Inauguriamo il 2019 con una nuova rubrica.

Gennaio, si sa, è il mese dei buoni propositi e voglio condividere con voi l’ultima aggiunta alla mia lista: adottare uno stile di vita sostenibile. Il più possibile sostenibile, ovviamente.

Sembra una frase da Miss Italia, come abbattere la fame nel mondo e dare un tetto a tutti i bambini orfani. Probabilmente lo è, ma in ogni caso ci si può provare.

Voglio iniziare parlandovi del movimento #plasticfree, al centro dei dibattiti ambientali negli ultimi anni, che ha subito una crescita enorme nel 2018 tanto da diventare un problema di comune dibattito.

La plastica nell’ultimo anno è stata demonizzata, bistrattata dai movimenti #plasticfree e catalogata come “public enemy no 1”.

Perché? La plastica fino a pochi anni fa godeva di tutto rispetto, essendo un materiale rivoluzionario per molteplici aspetti: comodo, economico, polivalente. Usata per i mezzi di trasporto (gli aerei sono fatti al 50% di plastica), per i capi di abbigliamento (il nylon e il poliestere spopolano) soprattutto nel fast fashion e, come ci ricorda l’articolo Usciamo dalla plastica dell’Internazionale n.1287, può essere utilizzata nei prodotti più improbabili, ad esempio come adesivo per le 60 miliardi di bustine da tè usate nel Regno Unito.

La plastica è il sottofondo multicolore e allo stesso tempo anonimo della vita moderna” , scrivono nell’articolo sopra citato.

Numeri:

  • ogni anno vengono prodotti 340 milioni di tonnellate (abbastanza per riempire tutti i grattacieli di New York);
  • ogni anno vengono riversati negli oceani tra i 4,8 e i 12,7 milioni di tonnellate di plastica: si prevede che nel 2050 saranno il doppio;
  • abbiamo superato ad inizio degli anni ’90 la soglia dei cento milioni di tonnellate;
  • l’oceanografo Curtis Ebbesmeyer ha definito grandi chiazze di rifiuti otto “isole”, la più vasta delle quali è grande tre volte la Francia e contiene 79mila tonnellate di spazzatura.

Ma:

  • nel 2016 Greenpeace presenta una petizione per mettere al bando le microplastiche nel Regno Unito, arrivando a raccogliere 365mila adesioni in soli quattro mesi (totalizzando il maggior numero di firme raccolte prima d’ora per una petizione ambientalista portata ad un governo);
  • all’inizio del 2018, sempre nel Regno Unito, sono stati rispediti migliaia di imballaggi non riciclabili ai mittenti, mettendo in seria crisi le Poste;
  • Roland Geyer, esperto di ecologia industriale dell’Università della California, asserisce di esser stato intervistato tra il 2006 e il 2016 sul problema della plastica meno di una decina di volte, mentre negli ultimi due anni ha ricevuto circa duecento richieste;
  • “influencer” di tutti i calibri, dal principe Carlo a Kim Kardashian (che dichiara di non utilizzare mai più cannucce), si sono mobilitate per dire la loro a favore del movimento #plasticfree;
  • anche in politica non si scherza: l’USA ha dichiarato guerra alla plastica usa e getta. Il Regno Unito ha programmato di eliminarla entro il 2042. L’India addirittura entro il 2022.
  • una serie della BBC Blue Planet Earth II nel dicembre 2017 ha dedicato 6 minuti nell’ultima puntata sulla tematica ambientale dell’impatto della plastica sulla fauna e flora marina, mostrando una tartaruga, diventata ahimè famosa, intrappolata in una rete di plastica. Un’immagine che ha scosso l’opinione pubblica tanto da coniare il termine Blue Planet II per spiegare perché si è diventati così contrari alla plastica.

È fenomenale osservare in quanto poco tempo sia stato sollevato un polverone contro la plastica, un fenomeno che non ha avuto equivalenti negli ultimi vent’anni.

