Due tendenze politiche, radicalmente opposte e in continua lotta dominano l’ideologia sul territorio europeo. Come fra un incudine e un martello, l’Europa si ritrova schiacciata e divisa come non accadeva da prima che l’unione entrasse in vigore. Da un lato vi è la tecnocrazia europeista, dall’altro una forte reminiscenza di sovranismi e nazionalismi.

Mai come prima d’ora la diffusione a macchia d’olio di partiti politici cosiddetti populisti di destra si è avvertita sul suolo internazionale. I populismi saranno in grado di dare le risposte che i cittadini ricercano, dopo un generale senso di fallimento e sconfitta da parte delle politiche comunitarie?

Esse hanno fallito, o almeno non sono state in grado di rispettare le loro promesse deludendo le masse, contribuendo a generare un profondo sconforto causato da una politica divenuta astratta, impalpabile quanto servile.

Perché servile?

Facciamo un passo indietro e torniamo ai tardi anni Novanta quanto un sogno a lungo progettato iniziava a prendere forma: l’Unione Europea.

Fu davvero, al di la di interessi economici o alto finanziari, un progetto di ampissimo respiro: ribadire quanto la nostra impetuosa, magnifica e comune storia generale avesse scritto. In una retorica stracolma di riferimenti all’antica Grecia, all’Impero Romano, al Medioevo dominato dai sacri imperatori di Germania fino all’intrecciata nostra storia moderna, l’Europa si apprestava a nascere con principi, innanzitutto, ideologici. Negli anni seguenti il celebre storico medievale Jacques LeGoff avrebbe pubblicato una fortunata serie di saggi a proposito dell’identità europea che si diceva essere nata nell’Alto Medioevo, germinata dalle gesta di un grande padre Carlo Magno a cavallo fra l’ottavo e il nono secolo.

L’unione ribadiva la storia comune, prevedeva un coinvolgimento comunitario sui temi più vibranti: la guerra, l’economia, il mutuo sostentamento, i diritti umani; tutto questo per tendere ad una vera unione federata.

Questo non accadde mai per motivi tanto complessi quanto perfettamente visibili: lingue diverse fra i vari Paesi, storie differenti e antiche rivalità, gelosia culturale e identitaria ma soprattutto un Sacro Egoismo su scala economica e culturale.

Al di là di un ridimensionamento del disegno comunitario europeo, che cosa rimane oggi di quel vasto progetto ideologico?

Poco, o forse nulla.

La grande politica Europea, ritornando al punto di partenza, corre due grandi rischi: da un lato il servilismo politico tenuto dalle redini di stampo capitalista-bancario e dall’altro il ritorno ad una divisione in staterelli riottosi e nazionalisti.

All’interno di vari paesi dell’Unione, la spregiudicatezza, la mancanza di tatto e un tronfio astrattismo politico, troppo distaccato dai problemi della gente da parte dei grandi capi di Bruxelles, hanno pesantemente influenzato il pensiero comune favorendo una spinta critica verso l’operato europeo con posizioni, a volte, anti-europeiste.

A mio avviso, i populismi, l’estremo desiderio di sovranismo e le tendenze nazionalistiche sono esattamente il frutto del fallimento e delle mancanze strutturali di questa Europa e della sua politica comunitaria. Non è un segreto che, se l’Europa avesse davvero funzionato a dovere, oggi non avremmo tante politiche anti-europeiste e un così diffuso malcontento comunitario (a questo proposito si vedano i tristi risultati delle politiche del presidente Macron in Francia, colui che era il cavaliere e il principale sostenitore della linea politica suggerita da Dombrovskis e dagli altri capi dell’Europa).

Dell’ideologia comune inizialmente proposta non rimane nulla, se non gli obiettivi economici prospettati da un capitalismo efferato, acefalo e disinteressato rispetto ai particolari problemi di un Paese piuttosto che di un altro. Questo, a mio parere, è la questione primaria sulla quale interrogarsi: non solamente perché è la radice dell’altra faccia, ovvero le tendenze populiste e nazionaliste, ma perché dimostra di essere una chimera che, se non controllata a dovere, diventerà egemone e totalitaristica sovrastando ogni forma politica propriamente detta.

Questo è il grande rischio di tutta la politica internazionale, non solo italiana: il servilismo e la totale inconsapevole sudditanza rispetto ad una grande tecnocrazia economico-capitalista sviluppata unicamente su fini finanziari rispetto alle esigenze acefale e profondamente antisociali dei grandi mercati economici.

Quale sarà la soluzione: un totale e chino servilismo nei confronti dei mercati capitalisti, tanto decantati da alcuni nostri politici quanto assolutamente menefreghisti rispetto al fattore umano, oppure una chiusura sempre più parcellizzata e limitata dei nostri Paesi in staterelli divisi, protezionisti ed eccessivamente sovranisti?

Io rifletterei sulla definizione di stato data da Max Weber: Uno stato è un’istituzione che pretende, con successo, il monopolio della forza su un territorio con confini ben precisi.

Si adatti questa celebre e tutt’ora valida definizione all’alta economia e alle leggi di mercato affinché mai la finanza possa dettare legge su una politica divenuta servile, ma sia sempre la politica dedita al bene comune o perlomeno ad un interesse verso il fattore umano e verso i propri cittadini a guidare lo spettro acefalo dell’economia e dei suoi mercati. Poiché una politica autorevole e capace sarà sempre in grado di rispondere positivamente alle mancanze umane e porvi un rimedio, all’opposto i mercati saranno amici solo del miglior offerente e risponderanno con successo solo alla chiamata del denaro.

Ma questa fine vile avrà sicuramente luogo se la politica europea non riprenderà possesso della finanza e non saprà tenere presente il fattore umano rispetto alle esigenze di mercato, guidando l’economia verso un valore umano oltre che capitalistico.

Se lasceremo imperversare questo capitalismo acefalo in maniera incondizionata e incontrollabile allora l’Europa non se la prenda con le politiche populiste e nazionalistiche che reprimono l’immigrazione e negano l’integrazione poiché alla base dell’implosione degli Stati africani, molto spesso, vi sono le schiavizzazioni e quelle politiche economiche coatte tese, ora alla monocultura, ora ad un efferato export, messe in atto proprio da quelle multinazionali capitalistiche a lungo difese dagli eurocrati.

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