoconti di carneficine, di massacri, di orfani, di fosse comuni. Quale modo ha scelto Patricia per raccontarci la morte? Ha scelto di farlo raccontandoci prima la vita. Ha insistito nel dirci quanto sia importante per lei filtrare questi eventi tragici attraverso la voce delle persone, di quelle che rischiano altrimenti di essere freddi numeri nel meccanismo della stampa internazionale. Una statistica sul numero di morti e feriti senza nome in una notizia di cronaca. E noi la ascoltiamo raccontare.

Ci parla di Love-Love, soprannome di una bambina di 11 anni che abita al secondo piano di un palazzo, ha una famiglia, dei sogni, va a scuola. Ha dei piatti preferiti e dei piatti che invece non mangia. Una bambina che, come tutte le bambine, litiga coi genitori, poi ci fa pace. Una bambina che una notte viene svegliata di soprassalto. I militari sono arrivati per uccidere suo padre. Lo prendono e la madre cade in ginocchio per supplicarli di non farlo. Love-Love si avvicina, si frappone tra i genitori e il fucile dei soldati e dice: << Uccidete me al loro posto! >>. Gli emissari della morte procedono a trucidare il padre e la madre della piccola Love-Love. Questa risponde maledendo e insultando gli uomini che hanno in mano la canna dell’arma ancora calda. Non le importa più di nulla, ha perso tutto quello che aveva di più caro. Loro se ne vanno, ma la loro ombra resterà lì, forse per sempre.

Ciò che più preme a Patricia, è evidente, è che Love-Love non sia un numero in una tabella, ma una storia, bruciante e cruda, fatta di nomi, di affetti, di esseri umani come noi. Patricia sottolinea come il fine ultimo del suo lavoro sia proprio quello di dare voce ai protagonisti di queste storie affinché non si ripeta mai più nulla del genere.

Le Filippine sono in mano a una crudele dittatura, sotto al regime di Duterte, che ha dispiegato per le strade squadroni della morte per l’eliminazione extragiudiziale di tutti gli indesiderati e di tutti i tossicodipendenti. Come era prevedibile, riempire la Nazione di milizie armate con potere di vita e di morte sulla popolazione ha portato a conseguenze disastrose, abusi di potere e una serie infinita di violenze, omicidi e violazioni dei più basilari diritti umani.

Ci invita a riflettere su una parola che spesso si sente usare in questi casi: ‘neutralizzare’. Dovrebbe significare ‘rendere neutro’, ‘rendere innocuo’, riferendosi dunque a un nemico, a qualcosa di pericoloso o nocivo che dev’essere reso inoffensivo. Cosa c’era di pericoloso nella madre e nel padre di Love-Love? Per chi era pericolosa la loro voce e la loro vita? Per il popolo filippino o per il perverso meccanismo militare?

Procede raccontandoci della sua esperienza diretta. I suoi occhi ne hanno viste tante: bambini portati via dal luogo di un massacro in degli zaini perché non c’erano più abbastanza sacchi per cadaveri; giornalisti bruciati vivi; conteggi delle vittime di una carneficina che si protraevano per più di un giorno. Con la dittatura la tragedia è diventata ordinaria.

Ciò che forse colpisce di più del suo messaggio è di come si sia stupita, all’inizio del suo lavoro, di quanto le persone, che lei credeva per natura buone, non lo fossero.

<< Credevo che all’interno di ogni uomo albergasse il bene. Credevo che bastasse mostrare loro questi orrori e una furiosa schiera di ‘angeli buoni’ si sarebbe mobilitata per combattere il male. Non è così. Le persone non funzionano così. Pensano sempre che sia un problema di qualcun altro, troppo lontano da noi e che se ne debba occupare qualcun altro. >>

Ha intervistato un sicario del regime. Gli ha chiesto quante persone avesse ucciso. Lui rispondeva come si risponderebbe parlando di cosa si è comprato al mercato. Diceva che uccidere è come una droga, che il senso di potere e di euforia che ti dona è indescrivibile. Diceva di non provare rimorso. Come se quella parte del suo animo si fosse completamente avvizzita.

Patricia Evangelista non cerca pietà o compassione per la sua terra, ma giustizia. Sa raccontare la sua gente in modo quasi fiabesco. Non vuole che il suo Paese sia visto come un fronte di guerra lontano, ma come un gioiello bellissimo e prezioso che vuole ripulire dal sangue e dalla pece che lo inzacchera.

Patricia Evangelista a TEDxDiliman

NoSignal Magazine

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