Nel 2015 erano già note tutte le controindicazioni sulla plastica e gli effetti negativi del suo impatto sul nostro pianeta (le prove contro la plastica gli scienziati le stanno raccogliendo da oltre trent’anni), ma non sembravamo preoccuparcene troppo. In realtà già nel 2004 veniva coniato il termine micro-plastiche, per indicare i miliardi di minuscoli pezzi di plastica frutto della disgregazione di oggetti più grandi oppure frutto di prodotti a scopo commerciale.

Che cos’è la plastica? La materia prima deriva dai combustibili fossili (ad esempio carbone o petrolio) e plastica è il termine generico per indicare una miscela di sostanze chimiche ricche di carbonio in strutture solide. Nata all’incirca nell’Ottocento veniva usata per fare prodotti di uso quotidiano (pettini) e prendeva il nome di parkesina, ribattezzata celluloide e nel 1909 bachelite. Fu la seconda guerra mondiale a renderla famosa: tra il 1939 e il 1945 si passò da 97mila tonnellate a 371mila prodotte in USA. Successivamente alla guerra la plastica cominciò l’inesorabile ascesa che la porta a sostituire il cotone, il vetro, il cartone. Nel 1965 batte il record di crescita per il tredicesimo anno consecutivo e il suo uso (e abuso?) continua ad aumentare, fino ad arrivare ad essere un materiale di uso quotidiano e su larga scala. E la plastica non è entrata prepotentemente nelle nostre vite perché migliore dei prodotti naturali che sostituiva, ma principalmente perché più economica, comoda e leggera. Tanto che la si può gettare via senza troppi rimpianti, potendola sostituire subito. La plastica ha reso possibile il consumo usa e getta che ha sdoganato una serie di tabù sociali notevoli, ci ha permesso di emanciparci ed è uno dei simboli dell’era moderna. Basti pensare a quanto nel giro di quattro generazioni, in un secolo, il mondo sia cambiato. Ora ci rendiamo conto che la plastica è stata nostra amica, ma non è un aiuto sostenibile e anzi ci si potrebbe rivoltare contro. Deve però essere chiaro che mettere in discussione la plastica significa mettere in discussione la nostra società. Il nostro stile di vita, il consumismo stesso.

Non è possibile far ricadere la colpa direttamente sui consumatori, come è evidente che la raccolta differenziata domestica è una pratica indispensabile, ma non sufficiente. Innanzitutto la plastica è uno dei materiali più difficili da riciclare (si degrada ogni volta, infatti viene riproposta come fibra tessile o pezzi di arredamento e poi in materiale di riempimento per strade e poi isolante, rimandando solo il suo inesorabile arrivo nelle discariche o in Oceano). Oltre a ciò il riciclo è ancora una pratica in via di sviluppo: negli Stati Uniti viene riciclato meno del 10%. Quindi il riciclaggio è poco praticato e non sembra essere la soluzione definitiva per prevenire il collasso.

Il paradosso della plastica: il movimento #plastcifree è un fenomeno apparentemente concreto e di possibile risoluzione, tra tutti gli aspetti che contribuiscono al cambiamento climatico, ma è intrinsecamente collegato all’industria, alla globalizzazione, alla tecnologia. Sette dei dieci maggiori produttori di plastiche sono anche possessori petroliferi e fintanto che continueranno ad estrarre il combustibile fossile saranno interessati a produrre plastica. Entrano quindi in contrasto aspetti centrali della società odierna, primo fra tutti il nostro stile di vita insostenibile.

Però è giusto lamentarsi. È giusto pretendere e cercare di ottenere cambiamenti a tutti i livelli: i report scientifici ci hanno spinto a prendere una posizione, gruppi di cittadini si sono organizzati, i governi iniziano a prendere provvedimenti, le sfere politiche si muovono e regolamentano il settore.

È giusto pretendere che le aziende in primis prendano atto del problema. Perché se il problema della plastica è in parte influente sul cambiamento climatico significa che qualcosa lo stiamo facendo per il nostro pianeta. Questa è diventata la campagna ambientale mondiale di maggior successo dall’inizio di questo secolo e qualcosa dovrà pur dire.

È giusto provare a migliorarsi, cercare nuove soluzioni, progredire, evolversi.

Perché ricordiamolo: “progresso, ma non evoluzione. Sai come si chiama? Estinzione”.

NoSignal Magazine

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