Dopo il singolo “Elisir” uscito l’anno scorso, il rapper originario di Cogoleto torna sulla scena con “Vita Vera”, mixtape che anticipa la prossima uscita del suo terzo album. L’attesa fortifica il desiderio, ma da venerdì è diventata più dolce.

Quando uno degli artisti più forti della scena urban batte un colpo, è normale che si venga a creare un’attenzione morbosa da parte di addetti ai lavori e non, e come dargli torto.

La gara a chi la spara più grossa è aperta, e dopo il colpo di pistola davanti ai blocchi di partenza, ecco che riprendono le solite futili diatribe di genere. Mario Molinari, alias Tedua, se le trascina dietro da parecchio, a mio avviso fregandosene altamente. Dritto per la sua strada, quella Genova Milano percorsa tante volte nella speranza di poter dire finalmente la sua in un panorama musicale italiano che dio solo sa quanto avesse bisogno di artisti come lui. Da Ryan in Orange County California, passando per il cucciolo d’uomo in Mowgli, sembra ora identificarsi nel celebre poeta fiorentino, ma a differenza di Dante, Mario la diritta via sembra non averla mai smarrita, attraversando con audacia la selva oscura presentandoci Vita Vera Mixtape. La sua, quella che lo ha portato dalle case in affido alla vetta delle classifiche, una vita colma di sacrifici che ci racconta da anni, e da cui prende costantemente ispirazione (drogato di vita vera, prima che il social ti renda ameba) per i suoi versi.

La sua, una promessa di inizio anno mantenuta a metà a causa del coronavirus, per il fatidico terzo album (“Divina Commedia”? Sono aperte le scommesse) dovremo aspettare almeno fino al 2021.

Vita Vera, uscito venerdì 5, è la naturale evoluzione che ci si può aspettare dal rapper ligure, accompagnato dal producer di fiducia Chris Nolan. Fin dai primi lavori discografici ci ha abituati a innovazioni stilistiche, nella trap come nel drill o nell’hip hop. Metriche argute con incastri elaborati sono il suo marchio di fabbrica, coadiuvati da un flusso di coscienza inesauribile, tanto caro a Joyce, e da linee vocali spesso fuori tempo, da sempre nell’occhio del ciclone di quelle futili diatribe di cui parlavo prima: non ragioniam di lor, per rimanere in tema, e passiamo oltre.

Qui non è da meno, e in alcuni casi si discosta da tutto ciò che abbiamo ascoltato finora nell’ambiente. In Mare Mosso, con l’amico Bresh, le voci si fondono l’una con l’altra come le onde di quel mare di Zena narrato nei versi della scena genovese, accompagnate da synth anni ’80 che strizzano l’occhio a The Weeknd in Blinding Lights e non solo. Dopotutto l’ha detto lui stesso in Freestyle 2020 — è finita la storia dell’happy trap o del sad boy triste — ci troviamo di fronte a nuove tendenze che guardano al futuro e prendono ispirazione dal passato. Tedua si erge volentieri a paladino di questa svolta, mostrandosi come sempre sui generis rispetto alla maggior parte dei colleghi. Le canzoni rappresentano le tappe di un viaggio lungo e tortuoso attraverso la selva oscura che infesta i pensieri del rapper ligure, in bilico tra sogno e disillusione. Te ne vai come se Dio ti avesse chiamata, la rappresentazione di un’ipotetica Beatrice qui prende forza in Purple, disegnata sopra una base quasi chill sulla quale si posa il racconto di una ragazza difficile da comprendere appieno, irresistibile agli occhi del povero malcapitato che si nutre disperatamente del desiderio di starle accanto.

Non può certo mancare la Wildbandana, crew genovese con la quale è cresciuto tra primi concerti e convivenze in affitto. Sono presenti Vaz Tè, III Rave, Guesan e Izi che esplode nel ritornello di Manhattan, puzzle formato dai pezzi della loro gioventù per le vie di Genova in cerca di riscatto, completato con il successo di oggi che non li ha divisi, bensì ha rafforzato quel legame tanto raro nel tritacarne mediatico odierno.

A completare la crew c’è Rkomi, anche lui come Bresh in una traccia dedicata. In Colori, i due amici sono accompagnati dalla voce di Lilian Caputo. Cerco un porto ed il faro, maremoto il mio stato – dal brano emerge il terremoto emozionale dell’artista, che mostra senza filtri le sue fragilità.

In mezzo alle tracce più riuscite del disco, spiccano Lo Sai (prod. Sick Luke), dove tra psicofarmaci mancati e riferimenti alla Wildbandana (Sangue, ndr), c’è la rivendicazione della sua forza personale, grazie alla quale è rimasto a galla dagli anni della gioventù fino ad oggi, e Lo-fi Wuhan: qui la scrittura di Tedua la fa da padrone, dando ulteriore conferma di come il rapper sia ormai tra i migliori in Italia. Dalla fine dell’intro all’inizio del ritornello che chiude la traccia troviamo probabilmente le barre migliori del disco.

Nel complesso, l’ultima fatica del “poeta” nostrano eccelle per qualità, sovrastando senza se e senza ma la maggior parte degli ultimi lavori partoriti dalla scena rap italiana, e parliamo pur sempre di un mixtape. Tedua sa bene come destreggiarsi nel suo inferno dantesco, dove i gironi rappresentano metaforicamente una vita non facile, esplicitata a suon di figure retoriche e versi intrisi della sua essenza (e di un eccessivo autotune, tanto per trovare un difetto). Se Vita Vera Mixtape sia o meno il suo purgatorio personale non è dato saperlo, ci resta la speranza che il terzo album rappresenti il tanto agognato paradiso.

Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

You may also like

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

More in Musica