I mesi di pandemia in Italia hanno portato con loro ripercussioni del tutto inattese tanto per gravità quanto per complessità.

Come è noto, grazie soprattutto alla nobile determinazione giornalistica e alla caparbietà di alcuni ligi servitori dell’autentica informazione, siamo venuti tutti a conoscenza di come durante l’epidemia di covid19 e durante lo scorso mese sia stato rilasciato il permesso da parte dell’organo istituzionale DAP al rilascio di centinaia di capi e di membri appartenenti a famiglie della criminalità organizzata in regime di carcere ai domiciliari. In modo particolare si tratta di organizzazioni mafiose.

Dal momento che la gravità di questa situazione ha visto, forse per la prima volta da tanto tempo, il levarsi di una unità salda di pensiero e di azione da parte del popolo italiano, al di là dei colori politici, dei partiti e delle simpatie e considerato che la situazione è stata già lungamente approfondita, vorrei analizzare, in questo articolo, alcuni concetti cardinali ed ideologici senza i quali tutto ciò che è accaduto in merito sembrerebbe essere solamente un suicidio della giustizia e della sicurezza nazionale rispetto a silenti forze criminose.

Tralasciando le problematiche inerenti al numero di boss mafiosi scarcerati e alla loro situazione carceraria, mi preme sottolineare, innanzitutto, come una situazione storica inedita di questo tipo sia avvenuta in presenza di specifiche condizioni politiche e situazionali.

Come è noto, una bufera è calata sul Movimento 5 Stelle del quale il Ministro della Giustizia Bonafede fa parte nonché sull’attuale sistema governativo, per non citare le dibattute e rivelatorie dichiarazioni di fuoco dell’apprezzato dottor Di Matteo.

Vorrei, a questo punto, fare un passo indietro e cercare di sondare le cause di questa tragedia giudiziaria, di questa pugnalata al cuore del nostro paese ed in modo particolare al cuore di tutte le famiglie e di tutti i centri urbani che hanno dovuto subire negli ultimi 30 anni, ovvero da prima che iniziasse l’ultimo grande periodo di processi alla mafia, le angherie, le usurpazioni e il tributo di sangue a causa di questa istituzione radicata nella storia e nella cultura di tanta gente e di tante realtà del nostro meridione.

Come fu possibile che un paese così pesantemente colpito dalla criminalità organizzata, che una magistratura apparentemente così arroccata nelle proprie misure tese al combattimento della questione mafiosa ed un sistema dove vige una propaganda tanto prosperosa in merito, abbia con tale leggerezza legittimato e permesso la liberazione di tante belve assassine, di tanti capi criminali in grado di ripristinare la loro influenza sul territorio, anche solo perché disposti ai domiciliari?

È chiaro che non è sufficiente, neanche lontanamente, pensare che la causa di tutto ciò sia l’operato dell’attuale capo dell’organo DAP e dell’attuale Ministro della Giustizia. Le cause che permisero un tale colpo di spugna rispetto a questi criminali ha una storia ben più lunga, stratificata e celata agli occhi della pigra informazione alla quale siamo abituati.

Sia chiaro: il comportamento dell’attuale Ministro della Giustizia è stato riprovevole e fermamente degno di qualsiasi condanna tanto politica quanto morale.

Le scarcerazioni di massa di questi criminali sono avvenute sotto il suo ministero è in virtù dell’inettitudine e della inaudita leggerezza di un sottoposto da lui messo nella situazione di comandare; con ciò essi sono indifendibili.

Peggio ancora sono i vani tentativi dei compagni di partito del soprannominato Ministro, tesi a difendere l’indegno operato tramite congetture tanto fantasiose quanto dispersive e buone solo a convincere gli irriducibili millantati e disinformati fra i molti membri del vasto gregge che viaggia senza meta fra gli improbabili social networks che animano i futili e variopinti dibattiti politici del nostro paese.

La risposta in merito alle polemiche sollevate da giornalisti e oppositori che, comunque la si pensi, hanno avuto un ruolo nel portare alla luce talune di queste informazioni, è stata resa dal partito responsabile tramite una stentata dialettica, malferma e di precario equilibrio fra il negare quello che non era troppo palese, fra il dimenticare ed il non rispondere a quello che risultava troppo scomodo ed, infine, il giustificare la scarcerazione di così tanti capi mafiosi sulla base di alcuni banali errori umani piuttosto sottolineando le apparenti prese di posizione ed i timidi tentativi, al fine di combattere la mafia, da parte di questo governo.

Come si diceva, e non potendo negare quanto riportato appena sopra, è evidente che tutti i magistrati e le istituzioni politiche ed amministrative regionali come centrali che in questi anni hanno permesso un ammorbidimento lascivo ed irrispettoso nonché pernicioso nei confronti della coercizione carceraria di quel tipo di criminali, debbano prendersi parte della responsabilità.

È possibile che durante la messa in atto di procedure tanto civili e tanto corrette da un punto di vista giudiziario nei confronti del sistema mafioso e della sua messa in sicurezza ci si sia dimenticati di avere di fronte criminali ed astuti organizzatori attivi anche da dietro le sbarre.

Non voglio neanche parlare di corruzione, perché si entrerebbe in una questione talmente complessa, oscura e ramificata nel nostro tessuto politico e culturale che un semplice articolo sarebbe del tutto inutile al proposito.

Non è certo quali interessi ci siamo stati nel ammorbidire il carcere duro per i delitti di mafia ma è noto, secondo gli addetti ai lavori, come a partire da qualche anno dopo la morte di Borsellino le norme in materia carceraria si siano rese più flebili e le sue trame si siano allentate.

Si è fatto di tutto a livello ideologico per evitare l’istituzione del pugno di ferro in determinate situazioni eppure proprio da diversi membri della giustizia italiana si eleva un grido disperato: si desidera il potere di impugnare strumenti in grado di garantire una ferrea giustizia nei confronti del delitto di mafia e affinché questi individui paghino per gli imperdonabili crimini commessi, si propone di ripristinare una gestione del problema per come avvenne all’epoca del giudice Cesare Mori.

Possiamo utilizzare tutta la propaganda possibile, possiamo costruire delle splendide fiction a proposito degli eroi combattenti della mafia come edificare serie TV in tema criminoso di successo ma il libero agire di tante e potenti cellule mafiose non appare essere il metodo migliore per ricordare i caduti e per combattere questo spregevole parassita sul territorio, così tristemente tipico rispetto ad un’endemica way of life all’italiana.

NoSignal Magazine

You may also like

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

More in Politica