Doping e ciclismo da molti anni formano un binomio indissolubile nell’immaginario collettivo, tanto che gli innegabili sforzi e i sacrifici compiuti dagli atleti che praticano a livello agonistico questo sport vengono sistematicamente sminuiti, o comunque ridimensionati.

Le vicende legate all’abuso di sostanze dopanti hanno costellato per anni le prime pagine delle testate giornalistiche, caratterizzando un’epoca, quella dei primi anni ’00, in cui ricorrere a farmaci e tecniche per migliorare il proprio rendimento fisico e le proprie prestazioni atletiche era quasi la prassi.

Il caso più eclatante è sicuramente quello di Lance Armstrong, lo scalatore statunitense vincitore di 7 Tour de France, tutti revocati a seguito della squalifica a vita, che passò dall’essere un’icona sportiva e nazionale al diventare una delle personalità più disprezzate e controverse della storia del ciclismo e dello sport. L’atleta texano, infatti, in seguito a ripetute insinuazioni figlie di ben fondati sospetti, a partire dai numerosi contatti avuti con Michele Ferrari, il medico e preparatore inibito a vita dall’esercizio della professione poichè fornitore di doping per moltissimi ciclisti, è stato definitivamente radiato nel 2012 dall’USADA, l’Agenza Antidoping statunitense, per aver fatto uso metodico di sostanze dopanti, fra cui eritropoietina, testosterone e corticosteroidi. Con questa sentenza il nome di Armstrong è scomparso dalle graduatorie di tutte le gare ciclistiche dal 1998 al giorno del suo ritiro, a partire da quelle della corsa francese, i cui titoli non vennero riassegnati.

Poche settimane fa è uscito “Lance”, il docufilm sulla vita dell’ex ‘postino’ (così venivano chiamati i corridori che militavano nell’US Postal Service, una delle squadre maggiormente coinvolte negli scandali legati al doping), prodotto dall’emittente televisiva ESPN: come da previsione, non sono mancate le frasi al veleno e le dichiarazioni pungenti da parte di molte personalità legate al mondo del ciclismo, come quelle a propria difesa di Ivan Basso, vincitore di due Giri d’Italia e squalificato per un breve periodo dalle corse a causa del coinvolgimento nella Operacion Puerto, uno dei troppi casi di doping collettivo.

Il caso Armstrong, nella sua eccezionalità, è soltanto la punta di un iceberg che si immerge in profondità e che si è ingrossato negli anni sino a provocare il naufragio del mondo ciclistico. Negli ultimi tempi la situazione in gruppo sembrava essersi placata, sia a causa dell’inasprimento dei controlli, sia per la sempre maggiore difficoltà nello scovare nuove pratiche al fine di aggirare i regolamenti; tuttavia, si è diffusa pochi giorni fa la notizia relativa a ‘preoccupanti scoperte sui Tour de France del 2016 e 2017 da parte dell’Unione Ciclistica Internazionale’, a seguito di indagini retroattive alla ricerca di sostanze non ancora tracciabili all’epoca.

Qualora queste scoperte si tramutassero in prove schiaccianti, esse infliggerebbero l’ennesimo devastante colpo al già di per sé martoriato mondo delle due ruote, proprio quando iniziava a riaffiorare un barlume di speranza anche fra i più scettici. Se già i casi isolati e di corridori meno conosciuti sono esecrabili e inducono a nefasti presagi, il disvelamento di reti internazionali che vedono coinvolte personalità di spicco del settore scoraggiano anche i più inclini a riporre la propria fiducia nell’universo del ciclismo professionistico.

Nonostante sia necessario continuare a sottolineare le fatiche e le privazioni a cui si adeguano questi atleti, la cui quotidianità è scandita da allenamenti, ritiri in altura, svaghi centellinati e diete ferree, un ulteriore caso di positività di gruppo dimostrerebbe l’inconciliabilità fra questo sport e la sua pratica ad alti livelli nei limiti della ‘legalità’, sarebbe l’ennesima delusione per molti appassionati che hanno saputo lasciarsi alle spalle gli anni plumbei del doping generalizzato.

La fiducia nei confronti di atleti, medici e preparatori sta ormai cedendo il passo alla convivenza con la consapevolezza di un rischio oggettivo, che oscura in primis tutti quelli ‘puliti’, ai cui sono sacrifici non sono spesso corrisposti i dovuti riconoscimenti, ma soprattutto la bellezza e il fascino di questo sport, un tutt’uno con la natura circostante e un elemento fondante della cultura popolare italiana per molti decenni.

Sebbene il mare sia più placido e le onde s’infrangano con meno fragore sugli scogli, gli iceberg continuano a punteggiare la superficie marina delle gare ciclistiche, e in questo caso l’auspicio è che possano sciogliersi al più presto, senza che se ne riformino altri più insidiosi, invisibili alla prima osservazione, che emergono solo a distanza di anni.

Davide Camoirano
23 anni, frequento il 5° anno di Medicina e Chirurgia a Torino. Nel tempo libero leggo, pratico sport e scrivo articoli, sportivi e non solo. Sono appassionato di ciclismo, nuoto, politica, attualità, storia e, naturalmente, medicina, anche se mi piacerebbe aggiungere un tocco di creatività alla mia 'grigia' routine quotidiana.

You may also like

1 Comment

  1. […] di questi ragazzi ne hanno riavvicinato una grossa fetta. Dopo anni in cui erano gli scandali di doping a prevalere, i dibattiti sulle tattiche hanno ripreso a permeare i bar e i forum online. Dopo anni […]

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

More in Sport