Direttamente dalla scuderia Wild Bandana, dopo Tedua, Izi e Rkomi (su tutti), tocca a Bresh fare il grande passo nel mercato discografico con un album che non potrebbe essere più lontano dalla scena rap contemporanea.

Sì, lo so, non è certo uscito l’altro ieri, e sticazzi, complice l’estremo overtalking su DNA di Ghali, complice la passione viscerale che ho per la Wild Bandana, ho deciso di darle un piccolissimo spazio anche qui su NoSignal.

“E’ finita la storia dell’happy trap o del sad boy triste” canta Tedua in 2020 Freestyle, uscito a inizio anno, quasi come a voler tracciare una linea di demarcazione ben definita tra passato e futuro del rap. La traptomia cerebrale a cui ci hanno sottoposto negli ultimi anni sembra stia giungendo al termine, e non posso che ringraziare Bresh (alias Andrea Brasi) per aver contribuito ad accelerare il processo. Gli esordi del rapper genovese risalgono al 2012, con la pubblicazione del primo mixtape Cambiamenti, seguito poi da varie collaborazioni insieme ad altri artisti della scena (Amici Miei, 2017), fino ad oggi. La Genova dei cantautori passati e presenti si è dimostrata capace di mantenere saldo il filo conduttore delle parole in musica. Da Tenco, Paoli, Endrigo e De Andrè, il testimone viene ora passato al cantautorap di Tedua, Bresh, Vaz Tè, Izi e Rkomi. Amici, prima che colleghi, coinquilini e compagni di avventure pronti a conquistare definitivamente la scena musicale italiana a suon di incastrici metrici. A sto giro il padrone di casa è Bresh. Ha voluto accogliere tutti in CHE IO MI AIUTI, album fortemente legato alla sua terra natale, maturo e focalizzato sulla decentralizzazione del canone stantard egotrip. Non v’è traccia alcuna di autocelebrazione a suon di “money gang” o “skrrrt skrrrt” (che francamente ci ha anche rotto i cosiddetti) o refrain esagerati su evergreen di genere. Non si contano le denuncie sociali o i riferimenti all’interno del disco — “giudicami gli altri ma non dalle ferie / trovati un’occupazione reale / voglia di servire fattela passare” — Bresh si prende tutto il braccio quando gli tendiamo la mano e ci trascina giù con lui attraverso una fitta narrazione della sua vita, fatta di problemi, perplessità e tanti, tanti, tanti sogni. Condisce sapientemente ogni traccia frazionando il suo immaginario esistenziale, troviamo disillusione e rassegnazione in NO HEROES — “l’opinione dà ragione a chi ha i milioni […] e non lo so se i miti della Grecia sono tutta verità / la Marvel scrive di un mondo che non esisterà” — , la violenza sulle donne nel featuring di Tedua in PARA’ o la frustrazione e il rimpianto in RABBIA DISTILLATA — “vedo facce di papà che pagano la bolletta / sbagli fatti da sbarbati mandano la bolletta”- .

Le metriche si appoggiano armoniosamente su accelerazioni alternate a linee melodiche con le quali Bresh dimostra di sentirsi a suo agio, frutto di un percorso di maturazione incentivato dall’intera scena genovese. Le produzioni targate Andre Blanco, Garelli, Chris Nolan e Shune trovano ampio respiro in mezzo alle liriche, quasi in secondo piano a primo ascolto, contaminate da sonorità che oscillano tra l’house, il pop e alcune vocals che ricordano vagamente il punk rock tra gli anni novanta e i primi duemila.

Non posso che promuovere a pieni voti un disco eclettico e qualitativamente importante nel suo insieme. Bresh ha finalmente trovato la sua strada, differenziandosi dalla maggior parte dei prodotti attuali su scaffale.

In attesa di ascoltarli insieme in concerto, lunga vita alla Wild Bandana, quest’anno sono davvero pronti a prendersi tutto (coronavirus permettendo).

Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

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